lunedì 8 dicembre 2025

Corso di politica nazionale: 8 Il TERZO SETTORE

IL TERZO SETTORE

https://youtu.be/JKH3p3mCUdo

Contro il no-profit

Il non profit nell’opinione pubblica è sinonimo di solidarietà ed altruismo. Il “terzo settore”, come viene definito tutto ciò che non appartiene alle due categorie di mercato e Stato, in Italia, comprende oggi 301.191 istituzioni, 1 milione circa di lavoratori, 4,7 milioni di volontari e quasi 80 miliardi di euro di entrate (corrispondenti al 3% del Pil).

All’interno di questa categoria convivono esclusivi circoli sportivi e centri per disabili, università private e centri di riabilitazione per ex detenuti. Da quando, nel 1997, è entrata in vigore la legge Zamagni la parola Onlus, con l’alone positivo di cui è circondata e tutti i benefici fiscali che comporta, definisce una tipologia di attività vaga e quindi spesso strumentalizzata.

In “Contro il non profit”, il sociologo politico Giovanni Moro, figlio di Aldo sequestrato ed ucciso dalle BR nel 1978, spiega ed analizza in maniera puntuale questo ‘magma’ caotico di norme e definizioni opache caratterizzato solamente per esclusione (“non” profit). E’ infatti la stessa origine del fenomeno, secondo l’autore, a determinarne la natura confusa.

Il titolo polemico potrebbe essere fuorviante perché lo studioso non critica tout court il «terzo settore» ma ne descrive difetti e pregi. «Non potrei proprio essere contro questo tipo di non profit perché in un modo o nell’altro tutta la mia vita a questo è stata dedicata». Moro oltre a occuparsi della materia come studioso ha guidato, tra il 1989 e il 2002, il movimento Cittadinanzattiva e ora presiede Fondaca, un think tank neanche a dirlo non profit.

Il volume, invece, mette all’indice quel non profit che dietro questa parola nasconde uno spazio «in cui un po’ tutto è possibile, dai ristoranti alle palestre, dalle cliniche alle polisportive con tutto ciò che ne consegue in termini di dubbia utilità sociale, possibili arricchimenti personali, conflitti di interesse, elusione fiscale, rapporti di lavoro insani, concorrenza sleale con le imprese private, ricchi che diventano più ricchi e poveri più poveri, “buoni” che legittimano vantaggi per i “cattivi”».

Scrive l’autore: “Mentre le rappresentazioni correnti attribuiscono comportamenti auto-interessati o di pura convenienza a cadute o deviazioni di carattere morale, la mia convinzione è che questi comportamenti, stridenti con un senso comune che attribuisce al «terzo settore» virtù intrinseche, siano invece impliciti nella stessa concettualizzazione del non profit, oppure ne siano una conseguenza logica e materiale”.

Com’è possibile che entità di fatto simili ad imprese private ma rese più competitive grazie alla falsa caratterizzazione convivano con le organizzazioni che si occupano della parte più debole della società? A questo proposito Moro cita dati disponibili a tutti, ma spesso ignorati, con l’intento di individuare gli attributi e restituire i privilegi del terzo settore a chi davvero ne segue i principi e di mettere in luce la mercatizzazione delle imprese cosiddette ‘sociali’.

ONLUS Organizzazioni Notevolmente Lucrative di Utilità Sospetta

Le ONLUS vere sono una cosa seria. Impariamo a riconoscerle e a difenderle da quella rete di falsificatori che le hanno fatte ribattezzare Organizzazioni Notevolmente Lucrative di Utilità Sospetta. "Una mela marcia può infettare un'intera cesta".

C’è un lato oscuro del Terzo Settore, un sottobosco dove le eccezioni viziose abbondano, una terra di conquista per truffatori di ogni tipo. Per rubare fondi o evadere le tasse. C’è chi l'etichetta Onlus la sfrutta semplicemente a fini elusivi, perché i proventi non sono soggetti all'Ires, c’è invece chi si appropria del 5 per mille cui queste associazioni hanno titolo.

