venerdì 6 gennaio 2023

Corso di economia europea: Lezione 16/16 SI PUO' USCIRE DALL'UE E DALL'EURO?



https://youtu.be/mviOSXiVP00


Referendum di indirizzo per uscire dall'UE
Dall'Euro l'Italia non potrebbe uscire tramite un referendum abrogativo. Non soltanto, infatti, l'art. 75 della Costituzione vieta esplicitamente che possa svolgersi un simile referendum sulle leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali ma, secondo una consolidata interpretazione della Consulta, non sarebbe mai possibile interferire, attraverso referendum, con l'ambito di applicazione delle norme comunitarie e con gli obblighi assunti dall'Italia nei confronti dell'Unione Europea. Nel nostro ordinamento, inoltre, al momento non è possibile proporre lo svolgimento di referendum consultivi, al di là delle espresse previsioni della costituzione (art. 132, ai sensi del quale tali consultazioni riguardano unicamente modifiche ai territori delle Regioni).
Tuttavia nel 1989, con legge costituzionale (3 aprile 1989, n. 2), fu indetto un "referendum di indirizzo" (ossia consultivo) sul conferimento di un mandato al Parlamento europeo per redigere un progetto di Costituzione europea. Fu necessaria, allora, una legge di iniziativa popolare promossa dal Movimento federalista europeo - successivamente sostituita dalla proposta di legge costituzionale presentata dal Pci - la cui approvazione richiese la doppia lettura in entrambi i rami del Parlamento, secondo l'iter necessario per le leggi costituzionali. La Costituzione non prevede, nella sua lettera, un'ipotesi simile, ma nell'89 i partiti furono concordi nell'approvare questo strumento atipico (il “referendum di indirizzo”) mediante una legge costituzionale ad hoc, formalmente derogando da quanto previsto dall'art. 75 della Costituzione, per legittimare in quel caso con il ricorso al voto popolare l'accelerazione del processo di integrazione europea.
Con legge costituzionale (e dunque con doppia votazione in entrambe le Camere, ed approvazione a maggioranza di 2/3 o, quantomeno, assoluta), sarebbe dunque possibile istituire un referendum di indirizzo ad hoc per la moneta unica. Si potrebbe obiettare che non ci sono oggi le condizioni politiche per realizzare quanto accadde nel 1989 data la delicatezza del tema. Ciò non toglie che, in linea di principio, la possibilità esista.

Euroinomani
Per terrorizzarci gli euroinomani dicono che in caso di uscita dall’euro il debito dovremmo pagarlo in euro. Falso. Oltre il 96% del debito pubblico è emesso e disciplinato dalla legge italiana. In caso di uscita dalla moneta unica verrebbe convertito in valuta domestica ai sensi degli art. 1277 e seguenti del Codice Civile (la cosiddetta Lex Monetae). Gli investitori e speculatori esteri che hanno Titoli di Stato subiranno una perdita dovuta al cambio in caso di svalutazione della lira. Nello stesso modo in cui gli investitori stranieri, che avevano in portafoglio titoli di stato britannici, hanno subito con la svalutazione della sterlina; o gli investitori americani che avevano in portafoglio titoli di stato italiani o tedeschi a seguito della pesante svalutazione dell'euro rispetto al dollaro. Pur di impaurire ci viene prospettata la fine dell'Argentina in caso di uscita dell'euro. Il debito pubblico argentino al momento del default era grosso modo pari al 45% del Prodotto interno lordo. Ma il debito era stato contratto in dollari Usa (cioè una valuta straniera). E si dà il caso che l'Argentina non possa stampare dollari per far fronte a questo debito. Gli Usa possono rimborsare qualsiasi debito in quanto possono stampare valuta per pagarli. La probabilità di default è quindi zero. Non è quindi la quantità di debito pubblico a determinare la maggiore o minore probabilità di default ma la possibilità o meno di coniare la moneta con cui il debito viene rimborsato. Ed è così che l'Argentina indebitata in dollari ma "virtuosa nei conti" è andata in default ed il Giappone no.


