STORIE DEL BOSCO SAVONESE
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TIMBERLAND TERRE DA LEGNO
Una proposta integrata agro-energetica per il recupero ambientale e produttivo dell’entroterra igure
testo e conduzione di Nat Russo
colonna sonora e video di Claudio Baseotto
Cari amici che come me state dalla parte del bosco un saluto da Nat Russo. Ho voluto chiamarlo Timberland/Terredalegno, il progetto operativo ispirato dalle ricerche del Prof. Ferruccio Pittaluga dell’Università di Savona, parafrasando la foresta canadese divenuto poi un noto brand commerciale.
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1/4 Le storie del bosco
Negli ultimi 12.000 anni lo sviluppo dell’agricoltura ha consentito all’umanità di crescere e di sviluppare una società evoluta tecnologicamente, ma questo fatto ha comportato contemporaneamente anche la distruzione delle foreste e dei boschi e la desertificazione di immense superfici.
Il potere che l’agricoltura ha dato all’uomo, liberandolo dalla quotidiana ricerca di cibo per sopravvivere, e permettendogli di sviluppare il pensiero creativo e tecnologico, ha aumentato a dismisura la sua capacità di trasformare e modi care il paesaggio e l’ambiente circostante, ma la scarsa conoscenza (il più delle volte, voluta o indotta) degli equilibri ecologici gli ha impedito di perseguire uno sviluppo sostenibile ed un rapporto armonico con il suo ambiente.
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In questo scenario va riconsiderata la nozione di “specie arboree autoctone”, riportandola dall'angusta visione, oggi prevalente, limitata alle ultime centinaia d’anni (dove l’intervento dell’uomo è stato determinante) ad un contesto di almeno qualche millennio: per intenderci, quello in cui, ad esempio, le colline che contornano la valle di Albenga erano coperte, prima che la Repubblica di Genova ne utilizzasse il legno per le sue galee, da splendidi esempi di “foreste dei climi temperati”.
Tali foreste, che per la Liguria erano un tempo “la norma”, presentano una vegetazione tipica formata da latifoglie ad alto fusto, generalmente decidue: ad un periodo di intensa attività biologica vegetale, con abbondante produzione di biomassa, della durata di circa sei mesi, segue un periodo all'incirca altrettanto lungo in cui si ha riposo vegetativo. Al contrario delle conifere, le piante latifoglie non producono e etti di acidi cazione del terreno in cui crescono; il suolo che si sviluppa è pertanto piuttosto ricco, profondo, stabile e permette lo sviluppo di un rigoglioso sottobosco, refrattario agli incendi.
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In questa situazione, la strategia di “salvaguardare l’esistente” mettendo vincoli agli interventi di recupero vegetativo e di ripristino di fertilità dei substrati appare in linea con la logica di “mettere dei guardiani ad un cimitero”.
Tale logica è quella stessa che ritiene di poter risolvere il problema degli incendi aumentando il numero dei Canadair ovvero di contrastare le frane e le alluvioni tramite le cementificazioni di contenimento dei pendii e degli alvei.
Per le situazioni di conclamato, o progressivo, degradamento dei terreni della Liguria, la proposta che qui viene formulata è quella di perseguire consociazioni arboree che sostituiscano o affianchino le specie esistenti (n.b.: le conifere vanno tagliate e progressivamente eliminate) tramite inserimenti mirati delle seguenti specie:
Specie più importanti e a maggior densità per ettaro: Olmo siberiano, Frassino ossi llo, Mirabolano, Ciliegio di Santa Lucia (Magaleppo), Olivello di Boemia.
Specie accompagnatrici: Farnia, Ontano napoletano, Sorbo domestico, Pero selvatico piccole quantità di Pioppo cipressino e Salice bianco.
Ove già non siano localmente presenti arbusti appartenenti alla famiglia delle leguminose, è opportuno affiancare alle specie arboree di cui sopra alcune specie arbustive a rapida capacità azoto fissatrice (ad es., la ginestra odorosa).
A questo punto, per definire gli ordinamenti colturali (cioè i sesti di impianto) delle specie consociate bisogna stabilire l’obiettivo dell’intervento.