Non è una questione secondaria: solo nell'ultimo triennio ne sono state smascherate più di 3.200 (3 al giorno).

Le prime finte Onlus sono nate assieme alle vere, dieci anni fa, sfruttando l'ignoranza delle norme e l'impreparazione dei controllori. Nel '97, infatti, l'Agenzia delle entrate ancora non aveva gli strumenti per tenere d'occhio soggetti nuovi dal punto di vista giuridico. Il giro di vite sulle finte Onlus comincia nel 2003, a sei anni dalla loro nascita, quando un decreto ministeriale fornisce al Fisco le armi di cui aveva bisogno, a partire dalla possibilità di cancellare le organizzazioni fraudolente. I risultati non tardano ad arrivare: (1.434 nel 2005 e 1.151 nel 2006). Secondo i dati dell'Agenzia delle entrate, i soggetti iscritti all'anagrafe delle Onlus, dopo il boom iniziale del '97, sono andati regolarmente scemando negli ultimi anni: dagli oltre 18 mila del 2004, ai 17.387 del 2005, ai 16.459 del 2006. Dal 2003 il Fisco i controlli li fa prima dell'iscrizione, e sono molto rigidi, visto che più della metà delle richieste viene respinta: l'anno scorso su 3.843 domande ne sono state rigettate ben 2.063.

Negli ultimi tempi, l'aria è nuovamente cambiata.

Diamo qualche esempio per le diverse tipologie di truffe smascherate.

Lo Spazio del Tempo, ufficialmente dedita all'assistenza socio-sanitaria, si è rivelata la facciata di un bed & breakfast, senza nessun libro contabile, che andava comprando inserzioni pubblicitarie su riviste di settore col suo alias turistico: Villa del Sole.

La Federazione Mondiale Tutela dei Diritti e delle Libertà con sede legale a Torino, era un'associazione che dietro alle mentite spoglie di ente assistenziale, giocando col concetto di 'persona svantaggiata', aveva come scopo effettivo il supporto e la consulenza per la gestione di club privé, ed era punto di riferimento per locali erotici.

L'Associazione Salvadanai di San Remo sfruttava dei disabili per rastrellare 'fondi a scopo di beneficenza' con i salvadanai piazzati nei negozi. E poi lasciava gli spiccioli ai soggetti veramente bisognosi, pro forma, mentre i soci 'reinvestivano' il grosso dei proventi nell'acquisto di auto e beni di lusso.

Il Centro Cooperazione Sviluppo Genovese prometteva di "cambiare la vita di milioni di bambini" in Mozambico attraverso il sostegno a distanza, e invece intascava migliaia di euro e li spendeva in Mercedes e appartamenti.

L’Amore del bambino, a Milano raccoglieva denaro per far operare all'estero i bambini affetti da gravi patologie, e coi soliti salvadanai aveva fagocitato 450 mila euro.

La Croce Verde Brixia, ha truffato gli ospedali di Bergamo, Mantova e Cremona per un milione e mezzo di euro gestendo postazioni del 118 e occupandosi dei servizi di assistenza e trasporto malati.

Un'intera galassia di sigle (dieci in tutto, da Co.Mo.Va. a Euroinvalidi) in Toscana ha truffato 800 mila euro con la raccolta di abiti usati per profitto, chiedendo contributi porta a porta, presso supermercati, negozi e abitazioni di privati.

La grandezza non vuol dire sicurezza. Poche settimane fa i carabinieri hanno scovato un’organizzazione che operava stabilmente in 35 province e 93 Comuni. Imbroglioni del porta a porta con tanto di “tariffario”, per aiutare bambini malati oncologici, millantavano di collaborare con l’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù, di cui utilizzavano abusivamente il logo.