Uscendo dell'euro si potrà convertire la nuova lira con un tasso reale rispetto all'euro

L'Italia uscendo dell'euro potrà scegliere di convertire la propria nuova moneta con un tasso di conversione "convenzionale" rispetto all'euro. Sicuramente, per semplicità, sarà 1 lira per ogni euro. Dopodiché il prezzo della lira sarà libero di fluttuare nel mercato valutario e probabilmente si svaluterà del 20 - 30 % circa rispetto alle altre monete. Raggiungerà cioè il giusto prezzo di mercato rispetto alle altre valute, in considerazione dei diversi livelli di prezzo relativo fra le varie economie. Ma ciò non deve destare preoccupazione. Due anni fa con un euro acquistavamo 1,35 dollari mentre oggi ne acquistiamo 1,10 circa. Ovviamente nulla è cambiato nella vita quotidiana di ciascuno di noi per il semplice motivo che non facciamo la spesa al supermercato di New York. Sarà più conveniente per gli stranieri acquistare il Made in Italy, fare le vacanze nel Bel Paese o mettere su una fabbrica da noi. E sarà simmetricamente più costoso per gli italiani acquistare prodotti stranieri, fare le vacanze all'estero o delocalizzare la produzione. Ma per un Paese come l'Italia che vive di manifattura e turismo si aprirebbero enormi opportunità di crescita. Tutto ciò che purtroppo oggi è precluso da una moneta artificialmente troppo forte per la nostra economia.




Il cuore di tutto è l’euro che ha fallito
Molta opposizione oggi non tocca il cuore vero e profondo della nostra crisi, che non deriva certo dagli sprechi della casta. Certo abbattere certi privilegi è giusto, ma anche bonificando la politica, il giorno dopo l’Italia avrebbe gli stessi problemi di oggi. Il cuore di tutto è l’euro che ha fallito. Imposto come uno zaino dello stesso peso che viene fatto indossare a concorrenti di corporature diverse: non si può condividere una moneta unica tra economie così disomogenee. L’euro l’ha voluto Confindustria Tedesca. Le imprese dell’area del marco volevano arginare la concorrenza sul prezzo delle aziende del Nord Italia. La svalutazione della lira per loro era insostenibile. Hanno trovato il modo di depotenziarci. E noi ci siamo cascati come polli. L’euro è nato anche da uno scambio Francia-Germania: la rinuncia al marco in cambio dell’unificazione tedesca. L’euro doveva servire a competere tutti assieme contro le mega economie emergenti, in realtà è stato uno strumento utile alla Germania per invadere con i suoi prodotti il mercato europeo, a massimizzare il proprio export a detrimento in diretta concorrenza con i nostri e quelli degli altri partner continentali. Il successo della Merkel è simmetrico al disastro della periferia europea, con un’Italia che continua a pagare per gli altri come se fosse uno Stato in salute. La gente ha capito che è stata presa per il naso, ha visto il proprio potere d’acquisto, i propri risparmi e il proprio lavoro erodersi nella stagione dell’euro. La gente è stanca, l’eurozona è l’area più depressa del mondo, ci sarà un motivo.Dovremmo uscire dall’euro, immediatamente. Una moneta sbagliata è come una gamba in cancrena: va amputata subito. L’obiettivo è tornare alla divisa nazionale prima possibile. O addirittura a più monete dentro uno stesso Stato, in coerenza con i livelli economici dei diversi territori.



