1. C’era una volta
Settant’anni fa finiva la seconda guerra mondiale.
Per circa trent’anni (les trente glorieuses), abbiamo assistito a politiche keynesiane, che hanno permesso la ricostruzione postbellica e la creazione dei sistemi di welfare.
É seguito quindi un nuovo trentennio (les trente furieuses) che ha visto politiche neoliberiste, portare allo smantellamento delle istituzioni di welfare create nella fase precedente.
Il 2000, consumati i successi e gli eccessi dei due precedenti, ha ereditato la somma dei loro fallimenti: la stagflazione (da stagnazione ed inflazione) nella quale assistiamo sia ad un aumento generale dei prezzi (inflazione), sia ad una mancanza di crescita dell'economia in termini reali (stagnazione).
Queste sono state le eredità:
In ambito economico, la pianificazione economica attraverso la proprietà pubblica (la mano visibile) non è riuscita a ridurre le ineguaglianze sociali, i sistemi economici misti (pubblico-privato) non hanno rappresentato alternative valide, sia alle concezioni liberiste sia a quelle collettiviste. L'intervento a sostegno dell'offerta attraverso sussidi diretti e/o nazionalizzazioni ha ridotto lo spirito imprenditoriale. D’altro canto le politiche di stabilità monetaria non sono riuscite a favorire l'imprenditorialità e gli investimenti privati (mano invisibile).
In ambito organizzativo il lascito è stato l’ipertrofia del settore pubblico e la crescente allocazione delle risorse sociali a favore di impieghi non produttivi, rendite e monopoli artificiali.
In ambito politico la sovranità statale ha creato un sistema politico-amministrativo interno a cerchi concentrici costoso ed inefficiente (potere centrale, regioni, province, comuni, circoscrizioni, quartieri); ma il tentativo di sostituirlo, per gestire la globalizzazione, con authority che operassero sia a livello sub-nazionale, sia a livello sovranazionale, ha prodotto solo una miriade di istituzioni, che hanno spogliato lo stato delle sue funzioni di gatekeeper (controllore) per assumere al massimo quelle di gateway (facilitatore).
In ambito sociale abbiamo misurato il fallimento di un progetto di cittadinanza sociale inclusivo (diritti sociali ed economici e politiche ridistributive e compensative di squilibri regionali). Il risultato sono state trappole di povertà, conflitti distributivi, spreco di risorse pubbliche e forme di assistenzialismo deleteri.
E’ ora di cambiare. Il farraginoso sistema politico italiano deve trasformarsi in una repubblica presidenziale.
2. Il Terzo Millennio
Gli anni 2000 iniziarono con un salto epocale nel modo di fare denaro, le dot-com, e due grandi piaghe psicologiche che resteranno a lungo nella memoria collettiva planetaria: l’attacco alle torri gemelle e la crisi dei subprime.
Sembravano drammi grandi, epocali. Ci sbagliavamo. Un’altra calamità immensa avrebbe sconvolto tutto e rimescolato le carte di ogni settore dell’attività umana: la pandemia del covid.
Pensare di affrontarne le conseguenze e approntare rimedi con gli stessi metodi precedenti è poco realistico.
Oggi il mondo scorre a due velocità: il piccolo gruppo dell’avanguardia tecnologica destinata a modificare i sistemi di investimento, produzione, distribuzione e creazione del valore; la grande massa di coloro che dal covid vedono accelerata l’obsolescenza professionale dei modi con cui si sono guadagnati sino ad oggi i mezzi di sussistenza.
Si aprono due grandi scenari.
Il primo vede come residuali le forme di organizzazione del lavoro centrate sulla necessità di una vasta forza lavoro subordinata, sostituite da nuove modalità sempre di più focalizzate su sistemi robotizzati e dot-com, con imprenditori che si avvarranno di consulenti tecnici libero professionali.
Il secondo vede una riprogettazione della funzione pubblica che, da un lato, snellirà la sua componente burocratico-amministrativa, ma dall’altro accoglierà al proprio interno la grande massa dei disoccupati diretti ed indiretti da pandemia, destinandola, dopo appositi percorsi di screening, con contratti lavorativi subordinati, a lavori socialmente utili.
3. Dalla democrazia rappresentativa a quella interattiva
Chi comanda oggi in Italia? Nessuno. Anche se c’è chi dice che il potere è concentrato nelle mani di un centinaio di persone (i cosiddetti poteri forti), la verità è che mai come in questi tempi i poteri forti sono stati deboli.
Come un domino che sta rovinosamente per scattare, nel Sistema paese ognuno di loro è al tempo stesso stampella ed impedimento agli altri. Ognuno ha bisogno per gestire la sua fetta di potere, di cederne una cospicua parte ai molti che hanno la forza di interdizione. Siamo quindi sospesi tra il rischio d’immobilismo ed il crollo. Gli accordi che si fanno nelle segrete stanze, dove si danno convegno i nemici-amici, i mestieranti della mediazione spartitocratica, decidono quasi sempre di mettere al comando un incapace, per avere la certezza di avere saldamente in pugno i fili del pupazzo ambizioso. Se facciamo una analisi dei posti di comando scopriamo che, quasi sempre, l’incompetenza ha pagato.
E la chiamano democrazia. Una democrazia rappresentativa fondata su individui (imposti dai potentati) ma formalmente eletti in rappresentanza del popolo (o meglio da bacini elettorali munti ed unti dai capibastone).
Credo che mai come oggi la caratura di competenze espresse dal nostro governo sia risultata così bassa. Credo che mai un consiglio dei ministri riesca come oggi a confondere maggioranza e minoranza nello scambio di ruolo di chi opera e di chi controlla. Serve una politica di supplenza propositiva che non lasci alle determine dirigenziali l’horror vacui del politicamente indeciso.
Come rispondono i cittadini? Svogliatamente. Addirittura smettendo di votare.
Le analisi dei politologi concordano sul fatto di dare una connotazione esclusivamente negativa al non-voto crescente.
La società solida di ieri, quella uscita da una lunga esperienza di massimalismo politico totalitario, si è blindata con un apparato legale di controllo paralizzante, che ha sostituito una oligarchia detta fascista con un’oligarchia detta democratico rappresentativa (la Bassanini prima ed il Porcellum dopo, ne sono la più evidente manifestazione).