I carabinieri di Villa Castelli, in provincia di Brindisi, hanno denunciato 5 persone, tra cui una minorenne, che chiedevano un contributo economico per una tredicenne affetta da una grave patologia alla spina dorsale. La storia purtroppo era vera, ma i soldi, anziché andare alla famiglia della ragazza, finivano nelle tasche dei sedicenti volontari. Al momento dell’arresto, solo il bottino dell’ultima giornata di “lavoro” era di 800 €.

Infine a chi non è capitato di trovare banchetti per le comunità di recupero dove sedicenti volontari chiedono firme e contributi “contro la droga”? Fate loro una semplice domanda per scoprire la truffa: “Che tipo di centro è? Residenziale? Semiresidenziale? Vale a dire un centro “solo diurno”. Raro trovare qualcuno che sappia rispondere.

I furbetti del Terzo Settore

Il Terzo settore (report dell'Istat) dà lavoro a oltre 650mila persone, ha un giro d'affari di circa 67 miliardi di €, un fatturato superiore a quello dell'intero settore della moda made in Italy e rappresenta da solo il 4,3% del Pil nazionale. Un mondo «frammentario e disorganico», lo definisce la Corte dei conti. I giudici contabili stimano le ricadute del non-profit sulla finanza pubblica attorno al miliardo di € (tra 5 per mille, agevolazioni Ires, sconti Irpef, Iva e prelievo sugli immobili). Una bella sforbiciata alle imposte dirette (detassazione dei redditi) e a quelle indirette (Iva, imposta registro, bollo), con adempimenti semplificati e misure di sostegno economico. Si registra una «indubbia situazione di vantaggio per gli organismi di maggiori dimensioni e più strutturati, in grado di investire in attività promozionali» così da orientare i contribuenti ed una «dispersione eccessiva, in favore di una pletora di beneficiari».

Il sistema così come è concepito determina «costi di gestione non indifferenti, un rallentamento delle procedure di erogazione e il rischio di indebolire l'istituto, trasformandolo in un inutile contributo a pioggia».

Nel 2010, incrociando i dati nella neonata anagrafe del Terzo settore con le migliaia di controlli effettuati dal Fisco, sono emersi proventi non dichiarati per oltre 230 milioni di euro. Nel 2012, ultimo dato disponibile, le imposte recuperate hanno superato i 350 milioni, e sicuramente il dato sarà in ascesa.

Le truffe si sono consumate con fantasia tutta italiana.

Cominciamo con brindisi e mangiate. «La crescita culturale e civile dei propri soci» va annaffiata colla birra. 80mila birre ogni anno, con ricarichi del 400 %. ha registrato incredula la Finanza nel circolino emiliano che ufficialmente promuoveva dibattiti sull’umanesimo per i suoi 2.500 tesserati. Una media di 800 consumazioni a serata e un giro d'affari plurimilionario.

Ci sono circoli esclusivi piemontesi per il golf che sono no-profit. Nel Salernitano un ristorante con servizio di attracco e rimessaggio barche ha nascosto al Fisco ricavi per 800mila euro. Nelle Marche, un'associazione per promuovere «lo sviluppo e la conoscenza della scienza optometrica» era di fatto un laboratorio oculistico che vendeva prodotti. A Torino, un bel gruppetto di bocciofile promuovevano sul web serate mangerecce, mettendo online menu e coupon per cenare a prezzi scontati. In Lombardia una ventina di maneggi - pardon , associazioni sportive dilettantistiche operanti nel settore dell'equitazione -, nascondevano una vera e propria attività commerciale. L'Iva evasa? Quasi un milione di euro.

Ma è nel 5 per mille che si scoprono le contraddizioni più forti. Le onlus che hanno avuto accesso all'ultimo 5 per mille sono state circa 35.000 (solo 3.000 quelle escluse). Come dire che in ogni provincia d’Italia ci solo 350 associazioni meritevoli di sostegno pubblico.

55 milioni di € vanno all'Associazione italiana per la ricerca sul cancro; 10,3 milioni di € ad Emergency; 8 milioni di € a Medici senza frontiere. E fin qui siamo nel logico.