Di chi è l’Euro? 
Di chi è l’Euro? Chi lo Stampa? Chi decide quanto immetterne nel sistema? Viene tutto deciso dai governatori delle Banche Centrali della zona Euro. La Banca Centrale Europea (BCE) formalmente prende questa decisione e le Banche Centrali Nazionali stampano l’Euro. L’Euro quindi arriva in banche private e mercati di capitali privati. Il Ministero dell’Economia, se vuole costruire un ospedale, se vuole comprare le volanti della polizia, se vuole pavimentare una strada, se vuole pagare gli stipendi a medici, insegnanti, forze dell’ordine, operai stradali e così via, va da questi mercati di capitali privati e chiede: “Per favore, mi prestate degli Euro?”. Mercati e banche acconsentono, ma il tasso di interesse per il prestito lo decidono loro. E il governo deve tassare più di quanto possa spendere per poter riportare gli Euro prestati con gli interessi a banche e mercati di capitali privati. E dove va il governo a prendere questa liquidità per pagare gli interessi? Ovvio, dalle tasse dei cittadini! Si dice che in Germania si sta meglio che in Italia. E’ vero. Poco prima della creazione dell’Euro la Germania aveva un basso debito pubblico rispetto ad altri Paesi che in quel periodo andavano molto bene (Italia, Irlanda, ecc.). Avendo un debito pubblico basso, tuttora mantenuto, i mercati di capitali privati, quando prestano l’Euro, applicano alla Germania un tasso di interesse più basso rispetto agli altri Paesi, perché confidano di più nel fatto che questa possa ripagare il proprio debito. Più volte la Germania ha violato le regole del deficit su PIL del 3%, salvando di fatto molte imprese tedesche che sarebbero poi fallite, mentre all’Italia è sempre stato imposto di non spendere un euro in più. Il primo passo è quindi uscire dall’Euro e tornare ad una moneta sovrana. Una nazione dotata di sovranità monetaria, ossia di moneta a corso legale a tasso variabile e libero sui cambi e la cui emissione è un’esclusiva dello stato, non sarà mai portata a fallire. Questo perché la sua “capacità di pagamento” è illimitata come la sua capacità di stampare moneta. Di conseguenza, può permettersi di acquistare tutto ciò che è prezzato in quella moneta, inclusa la forza lavoro, col raggiungimento della piena occupazione. Il debito pubblico è l’ammontare delle spese dello Stato nei confronti di soggetti economici (cittadini, imprese, banche, ecc.). Uno Stato a moneta sovrana spende accreditando conti correnti. Quindi il debito pubblico dello Stato è l’attivo di cittadini e aziende. Se lo Stato spende, ci guadagnano cittadini e aziende. In una Nazione a moneta sovrana, alzare il debito pubblico non è affatto dannoso. L’esempio del Giappone è calzante. Il suo debito pubblico è del 236% di debito/PIL e non pare assolutamente una Nazione sull’orlo della disperazione. I trattati europei impongono al Paese di ottenere il pareggio di bilancio e di avere una spesa a deficit sul PIL al massimo del 3%. Una Nazione che alza troppo le tasse, taglia la spesa pubblica e non spende per cittadini e aziende danneggia se stessa. Non è vero che le Tasse servono a finanziare la spesa pubblica. Come potrebbe lo Stato prendere i soldi dai cittadini prima di averli distribuiti? Lo Stato a moneta sovrana prima stampa la propria moneta e dopo la ritira tassando. Quindi le tasse servono a imporre ai cittadini di usare quella valuta dello Stato, altrimenti sarebbe senza valore. E le tasse servono come regolatori dell’economia, perché quando uno Stato spende una certa somma di denaro, si creano degli squilibri a livello economico. Le tasse vengono alzate quando l’economia corre troppo e vengono abbassate quando l’economia risulta stagnante. Il passaggio dall’Euro ad una moneta sovrana non la farà svalutare, anzi si apprezzerà. Quando l’Italia inizia ad usare la sua nuova moneta lo Stato inizierà a spendere e a tassare nella nuova valuta, quindi la nuova moneta, essendo presente dal poco sarà scarsa e tutti vorranno procacciarsela per pagare le tasse, beni e servizi e questo la farà apprezzare. Tutti quelli che si procacceranno la nuova valuta, venderanno i loro Euro, portando un nuovo apprezzamento della nuova moneta. L’Italia, adottando questa nuova moneta, porterà uno shock all’Euro che sui mercati finanziari sarà svalutato. Se il governo spende miliardi per le spese sociali causate dalla disoccupazione, c’è un’eccessiva liquidità monetaria e il Paese non risponde con un aumento di prodotti. Si può creare inflazione (Spesa a Deficit Negativo). Ma se il governo spende perché immette liquidità laddove l’economia è sottocapacitata, creando produzione, la compensazione fra produzione e immissione di liquidità evita l’inflazione. (Spesa a Deficit Positivo).



Esiste qualcosa di più anticostituzionale che cedere la propria sovranità monetaria?

L’adozione dei trattati europei palesa una violazione dei principi fondanti della nostra Costituzione? Ci si riferisce all'art.1, il secondo comma recita «La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Come mai il potere decisionale è stato delegato ad élite tecnocratiche, non elette ed irresponsabili? D’altronde l'art. 11 scrive che l'Italia «consente in condizioni di parità con gli altri Stati alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni». I Padri Costituenti si riferivano in maniera esplicita all’ONU, non certo all'Unione Monetaria Europea che pretende di promuovere o bocciare le leggi di bilancio dei singoli Stati aderenti prima ancora che queste siano presentate al voto dei parlamenti nazionali. Esiste qualcosa di più anticostituzionale che cedere la propria sovranità monetaria?