Ma nella società liquida d’oggi, l’attenzione è rivolta alla democrazia diretta liquida. Il sentiment quotidianamente monitorato nei data mining è l’unica bussola controllata ogni istante dai politici, tappi che galleggiano assecondando la montante marea delle masse. Il cittadino manifesta il proprio diritto politico scegliendo se esercitarlo in prima persona o se delegarlo a un suo rappresentante di fiducia, decidendo in che forma, come, quando e su cosa e per quanto tempo farsi rappresentare. Ecco che allora molte opzioni di scelta, considerate negativamente o impraticabili, diventano il succo gustoso del nostro discorso.
Il cittadino sceglie l’astensione, consapevole di non voler esercitare il suo potere politico, non partecipa alle iniziative politiche, non vota e non delega il proprio voto. Il suo non è un atto politico di rinuncia o neutro, ma decisivo (vedi i referendum) se per esempio esiste un quorum. Anzi è efficace quando lima la forza di un politico che vorrebbe una legittimazione suggellata da una valanga di voti di preferenza (conquistati magari con la politica di scambio e la connivenza con le lobby del grande potere finanziario o della grande criminalità organizzata).
Pensate ad una legge elettorale dove si deve raggiungere un quorum di votanti (ad esempio del 70%) e, nel caso che non venga raggiunto, si debba tornare alle urne, inibendo la partecipazione ai candidati bocciati. Si avrebbe, in un attimo, il rinnovo di gran parte della classe politica. La locuzione politico consumato, assumerebbe subito un altro significato.
In una democrazia diretta il cittadino può decidere di esercitare un ruolo attivo, cioè di essere proponente e promotore di proprie iniziative, di esercitare i propri diritti politici direttamente, senza l'intermediazione di altri. Ma servono gli strumenti per farlo.
Il cittadino può delegare ad altri il suo diritto di scelta e di proposta. Attraverso i portavoce eletti, gestisce le sue scelte e le sue proposte senza più intermediari, ma il suo diritto è prioritario rispetto a quello del portavoce e, volendo, può scavalcarlo, partecipando direttamente alla vita politica. Il cittadino può scegliere chiunque come suo delegato, senza doverlo scegliere tra liste chiuse imposte da altri. Il delegato a sua volta può accettare o rifiutare la delega. Il potere di rappresentanza del delegato permane finché c’è la volontà del cittadino delegante, che può ritirare la delega in qualsiasi momento. Il ridimensionamento del peso politico del delegato, è evidente, il suo potere è legato alla pratica virtuosa della sua competenza specifica.
Ciò porta al tramonto del politico di professione, che nulla sa ma tutto decide, ed all’affermazione di opinion leader, promotori di iniziative su cui convergono le deleghe di chi ne approva l'azione, limitando l’ambito di delega su materie a volte assai circoscritte.
Se una volta la democrazia liquida trovava applicazione solo in comunità ristrette (condomini, circoli, ecc.) per la difficoltà pratica di fare dibattito ed eseguire votazioni con milioni di aventi diritto, oggi con lo sviluppo delle tecnologie informatiche e di internet, è possibile tecnicamente gestire un sistema democratico diretto, con milioni di aventi diritto. Chiunque, teoricamente, può fare una proposta e sottoporla al giudizio popolare in un lasso di tempo abbastanza ridotto. La tecnica c’è, può iniziare un processo nuovo di formazione di una nuova classe dirigente.
Grazie alla democrazia interattiva, i cittadini torneranno a partecipare.
Thomas Jefferson affermava che “ogni uomo è fatto per partecipare… e si sente partecipe del governo delle cose, non solamente il giorno all’anno in cui vota, ma ogni giorno.”
4. Un nuovo modo di creare valore
Oggi circa 1 miliardo di persone vive in condizioni di sottalimentazione. Si calcola che nel 2030 il 70% della popolazione sarà concentrato nelle città che assumeranno dimensioni impensabili sino a qualche decennio or sono. Nel 2050 la popolazione planetaria raggiungerà i 10 miliardi. La convergenza di questi tre fattori ci costringe a riconsiderare completamente l’occupazione del territorio. Detto in altri termini l’urbanistica con i suoi indici edificatori “consolatori” volti a preservare l’occupazione del suolo andrà ripensata. La necessità di cibo crescerà del 70%, ciò che renderà impraticabili gli attuali sistemi di produzione (si pensi al consumo idrico ed all’uso dei pesticidi) e di trasporto. Nuovi sistemi di urban farming fortemente automatizzati attraverso idroponica ed acquaponica andranno messi a punto nei centri urbani. Il settore primario vedrà quindi una modifica radicale della sua gestione con una fortissima ricaduta nella struttura occupazionale degli addetti. Il settore secondario in virtù della estrema duttilità produttiva consentita dalle nuove forme di automazione, riuscirà a ridurre progressivamente il magazzino fino alla sua tendenziale scomparsa. Il settore terziario commerciale in virtù della crescente diffusione dei sistemi di vendita dot-com porterà alla tendenziale scomparsa di molte tipologie di negozi con la conseguente necessità di ripensare la struttura urbana dei centri storici. La crescente necessità di un trasferimento capillare di merci presso il consumatore finale sarà sempre più assolta da un sistema integrato di autoveicoli a guida automatica e di locker di vicinato. Il terziario amministrativo privato ed in larga parte pubblico, avrà una forte modifica dovuta alla crescente affermazione dello smart working.
5. Ripensare i servizi pubblici essenziali da garantire
La scuola
La pandemia ha dato alla frequentazione delle lezioni in presenza un colpo decisivo, rendendo forzatamente (im-)popolare la necessità di un profondo ripensamento. Lo spreco formativo, immenso se paragonato al suo risultato (di fatto la nostra scuola è una fabbrica di ignoranti e/o disoccupati), è fatto di metodologie di somministrazione di contenuti e di maturazione di abilità a dir poco obsoleti, di luoghi del sapere disorganizzati, insicuri e fatiscenti, di attrezzature carenti ed inadeguate, ma comunque costosi e difficili da raggiungere. La scuola on line opportunamente ottimizzata è una parte della soluzione (cura di chi resta indietro e di chi procede al passo, ma anche potenziamento dell’eccellenza). La seconda parte è fatta dell’alternanza del processo formativo con il lavoro, visto in primo luogo come sistema di maturazione di vocazioni e scelte, quindi come primo livello di integrazione di un futuro sistema occupazionale razionalmente gestito in base alle necessità nazionali ed internazionali.