Se l’intendimento è quello di riforestare un territorio ai ni del suo recupero naturalistico, idro-geologico ed ecosistemico, quindi senza prevedere, almeno per i 30 anni successivi all’intervento, alcun diradamento o abbattimento importante di alberi allo scopo di utilizzarne il legno, allora il sesto d’impianto può tipicamente prevedere una distanza lungo le la (DLF), tra fusto e fusto, pari a 1,75 m ed una distanza tra le la (DTF) di 4,00 m, con un conseguente numero di piante per ettaro pari a 1428 piante/Ha. Questa modalità di intervento appare molto adatta al recupero di pendii anche scoscesi nel nostro primo entroterra.
Se invece l’intendimento è quello di produrre fusti pregiati di Ciliegio, Frassino, Olmo e Ontano, prevedendo quindi tagli a medio-lungo termine (tra il 20° e il 30° anno), allora i sesti di impianto saranno caratterizzati da distanze DLF pari a 1,75 m e distanze DTF non superiori a 3,50 m, con circa 1650 piante/Ha.
Invece, se l’obiettivo è quello di massimizzare la produttività di biomassa legnosa per ettaro e per anno a scopo di produzione energetica, allora i sesti di impianti possono diventare molto tti (compatibilmente con l'orografia a ligure), con DLF e DTF che possono scendere, entrambi, sino a 1,30÷1,40 m a cui corrisponderanno no a 6000 piante/Ha. In tal caso, ove non siano presenti pozzi, sorgenti o piccoli corsi d’acqua a distanza ragionevole, sarebbe opportuno predisporre sul territorio alcune raccolte di acqua piovana o di falda a ni di procedere con qualche irrigazione durante l’anno. Le ceduazioni avverranno tipicamente ogni 6 anni, con 2 o 3 ricacci (sempre a distanza di 6 anni l’uno dall’altro) da parte delle ceppaie ripollonanti. Questa modalità di forestazione a crescita rapida, di cui un esempio è osservabile a margine della discarica di ri uti speciali in località Bossarino (Vado Ligure), riesce a garantire, ogni 6 anni, produzioni dell’ordine di 500-600 tonnellate per ettaro, cui quindi corrispondono produttività di 80-100 ton/(ha*anno), cioè ben oltre 10 volte le normali produttività che si riscontrano sui terreni boschivi della Liguria. Un risultato non secondario di questa strategia è un deciso incremento della fertilità dei substrati, con notevole aumento dello spessore dell’humus e insediamento di un rigoglioso sottobosco. I terreni, a vocazione boschiva, che, in Alta Val Letimbro, fanno parte del comprensorio di proprietà delle Opere Sociali di Savona presentano, ad una prima osservazione, caratteristiche molto variabili, sia in termini di esposizione, acclività, copertura boschiva e tipologia di piante.
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3/4 Recupero idro-geologico e incremento di produttività per i terreni di proprietà delle Opere Sociali di Savona
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Ove il bosco risulta ricco di specie arboree ed arbustive, ci si ritrova in pieno all’interno di una macchia mediterranea cosiddetta “alta”, ove la vegetazione dello strato superiore è prevalentemente composta da specie a portamento arboreo, con chiome che raggiungono i 4-5 metri d'altezza: ivi, sono rappresentative le specie del genere Quercus (leccio, roverella), quelle del genere Phillyrea (ilatro e ilatro sottile), ed inoltre Arbutus unedo (corbezzolo), alcune specie del genere Juniperus (in particolare Ginepro rosso), il lentisco e altre di minore diffusione.
In alcuni casi si osservano scenari tipici della cosiddetta “foresta mediterranea sempreverde”.
In altre zone, si riscontra la presenza di macchia mediterranea “bassa”, ove la vegetazione dello strato superiore è prevalentemente composta da specie a portamento arbustivo, con chiome che raggiungono al massimo i 2-3 metri d'altezza, ove, nella composizione possono entrare specie tipiche delle garighe, come l'euforbia arborea, le ginestre e altre cespugliose, quali i cisti e il rosmarino.
Tali situazioni sono assolutamente da salvaguardare e andrebbero conosciute e valorizzate ben più di quanto oggi si faccia. In particolare non dovrebbero essere permessi interventi quali aperture di strade di accesso, o installazioni eoliche ovvero discariche!