Dopo 20 anni di € il reddito relativo tra italiani e tedeschi è calato del 20%

Nel 1999 - al momento dell'ingresso nell'euro - il reddito pro-capite degli italiani era il 96 % di quello tedesco. Nel 2015 dopo sedici anni di euro il reddito degli italiani è il 76 % di quello dei tedeschi (Fondo Monetario Internazionale). Se rielaboriamo i dati relativi al surplus/deficit delle partite correnti di Italia e Germania, nel periodo fra il 1993 ed il 1999 l'Italia ha sempre avuto un surplus positivo per arrivare a toccare il suo massimo nel 1996 con un valore del 2,9 % sul Prodotto interno lordo. Purtroppo in quell'anno l'Italia cessa di far fluttuare liberamente la propria valuta per rientrare nuovamente nel Sistema Monetario Europeo, in previsione dell'adozione dell’euro del 1999 (sebbene l'euro sia entrato materialmente in circolazione il primo gennaio del 2002). Nello stesso periodo la Germania ha quasi sempre registrato un deficit (mediamente dell’1% con l'eccezione del 1998). Ma dal 2000 al 2013 la situazione si capovolge radicalmente. L'Italia in questi 14 anni ne colleziona 12 di deficit per arrivare ad un picco negativo di -3,5 % sul Prodotto interno lordo nel 2010 mentre la Germania "ingrana la quarta" collezionando 12 anni di surplus ed arrivando al picco positivo del 7 % nel 2012 (Fmi). Perché? L'Italia fuori dall'euro, visto il nostro apparato industriale, poteva fare paura a molti, incluse Francia e Germania che temevano le nostre esportazioni prezzate in lire. Ma Berlino ha consapevolmente gestito la globalizzazione: le serviva un euro deprezzato, così oggi è in surplus nei confronti di tutti i Paesi, tranne la Russia da cui compra l'energia. Era un disegno razionale, serviva l'Italia dentro la moneta unica proprio perché era debole.


La moneta assolve al ruolo di "ammortizzatore" nei rapporti fra diverse economie
Quella che si trova in una situazione di difficoltà vedrà la sua moneta svalutarsi. Ovvero il prezzo di quella moneta si riallineerà al giusto prezzo di mercato, così consentendo un recupero di competitività. Ma non potendo svalutare la moneta, l'unica alternativa per recuperare la competitività rimane quella del taglio dei salari e dell'aumento di produttività attraverso licenziamenti. Venuta meno la possibilità di svalutare la moneta, i Paesi della zona euro che tentano di recuperare competitività sul versante dei costi devono ricorrere alla “svalutazione interna” (contenimento di prezzi e salari). Questa politica presenta però limiti e risvolti negativi, non da ultimo in termini di un aumento della disoccupazione e del disagio sociale. Se la Germania lasciasse l'euro perderebbe moltissimi posti di lavoro nel settore delle esportazioni perché nessuno comprerebbe più i prodotti carissimi tedeschi. Se la Germania oggi uscisse dall'Unione Monetaria allora avremmo immediatamente, il giorno dopo, un apprezzamento tra il 20 % ed il 30 % del marco tedesco che tornerebbe nuovamente in circolazione. Chiunque si può immaginare che cosa significherebbe per le esportazioni tedesche, per il suo mercato del lavoro, per il suo bilancio federale. Invece con un'uscita dall'euro ed un taglio netto del debito la crisi interna italiana finirebbe di colpo.

La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione
L'adozione dei trattati palesa un'esplicita violazione dei più elementari principi fondanti della nostra Costituzione. Tutto è fuorché un progetto che risponde allo spirito della nostra Carta. Ci si riferisce in particolare all'articolo 1. Il secondo comma recita «La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». È impossibile non toccare con mano come il potere decisionale sia stato di fatto delegato ad élite tecnocratiche, non elette ed irresponsabili. Come altrettanto evidente e palese è la violazione dell'articolo 11 della nostra Carta laddove viene scritto che l'Italia «consente in condizioni di parità con gli altri Stati (principio nei fatti già sconfessato dalle cronache quotidiane) alle limitazioni (si badi bene non si parla di "cessioni" ma di "limitazioni") di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni». I Padri Costituenti si riferivano in maniera esplicita ad Organizzazioni transnazionali quali le Nazioni Unite. Non certo ad un mostro giuridico quale l'Unione Monetaria Europea che addirittura pretende di promuovere o bocciare le leggi di bilancio dei singoli Stati aderenti prima ancora che queste siano presentate al voto dei parlamenti nazionali. E cosa c'è dunque di più anticostituzionale che cedere la propria sovranità monetaria?