L’istruzione pubblica deve essere assolutamente gratuita, aperta a tutti coloro che desiderano conoscere, imparare e mettere in pratica ciò che è necessario per essere cittadini utili in un mondo complesso ma dotati degli strumenti per comprenderlo. Ciò deve valere in modalità long life learning, quindi senza nessuna tassa di iscrizione, ebook, supporti informatici e collegamenti internet gratuiti. In particolare la rete deve essere gratis per tutti, libera come l’aria che respiriamo, ormai come lei indispensabile sin dalla nascita.
Chi desiderasse optare per l’istruzione privata potrà interamente dedurre tutte le spese sostenute dalle tasse.
La sanità
La pandemia ha drammaticamente messo la popolazione di fronte allo stato di parziale inadeguatezza del servizio sanitario, basato sui diversi ruoli del settore pubblico (focalizzato sulla necessità di curare il meno possibile per risparmiare risorse) e del settore privato (focalizzato sulla necessità di curare il più possibile per reggersi economicamente in piedi).
L’uso della telemedicina, della telediagnosi, della consegna dei farmaci a domicilio e della chirurgia robotizzata da remoto fa ripensare globalmente ai sistemi di prevenzione, di cura e di degenza. Accanto a situazioni avanzate di estrema specializzazione (triage, intensive, isolamenti, ecc.) devono essere recuperate per anziani e lungodegenti strutture di ospitalità (alberghi, ostelli, dormitori, case vacanze, colonie, ecc.).
La sanità pubblica deve tornare ad essere assolutamente gratuita, ma per evitare abusi e sprechi, le spese mediche ed ospedaliere dovranno essere anticipate dal paziente (che potrà accedere a prestiti a tasso agevolato) e successivamente detratte dalle tasse con meccanismi temporalmente certi di restituzione e/o compensazione.
Chi desiderasse optare per la sanità privata potrà interamente dedurre gli importi delle polizze assicurative dalle tasse.
I trasporti
La limitazione degli spostamenti quotidiani generata dalla necessità di lockdown spinto od attenuato, ha investito la totalità della popolazione (spostamenti di lavoro, scolastici, ludici). L’offerta di trasporto collettivo va ripensata in virtù delle nuove potenzialità di mezzi elettrici a guida automatica a chiamata e può essere utilmente indirizzata verso un servizio di passeggeri individuale o di piccolo gruppo. Ciò ridurrà notevolmente il possesso e l’utilizzo del trasporto personale. L’ottimizzazione degli spostamenti ridurrà fortemente l’impatto sul sistema stradale e sulle emissioni nell’ambiente.
Risparmio energetico, idrico e rifiuti zero
Andranno ripensati in chiave ecologica complessiva , la produzione ed il consumo energetico attraverso impianti condominiali o di singoli edifici, l’approvvigionamento idrico e la potabilizzazione, lo smaltimento dei rifiuti solidi e liquidi. Tutti gli investimenti che saranno effettuati in tal senso saranno totalmente deducibili dalle tasse.
In questo quadro andranno progressivamente liquidate le partecipate pubbliche.
6. Ripensare lo stato sociale
La pandemia ha accelerato un processo di riorganizzazione dei sistemi produttivi e dei servizi che era latente e frenato dalla necessità di rallentare e contrattare le tempistiche e le modalità di espulsione dal lavoro (o di non immissione) di una massa di milioni di soggetti siano essi autonomi siano essi dipendenti. Le nuove organizzazioni private vanno verso un superamento del rapporto subordinato per sostituirlo con uno autonomo di consulenza di breve o lungo periodo. Lo stato sociale dovrà quindi farsi carico del sostentamento di questa crescente massa di inoccupati.
La maniera scelta sino ad oggi, ancorché poco logica e performante, è stata comunque possibile fino a quando il numero di assistiti è stato sufficientemente contenuto. Oggi non è più così. La popolazione italiana conta su 8 milioni di giovani <14 anni, 3 mln di percettori di NASPl, 7 mln di percettori di CIG, 3 mln di percettori di RDC, 10 mln di pensionati, 6 mln di pensionati d’invalidità. Si tratta di 37 mln di Italiani complessivamente, a fronte di soli 23 mln di occupati (18 mln subordinati, 5 mln autonomi). Se aggiungiamo i bonus ed i ristori erogati durante la pandemia ci troviamo di fronte ad una situazione insostenibile.
Il primo capitolo da riscrivere è il graduale allontanamento da ogni programma di pura assistenza sociale, e la progressiva affermazione che per usufruire degli aiuti sociali ci debba essere l'obbligo di lavorare da parte di coloro che ne beneficiano. Ciò vuol dire operare verso i 3 mln dei Naspl, i 3 mln dei RDC, i 7 mln dei CIG, parte dei 6 mln dei PI.
L’obiettivo è quello di ridurre il parassitismo sociale, effetto perverso delle politiche sociali ridistributive. Questa è la carità che uccide: il povero e la società. Spendere cifre enormi in assistenza pura senza l’obbligo che chi ne è beneficiato debba in cambio svolgere una reale attività lavorativa vuol dire investire in pura perdita per l’erogante ma anche senza che il beneficiario abbia la speranza che possa mai emergere dal suo stato.
Il povero, l'anziano non autosufficiente, l'handicappato, lo svantaggiato, il carcerato, il migrante, il rom, ecc. e tutti coloro che rientrano nelle situazioni suesposte, debbono essere inseriti in un programma evolutivo di lavoro socialmente utile gestito direttamente dallo Stato, affrancandoli dall’essere considerati, come succede ora, tutt’al più una risorsa lavorativa per altri, giungendo al paradosso che la loro emancipazione verso l’autonomia produrrebbe disoccupazione nel terzo settore ed il loro status di indigenza continui ad essere di fatto una garanzia del benessere di altri soggetti che vivono della pratica del sostegno erogato agli ultimi. Nessun pasto è gratis.
7. Le risorse per la gestione dello stato sociale
Se si resta ancorati alle attuali norme monetarie e fiscali lo Stato Italiano non riuscirà mai a rientrare dalla voragine del debito ed ogni nuovo sussidio, normale o straordinario, non sarà un volano di crescita e di sviluppo, ma un altro chiodo da piantare sulla bara del default.
Occorre ripensare la politica monetaria interna creando (a fianco delle attuali norme che regolamentano l’euro) una nuova fonte monetaria alla quale attingere.