Ma poi si scopre che i destini dei terremotati Abruzzesi e quelli dei felini randagi («Mondo gatto») muovono a medesima solidarietà i contribuenti, che per i primi hanno destinato 54mila€ e per i secondi 52mila€. Che l'Accademia della Crusca (42mila €) prende meno di un terzo di «Save the dogs and other animals», onlus animalista che porta a casa 135mila€. La Fondazione italiana del notariato riceve la bellezza di 343mila€. La Fondazione Rinnovamento dello Spirito Santo che «persegue in particolare lo scopo di sensibilizzare, orientare e far comprendere l'azione e le finalità dello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita» ha ricevuto dallo Stato 164mila€, un poco di più dei 134mila€ versati all'Unione degli atei e degli agnostici razionalisti che «porta avanti iniziative a tutto campo in difesa dei diritti civili degli atei e degli agnostici». L'Admo - l'Associazione donatori midollo osseo, una cosetta con cui si cura la leucemia - si è dovuta accontentare di 73mila€, come l'«Asilo del cane» di Palazzolo Milanese, quartiere del piccolo Comune di Paderno Dugnano, che ne ha avuti 70mila€. Poco più della Fondazione Slow Food per la biodiversità 67mila €. 37mila€ sono andati alla Federazione italiana amici della bicicletta e 36mila € al Naga, l'associazione di assistenza sanitaria e per i diritti dei cittadini stranieri, rom e sinti. Forse qualcosa va ripensato.

L’intero business di fondazioni ong onlus e simili vale 400 mld $ ogni anno

L’intero business di fondazioni, ong, onlus e simili vale 400mld$ ogni anno con bilanci non sempre trasparenti. Il grosso della cifra serve per auto beneficarsi, stipendi e attività di promozione.

Se fosse quotata, l' "economia del bene" peserebbe come sei aziende della stazza di Eni alla Borsa di Milano.

Secondo il rapporto delle Nazioni Unite, sul pianeta sono operative circa 50mila organizzazioni non governative (ong), con 140 milioni di volontari, più del doppio della popolazione italiana.

Le più ricche? Save the Children, World Vision e Feed the Children (circa 1,2 miliardi di dollari di bilancio ciascuna).

Da dove arrivano i soldi? I finanziamenti possono provenire da enti pubblici o da privati, cioè dalle nostre donazioni. In Italia, il Terzo Settore è lievitato. Oggi quelle riconosciute ufficialmente sono 248, si interessano      di 3.000 progetti in 84 Paesi del mondo, occupano 5.500 persone e gestiscono 350 milioni di euro l'anno.

A leggere i bilanci, le prime dieci ong italiane sono Medici senza frontiere (50 milioni di euro); ActionAid (48 milioni); Save the Children (45 milioni); Coopi (Cooperazione internazionale, 35 milioni); Cesvi (Cooperazione e sviluppo, 33 milioni); Emergency (30 milioni); Avsi (Associazione volontari per il servizio internazionale, 28 milioni); Intersos (18 milioni); Cisp (Comitato internazionale per lo sviluppo dei popoli, 16 milioni); Vis (Volontariato internazionale per lo sviluppo, 16 milioni).

La domanda più importante è: dove finiscono i soldi dei donatori? Molto se ne va per le spese di mantenimento e promozione delle organizzazioni. Qualche esempio: su un totale di circa 7 milioni di euro, la sezione italiana di Amnesty International ne spende circa un terzo per promuovere l'associazione e mantenerla in vita.

Per salvaguardare oceani, balene e foreste, nel 2011 Greenpeace Italia ha utilizzato 2 milioni 349.000 euro, meno di quanto spenda per pubblicizzarsi e cercare nuovi iscritti (cosa del resto essenziale a ogni organizzazione): 2 milioni 482.000 euro.

