Capitolo 2
I limiti della rappresentanza
2.1 La delega che svuota la sovranità
La democrazia rappresentativa si è sviluppata storicamente come risposta alla complessità delle società moderne. In contesti dove la partecipazione diretta di milioni di cittadini sarebbe logisticamente impossibile, la rappresentanza è sembrata per lungo tempo la forma più efficace di mediazione tra cittadini e potere.
Ma il principio della rappresentanza implica necessariamente un trasferimento temporaneo della sovranità. Chi vota “cede” il proprio potere di decisione a un rappresentante, per un determinato lasso di tempo. Questo meccanismo funziona solo se accompagnato da un rapporto fiduciario stabile tra elettori ed eletti. Quando tale fiducia viene meno — come accade sempre più spesso — la delega si trasforma in spoliazione.
Il filosofo Bernard Manin, nel suo classico Principes du gouvernement représentatif (1995), ha chiarito che la rappresentanza non è mai stata — nemmeno in origine — una forma di “democrazia diretta su larga scala”, bensì un sistema che pone una distanza strutturale tra i rappresentanti e i rappresentati. Questa distanza oggi appare insostenibile.
2.2 Partitocrazia e autoreferenzialità
Uno degli effetti più critici del sistema rappresentativo contemporaneo è l’affermarsi di una vera e propria autoreferenzialità del potere politico. I partiti, da strumenti di rappresentanza sociale, si sono trasformati in strutture oligarchiche, che rispondono più a logiche interne che alle reali esigenze dei cittadini.
Come osserva il politologo Giovanni Sartori in Elementi di teoria politica (1987), i partiti rischiano di “occupare lo Stato” anziché mediare tra Stato e società. La conseguenza è un ciclo autoreferenziale in cui le decisioni vengono prese all’interno di un sistema chiuso, poco trasparente, poco reattivo e refrattario al cambiamento.
Ciò è aggravato dall’uso strumentale delle consultazioni popolari: si promuovono referendum solo quando conviene politicamente, o si fissano soglie di accesso (come il quorum) che impediscono il reale esercizio della sovranità.
2.3 Il “tempo lungo” della politica contro il “tempo reale” della società
Uno dei conflitti più evidenti tra rappresentanza e realtà contemporanea riguarda il disallineamento temporale. Le istituzioni decidono secondo cicli lunghi e rigidi: una legislatura dura cinque anni, i bilanci pubblici si preparano annualmente, le riforme richiedono anni per essere implementate.
La società, al contrario, si muove a ritmi accelerati. Le tecnologie digitali, l’economia globale, le emergenze ambientali e sanitarie impongono decisioni rapide e flessibili. In questo scenario, l’attesa democratica diventa frustrazione. Le persone percepiscono la lentezza delle istituzioni come inadeguatezza, e la rappresentanza come ostacolo piuttosto che come mediazione.
Il sociologo Manuel Castells parla di “asfissia istituzionale” in sistemi democratici incapaci di adattarsi al tempo della rete. Questo spiega in parte il successo di movimenti che invocano consultazioni continue, strumenti digitali di voto e deliberazione, e una revisione profonda dei canali decisionali.
2.4 Le promesse non mantenute della riforma
Negli ultimi trent’anni molte riforme istituzionali in Europa (inclusa l’Italia) sono state presentate come tentativi di avvicinare cittadini e politica: riforme elettorali, federalismo, decentramento, trasparenza amministrativa. Ma nella maggior parte dei casi il risultato è stato un ulteriore allontanamento.
Una parte del problema è semantica: si è parlato di “governance” invece che di “governo”, di “semplificazione” invece che di “partecipazione”. Come ha osservato il costituzionalista Gaetano Azzariti, si è spesso scelto di rafforzare l’esecutivo a scapito del coinvolgimento popolare, in nome dell’efficienza.
In Italia, ad esempio, la riduzione del numero dei parlamentari, decisa con il referendum del 2020, è stata presentata come una “razionalizzazione” della spesa e un avvicinamento ai cittadini. Ma nessun meccanismo di partecipazione diretta o consultazione digitale è stato introdotto per colmare il vuoto.
2.5 La rappresentanza come spazio da rifondare
Il punto non è abolire la rappresentanza, ma ripensarla radicalmente. La democrazia rappresentativa può sopravvivere solo se accetta di farsi porosa, permeabile a forme di controllo, consultazione e co-decisione continua da parte dei cittadini.
Questo significa:
adottare piattaforme pubbliche per la consultazione digitale,
rendere vincolanti le deliberazioni popolari online su temi rilevanti,
monitorare costantemente il mandato elettorale con strumenti trasparenti e accessibili.
La tecnologia digitale rende possibile ciò che era impensabile un tempo: una interazione costante e strutturata tra cittadini e istituzioni. Come scrive Mark Fenster in The Transparency Fix (2017), “trasparenza senza coinvolgimento è solo una forma elegante di invisibilità”.
Fonti e riferimenti bibliografici citati
Bernard Manin, Principes du gouvernement représentatif (1995)
Giovanni Sartori, Elementi di teoria politica (1987)
Manuel Castells, Networks of Outrage and Hope (2012)
Gaetano Azzariti, Il costituzionalismo moderno (2016)
Mark Fenster, The Transparency Fix (2017)