Poiché il recupero delle cifre erogate per la gestione delle diverse tipologie di sussidi oggi in atto risulterebbe sufficiente solo per il pagamento di una parte degli stipendi, occorrerà integrarla con l’emissione di una cripto valuta italica, garantita dal nostro patrimonio pubblico in oro, con corso solo interno. Ciò sosterrebbe anche gli acquisti effettuati nel mercato interno contribuendo anche al rilancio dell’economia italiana. In questa logica gran parte degli acquisti effettuati dalla PA andranno compensati con l’abolizione parziale o totale di tasse e contributi pubblici di sorta.
8. Una nuova collocazione internazionale
La nostra UE, per diventare una potenza planetaria, andrebbe riorganizzata come una confederazione di raggruppamenti macro-regionali autonomi. Questo fornirebbe il viatico per la concretizzazione delle spinte autonomiste. L'UE diventerebbe una potenza nucleare con un unico governo centrale ed un presidente. Sarebbe formata da circa una cinquantina di raggruppamenti omogenei. Vedi ad esempio la situazione italiana: un nord ed un sud diversissimi e non omogeneizzabili, lascerebbero il posto a più macro-regioni con peculiarità specifiche.
A livello intercontinentale l’UE dovrebbe gradualmente spostare la propria attenzione dall’Atlantico al Mediterraneo, in particolare verso l’Africa Settentrionale (a compensare la strategia cinese verso quel continente) ed il Medio Oriente (a compensare la strategia statunitense verso quel continente).
9. Lo stato dell'arte economica
Ogni giorno di più appare evidente l’irreversibilità della crisi che affligge l'Italia. Governata secondo la convenienza di un sistema finanziario che ne ha succhiato fino all’ultima stilla il sangue assistiamo inerti alla spartizione delle ultime spoglie.
Il debito pubblico italiano ammonterà nel giugno 2021 a 2.700 miliardi di euro (160 % rapporto deficit/pil). Di questi il 5% è direttamente in mano alle famiglie e alle imprese italiane. Il resto si divide fra le banche centrali – la Bce e la Banca d’Italia, che hanno il 20%, le banche di credito ordinario, le assicurazioni, e i fondi d’investimento italiani, che hanno il 45% e le istituzioni finanziarie estere, che hanno il 30%. Ciò vuol dire che oltre 1300 miliardi di esso è stato acquistato dalle banche italiane, sottoposte alla moral suasion da parte del governo di acquistare, con i soldi della Banca centrale europea (Bce), i titoli del debito pubblico per evitare l’ascesa dello spread. In cambio hanno ottenuto che, in caso di default, sarebbero state salvate dallo Stato. Come? Non pagando le famiglie italiane, imponendo una patrimoniale ed elevando ulteriormente la pressione fiscale. Tutto OK dal punto di vista contabile ma KO per la ripresa.
Solo tagliando la spesa pubblica, riformando la pubblica amministrazione (a partire dalla giustizia), liberalizzando i servizi pubblici e privatizzandoli su larga scala, in 5 anni si potrebbero tagliare 150 miliardi di euro di debito pubblico, abbassare le tasse sul lavoro e sulle imprese, in particolare l’Irap e l’Irpef. Ma questo equivarrebbe al karakiri delle nostre forze politiche di sinistra (finalmente giunte al potere) abituate a finanziare gli investimenti con l'aumento delle tasse.
Chi non accetta questo scenario comincia a pensare che oggi è già domani e disegna gli scenari futuri. Una fase di transizione di breve-medio periodo (di stampo prevalentemente economico) ed una lunga fase di ristrutturazione (di stampo prevalentemente sociale).
Questi soggetti, fino ad oggi sottovalutati, operano un centimetro sotto il filo dell’acqua, ma, acquistata la piena consapevolezza del loro ruolo, potrebbero emergere come un iceberg, fatale per chi oggi guida la cosa pubblica come un nocchiero distratto del Titanic, navigando a vista se non a mosca cieca.
Secondo costoro l’epoca del relativismo e del provvisorio è finita, riprende l’epoca delle grandi narrazioni. Questi soggetti potrebbero essere i protagonisti di questo nuovo grande romanzo storico. Il plot è già segnato:
Fondare un piano strategico locale basato su di una nuova territorialità che preveda l’accorpamento dei 9000 Comuni italiani in non più di 1000, utilizzando questo processo come momento formativo che accomuni (o identifichi) stakeholder e nuova classe dirigente secondo un comune framework di governance/government.
Risanare, iniziando con decisione la dismissione delle partecipate ed utilizzare il risultato finanziario per invertire il trend del debito pubblico.
Valorizzare al massimo le risorse locali attraverso un modello produttivo basato su atelier sociaux 2.0 centrati sul concetto di inclusione sociale lavorativa, evitando lo sperpero dei finanziamenti a fondo perduto meramente assistenzialistici o la costruzione di opere inutili, per prosciugare il bacino clientelare e di finanziamento occulto partitico oggi costituito dalle cooperative sociali e dalla spartitocrazia dei grandi appalti pubblici.
10. La difficoltà del rinnovamento
In Italia, in barba ad ogni proclamato processo di partecipazione, la sovranità popolare dei cittadini è ormai limitata alla selezione periodica di un personale politico professionale sul quale, una volta eletto, non si ha più alcun controllo.
Gli strumenti di programmazione economica sono concentrati nelle mani di una oligarchia spuria, fatta dalla saldatura tra pochi imprenditori, poche banche e pochi politici. Quel che resta della democrazia, sta nella stretta di mano soffocante tra chi sostiene finanziariamente le campagne elettorali di politici disponibili a portare a buon fine certi interessi, nella remota speranza che siano legittimi ed almeno un poco di utilità per la comunità.
Le segreterie dei partiti impongono ai loro rappresentanti solo il compito di ratifica formale di accordi avvenuti in altre sedi.
Ne consegue una sempre maggiore separazione tra pratiche di governo e dettami di coscienza che lentamente erode ogni sistema di accountability.
L'influenza dei cittadini sulle questioni di policy, è diventata sempre più indiretta e remota, ma il moto di ribellione porta, nella migliore delle ipotesi, a scelte neocorporative. Nascono così i movimenti, per rinegoziare col potere problematiche circoscritte da una posizione di minore debolezza. Ma la rinegoziazione avviene attraverso dilazioni temporali consistenti a causa di percorsi burocratici di legittimazione labirintici. In tal modo i politici guadagnano tempo rispetto alle contestazioni, e cercano di riconquistare consensi, addebitando la responsabilità dei ritardi e degli ostacoli ad altri soggetti. Ma con questo comportamento finiscono per risultare poco incisivi e svuotati di effettive funzioni di governo (the hollowed-out state). Il ruolo dei movimenti, che hanno compiti circoscritti ad una tematica e orizzonti temporali limitati, non è quindi una soluzione efficace per intaccare un sistema di potere in avanzato stato di putrescenza.