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Purtroppo, la prevalenza dei terreni non si trova però nelle condizioni di cui sopra, ma si presenta degradata dall’intervento dell’uomo che, negli ultimi secoli, ha tagliato i boschi e le foreste in modo sconsiderato e ha sostituito le specie autoctone piantando, a scopo utilitaristico, prevalentemente castagni e conifere. Tali “nuovi” boschi, lasciati a se stessi, si sono progressivamente degradati sino alla situazione attuale ove si notano zone a grande rischio di incendio ovvero in stato di forte degrado idro-geologico, con tendenza a instabilità dei pendii. In più, mentre le pinete mono - colturali (pinus pinaster) diventano preda di parassiti (evidenziando come i nostri antenati sbagliarono nello scegliere questa specie, in realtà tipica dei climi montani e non mediterranei), l’alternativa, purtroppo già molto avanzata, è quella di vedere vaste colonizzazioni da parte di specie invasive (robinia, ailanto), aspettando un prossimo parassita che si faccia carico di contrastarle.
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Per i terreni, anche in pendio, che si trovano nelle condizioni di degrado, diradamento della vegetazione, aridificazione e rischio ambientale la proposta è quella di consolidare i substrati e aumentare la fertilità dei suoli attraverso inserimenti di specie arboree consociate (peraltro, ritenute erroneamente “non autoctone”!) atte ad aumentare il livello di biodiversità delle specie arboree ed arbustive ivi presenti e indurre progressivamente una ricostituzione del sottobosco. Una parte di questi terreni, una volta recuperati, potrà venire indirizzata alla produzione intensiva di biomassa legnosa vergine a scopo energetico ovvero alla produzione di legname di qualità. Avendo un fogliame ricco d'azoto, le specie consociate sono in grado di aumentare la fertilità del terreno, la presenza dei lombrichi e la carica microbica, sino a livelli molto superiori a quelli di altre specie arboree, soprattutto poi se mono-colturali. Le specie consociate sono nitro le e possiedono un apparato radicale in grado di approfondirsi parecchio nel terreno: per tali motivi, resistono alla siccità e, se vengono concimate ed irrigate una-due volte all'anno, sono in grado di raggiungere produzioni veramente imponenti, con un legname di ottima qualità. In alcune situazioni, potrebbe essere necessario intervenire predisponendo (a meno che qualcosa non esista già), soprattutto per i primi anni dopo il trapianto delle nuove specie, vasche di raccolta (ricavate nel terreno o per no trasportabili) per l’acqua e semplici impianti (anche mobili) di irrigazione. Le piantine potrebbero venire prodotte tramite insediamento in zona di un vivaio forestale condotto, inizialmente, da esperti e poi, progressivamente, gestito direttamente da personale di Opere Sociali. Vista la localizzazione in territorio particolarmente vergine sotto il profilo ambientale, il vivaio forestale potrebbe eventualmente prevedere un’area dedicata alla produzione di piante medicinali di riconosciuta (e certificata) attività fitoterapica anche in ambito clinico.
4/4 Filiera del legno
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Una volta che si sia insediata una prima attività di produzione di biomassa tramite cippatura di materiale legnoso (e non) proveniente da: pulizia del sottobosco diradamento o taglio dei boschi esistenti sfalci e ri uto verde (opportunamente essiccato) in prospettiva, taglio dei boschi consociati si interverrà con il suo utilizzo a scopo energetico tramite gassificazione termica, con impianti per la produzione del cosiddetto bio-syngas (una miscela di CO, H2 e N2). La strategia che si intende perseguire poggia sui seguenti capisaldi, da venire realizzati in sequenza temporale:
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Produzione primaria di syngas e sua distribuzione tramite micro-rete locale atta all’alimentazione di bruciatori per caldaie da riscaldamento, domestico o rurale (serre) Auto-produzione (ad uso locale) di energia elettrica e calore tramite alimentazione del syngas a opportuni gruppi moto-generatori a combustione internaProduzione di energia elettrica da immettere in rete nazionale sfruttando le tari e di vendita particolarmente incentivanti: in questo caso i gruppi moto-generatori sarebbero “dedicati” alla produzione e vendita di energia elettrica mentre il calore prodotto (gratuito!) verrebbe utilizzato localmente.
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Prospettive occupazionali: Il corso viene attivato per fare fronte alle necessità della creazione di un distretto energetico integrato con l'installazione di generatori a biomasse, pirogassificatori per la produzione di energia e calore puliti. La pirolisi è un processo di decomposizione termochimica, ottenuto mediante l'applicazione di calore e in completa assenza di un agente ossidante.