Nel luglio 2012 la Corte dei Conti, che ha monitorato 84 progetti in 23 Paesi, trovando di tutto: soldi mai arrivati, progetti fermi o in ritardo da anni, rendiconti spariti. Non mancano esempi virtuosi. Tra questi, Cesvi che nel 2011 ha speso oltre 25 milioni di euro per finanziare i suoi progetti, 1 milione 300mila per la raccolta fondi, 750mila euro per il personale. Chiaro, semplice e tutto on-line.

Ci sono poi gli scandali internazionali: «Il 66 % di tutte le donazioni che sono state fatte nel mondo - denuncia Evel Fanfan, presidente di Aumohd, organizzazione di avvocati che dal 2002 si occupa dei diritti umani della popolazione di Haiti – non sono state investite per la gente di Haiti, ma per il funzionamento delle ong. Alcune hanno comprato fuoristrada da 40-50.000 dollari e il 20 % delle donazioni è andato in stipendi del personale delle organizzazioni».

C'è poi l'ossimoro dell'emergenza perenne: nella regione del Sahel (Sahara) dal 1973 a oggi sono stati investiti in aiuti diretti e indiretti oltre 300 miliardi di dollari, eppure nel 2012 c'erano ancora 18 milioni di persone bisognose di aiuto.

Il problema? Esiste una sproporzione tra fondi dedicati all'emergenza rispetto a quelli destinati allo sviluppo, il che spinge alcune associazioni ad abbandonare quest'ultimo per l'emergenza, che "rende" molto di più. La cooperazione è nata per generare sviluppo, ma da quando sono stati chiusi i rubinetti per i progetti tantissime ong si sono buttate sull'emergenza, alcune addirittura sono nate ex novo per questo. L'emergenza frutta maggiormente e ha tempi di approvazione più rapidi. Passa pochissimo da quando si presenta un progetto a quando si riceve la risposta, perché se c'è un'urgenza la risposta non può arrivare dopo un anno. Invece da quando un progetto di cooperazione viene presentato a quando è approvato trascorre un lungo periodo.

Le ong sono in competizione tra loro: per sopravvivere nel mondo della solidarietà devono fare a gara per le sovvenzioni. Parlano lo stesso linguaggio delle aziende, usano le medesime strategie. E spesso pagano gli stessi stipendi: la buonuscita di 500mila sterline versata a Irene Khan, ex segretario generale di Amnesty International, è solo la punta dell'iceberg.

«Anche stamattina il giardiniere ha raccolto fiori freschi che ha lasciato in un vaso sul tavolo, abbiamo un cuoco che cucina per noi e guardie per proteggerci, autisti che ci portano ovunque e qualcuno che lava e stira al nostro posto. Non mi sembra vero di essere trattata come una principessa». Viviana non è la ricca manager di una multinazionale, è un'operatrice umanitaria di Goma, in Congo. Nelle sue parole, il volto nascosto della beneficenza.

Terzo settore con l'obbligo Iva 

Non ho una grande fiducia nell'utilità del terzo settore e ne ho ancora meno sulla sua onestà. Al più si tratta di una forma di economia drogata. Quindi il nuovo l'obbligo di partita IVA mi sembra una misura giusta e sacrosanta. Come per ogni settore protetto spesso dietro la facciata etica si nascondono cose non sempre limpidissime. Credo che il terzo settore viva più di ideologia che di economia, e che sia un grande serbatoio elettorale. Spesso in lui trovano "lavoro" personaggi del sottobosco politico che operano per ottenere commesse pubbliche in cambio di voti, una marea di soldi pubblici in cambio di una marea di voti. Forse è meglio che sia il mercato a livellare l'ideologia modellandola sulle leggi imprescindibili dell'economia, lasciando immutata la mission di servire la società. Non di etica, ma di veri servizi a costi competitivi, di questo l' Italia ha bisogno, un' Italia che troppo a lungo é stata colonizzata dalle barbarie di certi appetiti insaziabili.