Questi comportamenti possono portare ad un cortocircuito verso forme politiche postdemocratiche di cui alcuni movimenti ne sono già una visibile anticipazione (Movimento 5stelle, Movimento dei forconi, Movimento della Decrescita felice, Movimento delle Sardine, ecc.).
11. La possibilità del rinnovamento
All'indebolimento irreversibile della capacità di governo della macchina statale, potranno fare da contraltare solo dei policy networks con visione d’intervento a 360° e prospettive operative non circoscritte tematicamente e temporalmente. Dovranno usare forme organizzative reticolari e forme di comunicazione virali, solo così la loro diffusione, oltre gli ambiti di policy making, potrà gettare le basi per una riconfigurazione dell’amministrazione pubblica in senso orizzontale, una governance senza governo che colmi il divario tra stato e società civile.
A differenza di altri soggetti sbrigativamente definiti antipolitica, essi non dovranno centrare la propria azione su forme contestative, ma progettuali integrate in un piano strategico territoriale. Il loro impianto progettuale potrà fornire una risposta contenutistica a coloro che si vogliono impegnare politicamente attraverso soluzioni democratiche, che vadano oltre la concezione schumpeteriana della democrazia imperniata sulla leadership competitiva, oltre la negoziazione permanente neocorporativa, oltre l’ideale keynesiano del welfare state, oltre la concezione liberaldemocratica della rappresentatività. Civicness vuole inserirsi in questo solco.
La partecipazione non mediata del cittadino e delle associazioni della società civile può essere efficace se si struttura in una forza organizzata consapevole di democrazia liquida, capace di incanalare il proprio potenziale dirompente in forme realizzative concrete. La democrazia assume, in questa visione, le forme di una stakeholder democracy chiamata a ricercare il consenso preventivo dei soggetti sociali esposti agli effetti delle decisioni pubbliche prese.
12. Cos’é Civicness
Civicness è un ibrido, think tank e incubatore politico insieme, che basa la sua operatività sul concetto di democrazia partecipativa, un modo di produrre idee utili e condivise per realizzare progetti sociali. La produzione paritaria fatta da utenti attivi, peer pioneers, a cui tende, è commons-based cioè una produzione sociale orizzontale secondo un modello nel quale l'energia creativa di più persone è coordinata su progetti senza la tradizionale organizzazione gerarchica.
La cultura collettiva prodotta, cresce così in modo critico ed autoriflessivo, si autoregola attraverso tecniche di peer review che verificano l'attendibilità, la rilevanza e la gerarchia d’importanza dei contenuti.
Queste idee costituiscono il capitale sociale di Civicness ed anticipano i modelli di produzione sociale adattativi che si vorrebbe applicati per ridefinire le condizioni del mercato, portando con sé un cambiamento negli stili di vita.
L’aderente ideale a Civicness è un utente attivo (prosumer) che valorizza modalità d’uso diverse rispetto ad un utente passivo (consumer), che consuma i prodotti solo attraverso l’uso per cui sono stati progettati. La sua user innovation costringe il sistema delle imprese a stare in sincronia con la produzione sociale pena la sua scomparsa.
Civicness nasce poiché la crisi economica e culturale italiana sta per diventare irreversibile e richiede la mobilitazione di tutti i cittadini sensibili e competenti. Occorre evolvere dalla passività al protagonismo, dal particolarismo alla partecipazione responsabile. L’entusiasmo della progettualità deve sostituire la consolazione della protesta; il disagio non si esorcizza con sterili polemiche ma con proposte costruttive. La conoscenza ed il rispetto del passato non devono indurre alla contemplazione nostalgica ma alla valorizzazione della sua eredità nel presente e nel futuro.
Civicness nasce per promuovere e pianificare lo sviluppo strategico del nostro territorio. Senza identificarsi in un contenuto specifico, sentite le istanze e le indicazioni dei cittadini, raccoglie i frutti del lavoro di tanti.
Civicness nasce per fare rete. La comunicazione di esperienze, conoscenze, insegnamenti tra le diverse entità operanti sul territorio deve essere il comune denominatore di ogni atto operativo, in modo che ciascuno sappia proficuamente riposizionarsi di conseguenza.
13 Riorganizzazione territoriale amministrazioni locali
La configurazione delle regioni italiane va ripensata secondo omogeneità ovvie.
Ad esempio crediamo che la Liguria sia principalmente un artificio contabile per spostare il grosso delle risorse nell’area genovese. Occorre invece guardare oltre i valichi. Imperia e Savona sono il Piemonte marittimo. Occorre per tornare alla vecchia perimetrazione ideale già proposta dalla Marca Aleramica e dal Dipartimento Napoleonico di Montenotte che permetterebbe grandi sinergie e scambi virtuosi.
Analogamente la configurazione delle Regioni Europee andrebbe ripensata. Ad esempio bisognerebbe dar vita ad una regione transnazionale delle Alpi del Mare che comprenda Val d’Aosta, Piemonte, Liguria e P.A.C.A.
Anche la configurazione dei comuni va drasticamente ripensata per ridurne il numero ma facendolo in maniera virtuosa. Ad esempio i 6 comuni savonesi andrebbero accorpati coi 15 comuni valbormidesi. Questa logica accorpativa permetterebbe il superamento delle entità Provinciali.
Questi 21 comuni, geograficamente, economicamente, culturalmente lo sono già entità complementari. Solo politicamente questo non accade, principalmente per favorire la moltiplicazione delle poltrone politiche e delle burocrazie onnivore. Un unico Comune permetterebbe invece forti risparmi di gestione da investire in maniera mirata rispetto alla specificità dei differenti luoghi.
Da questo presupposto nasce l’idea di tante forze politiche di opinione trasversali intercomunali che abbiano come compito la formazione di un unico piano strategico intercomunale come base del programma elettorale. La discussione del programma elettorale è la base di maturazione di una nuova classe dirigente che senza alcun filtro pone la propria candidatura. I candidati autopropostisi vengono votati attraverso primarie anche informatizzate. Il primo impegno in ogni comune sarà quello di gestire una rete che si batta per l’unificazione di tutti i comuni.