Perchè la Banca centrale europea ha il diritto di coniare moneta?
Gli eurofili ritengono che sia assolutamente naturale aver conferito ad un'autorità sovranazionale come la Banca centrale europea il diritto di coniare moneta. Segue un illuminante elenco di alcuni altri Paesi al mondo che hanno deciso di non coniare monete nazionali. E vi assicuriamo che vederli colorati in un planisfero (come ha fatto il sito qz.com) fa un certo effetto. Ecuador, Timor est, El Salvador, Isole Marshall, Micronesia, Palau, Turks and Caicos, Isole Vergini Britanniche, Zimbabwe, Benin, Burkina Faso, Camerun, Repubblica Centro Africana, Ciad, Repubblica del Congo, Guinea Equatoriale, Costa d'Avorio, Mali, Niger, Senegal, Togo, Antigua e Barbuda, Dominica, Grenada, Saint Kitts e Nevis, Santa Lucia, Saint Vicent and the Grenadines ecc. Tutti Stati, cioè, con un recente passato da colonia.

L'Europa non è affatto una casa comune. 

L'Italia abbandonò nel 1992 un insostenibile tasso di cambio "fisso" con le altre valute per essere poi sciaguratamente ripreso nel 1996. Nel 1999 - al momento dell'ingresso nell'euro - il reddito pro-capite degli italiani era il 96 per cento di quello tedesco. Nel 2015 dopo sedici anni di euro il reddito degli italiani è il 76 per cento di quello dei tedeschi (Fondo Monetario Internazionale). Le alternative sono due. O Meno Europa oppure Meno Reddito. Tertium non datur.

 



Sistema Monetario Europeo
La pretesa di ritenere che l'Unione sia un progetto comune costruito nell'interesse ed al servizio di tutti è una pura utopia. Basta rielaborare i dati relativi al surplus/deficit delle partite correnti di Italia e Germania. Nel periodo intercorrente fra il 1993 ed il 1999 l'Italia ha sempre avuto un surplus positivo per arrivare a toccare il suo massimo nel 1996. Un valore del 2,9 per cento sul Prodotto interno lordo. Purtroppo in quell'anno l'Italia cessa di far fluttuare liberamente la propria valuta per rientrare nuovamente nel Sistema Monetario Europeo, in previsione dell'adozione dell'euro del 1999 (sebbene l'euro sia entrato materialmente in circolazione il primo gennaio del 2002). Nello stesso periodo la Germania ha quasi sempre registrato un deficit (mediamente dell'1 per cento con l'eccezione del 1998). Ma dal 2000 al 2013 la situazione si capovolge radicalmente. L'Italia in questi 14 anni ne colleziona 12 di deficit per arrivare ad un picco negativo di -3,5 per cento sul Prodotto interno lordo nel 2010 mentre la Germania "ingrana la quarta" collezionando 12 anni di surplus ed arrivando al picco positivo del 7 per cento nel 2012 (Fmi).



monete diverse per economie diverse

La moneta assolve al ruolo di "ammortizzatore" nei rapporti fra diverse economie
Ma è semplice: altrimenti il debole diventa sempre più debole ed il forte diventa sempre più forte. La moneta, cioè, assolve al ruolo di "ammortizzatore" nei rapporti fra diverse economie. Quella che si trova in una situazione di difficoltà vedrà la sua moneta svalutarsi. Ovvero il prezzo di quella moneta si riallineerà al giusto prezzo di mercato, così consentendo un recupero di competitività. Ma non potendo svalutare la moneta, l'unica alternativa per recuperare la competitività rimane quella del taglio dei salari e dell'aumento di produttività attraverso licenziamenti. E la conferma arriva addirittura dalla Commissione dell'Unione europea che in un report del gennaio 2014 rivelava: «Venuta meno la possibilità di svalutare la moneta, i Paesi della zona euro che tentano di recuperare competitività sul versante dei costi devono ricorrere alla “svalutazione interna” (contenimento di prezzi e salari). Questa politica presenta però limiti e risvolti negativi, non da ultimo in termini di un aumento della disoccupazione e del disagio sociale». 


uscita dall'euro

Se la Germania lasciasse l'euro perderebbe moltissimi posti di lavoro
2014: la tedesca Ska Keller - leader dei verdi - viene intervistata in televisione su Rai 3. Queste le sue testuali parole: «Se la Germania lasciasse l'euro perderebbe moltissimi posti di lavoro nel settore delle esportazioni perché nessuno comprerebbe più i prodotti carissimi tedeschi». Theo Waigel, ex ministro delle finanze tedesco (10 luglio 2016): «Se la Germania oggi uscisse dall'Unione Monetaria allora avremmo immediatamente, il giorno dopo, un apprezzamento tra il 20 per cento ed il 30 per cento del marco tedesco che tornerebbe nuovamente in circolazione. Chiunque si può immaginare che cosa significherebbe per le nostre esportazioni, per il nostro mercato del lavoro, per il nostro bilancio federale. Invece con un'uscita dall'euro ed un taglio netto del debito la crisi interna italiana finirebbe di colpo». Più chiaro di così.