14. Il conto economico
Nei Comuni italiani va fatta una profonda trasformazione del government e della governance. Essa può avvenire solo con la razionalizzazione dell’esistente volta a generare ricadute economiche positive. Una regola generale di buona economia riguarda gli stipendi, sul modello in uso nelle imprese private virtuose: una forbice tra stipendio massimo e stipendio minimo netti non superiore ad 1 a 5. Se quindi ipotizziamo uno stipendio minimo di 1.000-1.200 €/mese netti, non dovrebbero esserci stipendi superiori a 5.000-6.000 €/mese netti.
Lo stipendio del Sindaco, in quanto massima carica elettiva, deve essere inteso come figura apicale ed il suo stipendio deve essere equiparabile a quello del Segretario Generale. A discendere gli stipendi degli Assessori, in quanto massimi responsabili delle scelte politiche di ogni settore, devono essere adeguati a figure direttive ed equiparabili a quelli dei Dirigenti di Settore.
Sul loro numero deve valere la norma del minimo indispensabile.
Questa la nostra proposta di suddivisione assessorati/settori:
Sindaco (Controllo realizzazione programma, Statuto e Partecipazione)
Settore Territorio (Urbanistica, Lavori Pubblici, Casa, Mobilità ed Ambiente)
Settore Risorse (Bilancio, Partecipate, Patrimonio, Personale, Servizi Demografici e CED)
Settore Sostegno socio-economico (Scuola, Occupazione, Promozione sociale e Sanità)
Settore Promozione socio-economica (Cultura, Sport, Commercio e Turismo)
Questa riorganizzazione interna può portare da sola ad un risparmio di oltre 1 milione di €/anno.
Principali obiettivi di legislatura:
Riforma dello Statuto Comunale.
Promozione della Partecipazione dei Cittadini.
Creazione di un Piano Strategico intercomunale che coordini ogni scelta operativa.
Piano straordinario per le Emergenze Territoriali.
Rientro dal Debito Comunale attraverso la dismissione delle partecipate.
Riduzione del personale dipendente fisso grazie all’e-government.
Assegno di cittadinanza per i non occupati o di integrazione per i sottoccupati legato ad attività lavorative per la valorizzazione del Patrimonio Comunale.
La cessione delle partecipate può portare da sola ad un rientro dall’indebitamento pubblico comunale.
15 Lo Statuto Comunale
Se un cittadino volesse partecipare alla vita politica cittadina, a dispetto di qualsiasi pratica di inclusione e di democrazia partecipata, lo Statuto Comunale non offre grandi possibilità.
Questi sono alcuni requisiti che esso deve avere:
Deve esistere un regolamento sulla partecipazione popolare.
Lo Statuto deve poter essere modificato dai cittadini.
Deve esistere la proposta di delibera di iniziativa popolare.
Deve esistere un referendum abrogativo
Cosa scontiamo nei comuni italiani? Il fallimento delle politiche di partecipazione.
Perché? Per spiegarlo facciamo riferimento alle tre categorie classiche del fare politica: la politics, la policy e la polity.
Con il primo termine l’attenzione viene posta sul fare politica proprio della struttura partito che esprime una sua idea di government.
Con il secondo termine l’attenzione viene focalizzata sull’apparato normativo che permette la governance.
Con il terzo termine si indica la complessità reticolare dei soggetti sociali chiamati ad esprimersi come stakeholders.
Un sistema virtuoso riesce a calibrare il giusto mix. Nel momento in cui uno di essi prevarica sugli altri, il sistema entra pericolosamente in crisi.
Cosa vuole ottenere il primo soggetto attraverso la partecipazione?
1. Un aumento di popolarità che possa tradursi in un aumento di consensi al momento delle elezioni. Ma poiché i partiti non sono più un monolite ideologicamente compatto ma una aggregazione di competitor più o meno permanenti, il protagonismo di un politico gli dà una visibilità eccessiva che potrebbe tradursi in un vantaggio che i suoi stessi compagni di squadra non possono consentirgli.
2. Cosa vuole ottenere chi crede in una politica che regoli la partecipazione in un sistema normativo? Che esso sia incardinato nei meccanismi di funzionamento abituali della macchina amministrativa pubblica. Ma poiché la dirigenza pubblica non è più un organismo puramente tecnico super partes, poter avere le redini delle regole giuridiche in mano può diluire o accelerare le tempistiche realizzative fino a farle diventare strumenti coercitivi o inefficaci, a seconda che ciò aumenti o riduca il proprio potere.
3. Infine i soggetti sociali chiamati a diventare protagonisti della partecipazione sono interessati a fare in modo che gli stakeholders portino a casa quanti più successi è possibile. Ma poiché la loro composizione ha una complessità reticolare, tra di essi vi sono coloro che usano il loro ruolo di referenti come una delega rappresentativa che può anche essere letta come il primo atto di una possibile discesa in campo futura. Ciò li pone in una posizione di competitors potenziali con i politici, specialmente se operano bene rispetto agli interessi degli stakeholders e di interlocutori tenaci ma disarmati nei confronti di chi gestisce il volante della macchina comunale.
Per cui la proposta progettuale che nasce, matura, si perfeziona e si realizza attraverso un processo di partecipazione viene vista attraverso la lente deformata degli interessi di categoria. Il politico vede in essa il pericoloso trampolino di lancio di una nuova classe dirigente politica, i dirigenti comunali vedono un’inammissibile invasione di campo degli equilibri consolidati a loro vantaggio, i cittadini si sentono traditi.
Le risorse che dovrebbero essere accantonate per la realizzazione dei progetti presentati o scompaiono o vengono reindirizzate in favore di quei settori che risultano i cardini di un potenziale voto di scambio.
16 Né Sparta né Metropolis
Uno dei problemi più gravi che affliggono i Comuni italiani è una perniciosa commistione tra government e governance. Chi amministra pro tempore la cosa comune con compiti di indirizzo (essendo stato legittimato dagli elettori) e chi lo fa longo tempore con compiti esecutivi (essendo stato legittimato dalla vincita di un concorso) dovrebbero essere due facce distinte ma della stessa medaglia di buon conio: la pratica del buon governo.
Cosa succede invece spesso?
Ora sono due facce contrapposte in una continua lotta di prevaricazione l’una sull’altra che porta all’immobilismo.
Ora sono due facce sintoniche all’avvallo comune della malagestio.
Come rompere questo circolo facendolo diventare virtuoso?
Introducendo un elemento terzo: il controllo dei cittadini, favorito dall’accessibilità costante all’informazione del loro operato. Una semplice prassi di trasparenza oggi resa assai facile da internet consiste nella pubblicazione permanente in libera consultazione sul sito del Comune non solo delle delibere politiche di giunta e di consiglio (cioè le decisioni politiche assunte ufficialmente), che sono la testa del provvedimento, ma anche le determine dirigenziali (cioè i documenti tecnico-finanziari attuativi di una delibera) che di quel provvedimento sono le gambe. Esse devono essere presenti per un tempo illimitato nell'albo pretorio on-line.
Cosa si scopre talvolta con sorpresa (ma dopo una certa fatica per la ricerca della documentazione)? Che la testa/delibera e le gambe/determina non appartenevano curiosamente, allo stesso animale.
Di qui l'esigenza di una sistematica pubblicazione permanente e correlata di ogni atto deliberativo ad ogni atto esecutivo, rendendola all’istante pienamente legittima e coerente, non solo giuridicamente (come è oggi), ma anche eticamente.
Non ci piace né la Sparta di un oligarchico potere dittatoriale né la Metropolis di un incontrollabile flusso burocratico di informazioni, dove per ogni bit in rete, c’è sempre il sospetto del frusciare dei soldi pubblici nelle tasche sbagliate di qualcuno.
17. La semplificazione amministrativa
Un fantasma si aggira nell’Amministrazione Pubblica: la semplificazione amministrativa. Chi dice di averlo visto lo descrive come un processo di cambiamento delle procedure per renderle più efficienti, trasparenti, vicine ai cittadini e alle imprese. Noi questo fantasma non lo abbiamo mai neppure intravisto. Da noi vige saldo un modello burocratico, pleonastico ed autoreferenziale, che pone l'accento solo sulla legittimità degli atti, attraverso un’esasperata attenzione alle procedure, incurante dell'effettivo grado di raggiungimento degli obiettivi che l'ente si è posto.
Questo fantasma esibisce due libri sacri. Il primo ha un titolo seducente: New Public Management. Sostiene l’utilità di responsabilizzare e motivare i dirigenti al fine di ottenere risultati non solo formali ma anche sostanziali, facendo leva su un sistema di incentivi sulle retribuzioni attraverso la certificazione della qualità dei servizi basata sul modello delle tre E (efficienza, efficacia ed economicità).
Poiché la prospettiva finanziaria non può essere il core business di una amministrazione pubblica, l’attenzione si sposta piuttosto verso una minuziosa riduzione degli sprechi, attraverso la riprogettazione dei processi, eliminando passaggi inutili o ridondanti, per ottenere un servizio che soddisfi l’utente, tenendo anche conto che gli stakeholders sono di natura plurima (istituzioni, associazioni senza scopo di lucro, cittadini privati, imprese e altri enti pubblici in rete).
Questo collaborative public management pretende di integrare il diritto amministrativo e le pratiche gestionali tradizionali con una metodologia orientata all'interesse pubblico finale. La misurazione delle performance ed il controllo sui risultati avviene tramite una balanced scorecard, sognando di giungere al mitico obiettivo di una governance without government.
Ma una scheda di valutazione bilanciata per essere efficace deve permettere di tradurre mission e strategic management dell'impresa in un insieme coerente di performance misurabili. Mediando la terminologia dal settore privato si possono individuare quattro punti di osservazione chiave:
La financial perspective – Nel nostro caso, tenendo presente che una amministrazione pubblica non è orientata alla produzione di profitto, la riduzione del debito.
La customer perspective – Nel nostro caso una facilitazione dei rapporti col cittadino attraverso un URL efficiente.
La business process perspective – Nel nostro caso un miglioramento dei servizi all’utente attraverso l’implementazione dell’e-government.
La learning and growth perspective – Nel nostro caso una incessante ricerca ed analisi di best practices da imitare e possibilmente migliorare.
Possiamo sostenere che da tutte le prospettive si voglia guardare l’amministrazione pubblica italiana, l’insuccesso è consolidato: l’indebitamento, tra i più alti del mondo, continua a crescere; siamo privi di URL efficaci; informaticamente siamo arretrati ed incapaci di perseguire best practices.
Ciò non ha impedito che i nostri dirigenti abbiano delle balanced scorecard costruite in modo che la misurazione delle loro performance risulti sempre eccellente. Prova ne sono i cospicui premi incentivanti ottenuti.
Se colpa di insuccesso c’era che lo si cercasse tra le ondivaghe indicazioni politiche di direct and control. Incapaci di dare un indirizzo (direct), che non si sognassero di punire l’insuccesso (control). Con buona pace di ogni governance without government e di ogni collaborative public management.
Il secondo testo sacro ha un titolo non meno seducente del primo: Public Value Theory, centrato sull’importanza crescente di considerare i cittadini non come sudditi ma come un valore, un capitale sociale, fatto di coesione, di relazioni, di identità culturale, di dialogo democratico e di partecipazione attiva. Solo una governance attuata tramite Networks and Partnerships e Civic leaders può sostenere il valore ecologico del territorio e la promozione dello sviluppo sostenibile.
Anche in questo campo le cose non vanno troppo bene: l’Italia è sede di innumerevoli incompiute, molti siti sono inquinati, gran parte del territorio soffre di dissesto idrogeologico, e dulcis in fundo il processo di partecipazione è abortito sul nascere.
Cosa vorremmo invece?
Che esistesse un processo di comunicazione wiki, chiaro, costante e visual friendly come parte costitutiva di un rapporto fiduciario tra la pubblica amministrazione ed i cittadini.
In Italia esistono centinaia di siti internet pubblici. Non sarebbe meglio averne uno solo che tutti li includa, con una adeguata equipe che smisti le domande a chi di dovere e fornisca in tempi ragionevoli le risposte? Il sito della Pubblica Amministrazione è molto importante poiché è la prima interfaccia che un cittadino incontra nei rapporti con lo Stato. È un grande URP virtuale.
I siti della PA italiana, anche ad una lettura disattenta ed inesperta, appaiono come depliants pubblicitari mal scritti, una stratificazione geologico - informatica di tempi ed esigenze diverse, frutto di compromessi contrastanti, in cui, ad ogni nuova esigenza di colmare un buco normativo, un diverso operatore vi ha messo una toppa. Risultato: tante toppe nuove su un tessuto logoro fanno il buco ancora più grande.
Eppure non sembrerebbe difficile creare un’unica interfaccia che offra la possibilità di porre quesiti ed ottenere risposte. In particolare serve chiarire come, ciò che si è deciso politicamente sia stato applicato operativamente. Il cittadino deve sapere chi ha pensato cosa e chi lo ha attuato come. Il regolamento applicativo è spesso scritto in maniera incomprensibile o crea dubbi e possibili interpretazioni diverse. Non è un cavillo da azzeccagarbugli. Vi sono esempi in cui la volontà di una legge è stata travisata e resa inefficace in un regolamento applicativo. Oppure vi sono regolamenti che sembrano partire motu proprio dai dirigenti, e di cui i politici dicono di non saperne nulla.
18. Guardare lontano: un piano strategico territoriale
Avviare un piano strategico territoriale è l'atto di fiducia di chi proclama che la crisi di identità della comunità italiana è terminata. Finita l’epoca della prosperità assicurata da industrie importanti, porti commerciali, agricoltura specializzata, flussi turistici costanti, si volta pagina chiamando a raccolta tutti, primi i giovani, per arrestarne la fuga verso l’isola che non c’è, un altrove creduto migliore.
Un punto di partenza comune può essere costituito dal desiderio diffuso di uno stile di vita che tuteli la propria salute psicofisica in armonia con l’ambiente naturale e ci faccia essere protagonisti della complessità sociale. Riscoprire il senso di appartenenza ad un luogo fisico e ad una comunità viva, fa vedere come un valore (e non come un limite) il less is more di uno stile di vita lontano dagli eccessi della sprecopoli dell’iperconsumismo.
La nuova cultura prende le mosse da alcuni concetti chiave che fa propri, li sperimenta per verificarne l’efficacia, sondarne i limiti, individuarne le contraddizioni, e cerca di andare oltre: riallocazione delle risorse disponibili; bioeconomia; minimizzazione dell’impronta ecologica; rivalutazione dell’agricoltura.
Certamente molto andrà cambiato ma con la forza tranquilla di chi sa che esistono potenzialità intellettuali e disponibilità finanziarie in grado di progettare una visione organica e di avviarla alla realizzazione.
Il processo di rinnovamento coinvolge l’intera comunità al fine di sfruttare e riallocare le risorse oggi disponibili, per garantire ai cittadini un benessere concretamente percepibile basato prima di tutto sull’innalzamento della soglia reddituale minima indispensabile ad una dignitosa esistenza. Ciò può avvenire attraverso: un diverso modo di produzione che non confonde lo sviluppo con la crescita e la localizzazione con l’autarchia; un diverso metodo di formazione e trasferimento dei saperi; un diverso modo di gestione delle decisioni.
Un piano strategico ha lo scopo di sperimentare concrete forme di attività operativa basate sui seguenti principi caratterizzanti: valorizzazione delle dimensioni locali del territorio, sostenibilità ambientale, promozione della partecipazione, attenzione verso i giovani disoccupati, promozione della messa in rete delle imprese operanti sul territorio, promozione degli scambi di saperi attraverso manifestazioni, mostre, pubblicazioni, conferenze, incontri, siti web, ecc., promozione di nuove imprese in cui le condizioni di lavoro garantiscano la possibilità di accedere ai beni essenziali per una dignitosa esistenza degli occupati, promozione di rapporti tra produttori e consumatori atti a far crescere la consapevolezza di essere allo stesso tempo sia fornitori, sia fruitori di beni e servizi.
I progetti relativi alle dimensioni locali dei territori devono proporre la propria area come paradigma per aree più vaste di quelle meramente comprese dai confini comunali. Con questa espressione si intende uno spazio concettuale non solo di elaborazione e comunicazione di idee ma soprattutto operativo, in grado di valorizzare le risorse locali attraverso:
1. Gestione partecipata della popolazione attraverso meccanismi paritari efficaci.
2. Creazione di sistemi economici complementari che tengano conto delle peculiarità locali, basati sul reinvestimento locale delle risorse economiche.
3. Gestione razionale del ciclo dell’energia, promuovendo il recupero di aree degradate attraverso opere di ingegneria naturalistica, rimboschimento ed attivazione di processi commerciali relativi alla filiera del legno combustibile per produzione energetica sostenibile.
4. Agricoltura e Silvicoltura specializzata, promuovendo sistemi di prevenzione dal rischio esondazione dei corsi d’acqua ed inquinamento atmosferico, attivando provvedimenti integrati per la gestione produttiva dei rifiuti solidi, favorendo la gestione delle terre coltivabili attraverso azioni di agricoltura e zootecnia sostenibile.
5. Nuove metodiche di Artigianato specializzato, promuovendo la comunicazione e la cooperazione fra comunità tecnologico-scientifica e cittadini attraverso pratiche di formazione ed assistenza volte all’attivazione di processi produttivi peer pioneers in funzione prosumer.
6. Gestione dei flussi turistici centrati sulla valorizzazione dell’identità, come strumento per rafforzare il senso di appartenenza dei nativi e come valido attrattore per forestieri, favorendo le potenzialità attrattive di turismo culturale e religioso, anche attraverso la messa in sistema di Locande, B&B e Agriturismi e la promozione di sistemi di trasporto sostenibili delle persone.
Il gruppo promotore, stilati gli indirizzi ed analizzati i vincoli, individua gli organismi pubblici e privati interlocutori dei diversi progetti di cui si compone il PST, ed avvia il processo: stila un quadro delle risorse finanziarie, crea una o più equipe di progetto che affianchino il livello decisionale e cooperino con esso per migliorare l'operatività, crea un forum di discussione (costituito dagli aderenti) per consentire la partecipazione pubblica alle diverse fasi, dà l’avvio ai progetti secondo un programma attuativo (command and control).
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Sostiene Natrusso affronta sotto forma di metafora il luogocomunismo imperante spacciato sotto la categoria etica del politicamente corretto. Raccoglie in maniera sistematica i post pubblicati sul blog “La verità per favore” (https://civicnessitalia.blogspot.com/). Sono toccati temi sociali (vi parlo di politica), ecologici (bufala verde non avrai il mio scalpo), transfrontalieri (import export) ed economici (pochi maledetti e subito). Ne esce uno spaccato anticonformista, vivace ed immediato della vis polemica che l’autore quotidianamente riversa nei suoi seguitissimi social.