Europa

Dal 1945 ad oggi oltre settanta Stati hanno sperimentato uscite da unioni monetarie

È un classico, come l'agnello a Pasqua o il Panettone a Natale. «Se entrare nell'euro è stato un errore, uscirne sarebbe letale». E con queste parole è morta lì. Ma è veramente così? Il Centro Studi Oxford Economics ha condotto nel 2015 un accurato studio evidenziando come dal 1945 ad oggi «oltre settanta Stati hanno sperimentato uscite da unioni monetarie». In media una ogni anno. E non è neppure vero che tali disgregazioni monetarie siano state accompagnate da conseguenze economiche disastrose. Tutt'altro. Dal momento che lo studio rileva che in oltre «due casi su tre si è registrato un tasso di crescita fin dall'anno in cui un il Paese di turno ha lasciato l'Unione con un valore mediano pari al 2,7%». 



Chi sta nell'UE con la propria moneta sta meglio di chi ci sta coll'euro

Vi sono Paesi quali, ad esempio, la Svezia, l'Ungheria, la Danimarca ecc. che pur non avendo l'euro fanno comunque parte dell'Unione Europea e guarda caso stanno meglio. Una rielaborazione del Centro Studi Unimpresa sui dati della Banca d'Italia mostra che nel periodo 2008-2020 i Paesi dell'eurozona hanno perso 3,238 milioni di posti di lavoro mentre quelli dell'Unione con propria moneta nello stesso periodo di tempo hanno creato 1,068 milioni di posti di lavoro. L'Eurozona è un'autentica macchina di distruzione del lavoro. 

europa
Il cosiddetto "modello Norvegia"
Vi sono Paesi quali la Norvegia, l'Islanda, il Liechtenstein e la Svizzera che hanno stipulato da tempo accordi per la partecipazione al mercato interno che disciplina la libera circolazione delle merci, dei servizi e dei lavoratori all'interno del cosiddetto Spazio Economico Europeo (di cui fanno parte questi Paesi assieme all'Unione Europea). La Gran Bretagna è uscita dall'Unione Europea nel rispetto dell'esito del referendum del 23 giugno 2016. E sono già tantissimi gli osservatori che prevedono l'adozione del cosiddetto "modello Norvegia" da parte di altre nazioni. 


Due anni fa con 100 euro acquistavamo 135 dollari mentre oggi ne acquistiamo 110 circa
Sono in molti quelli che spesso fanno confusione fra tasso di conversione e tasso di cambio. L'Italia uscendo dell'euro potrà scegliere di convertire la propria nuova moneta con un tasso di conversione "convenzionale" rispetto all'euro. Può essere 1 lira per ogni euro per semplicità. Dopodiché il prezzo della lira sarà libero di fluttuare nel mercato valutario e quasi sicuramente svaluterà del 20 per cento - 30 per cento circa rispetto alle altre monete. Questo è il cosiddetto tasso di cambio. Ma ciò non deve destare preoccupazione. Per caso qualcosa nella vostra vita è drammaticamente cambiato da quando l'euro ha pesantemente svalutato rispetto al dollaro? Due anni fa con un euro acquistavamo 1,35 dollari mentre oggi ne acquistiamo 1,10 circa. Ovviamente nulla è cambiato nella vita quotidiana di ciascuno di noi per il semplice motivo che non facciamo la spesa al supermercato di Cleveland.


Fuori dall'euro per l'Italia che vive di manifattura e turismo si aprirebbero enormi opportunità di crescita

Dopo la conversione la nostra nuova moneta si svaluterà rispetto alle altre. Raggiungerà cioè il giusto prezzo di mercato di mercato rispetto alle altre valute. Tutti i più importanti economisti sono concordi nello stimare il riallineamento in misura pari ad una svalutazione del 20 per cento - 30 per cento. In considerazione dei diversi livelli di prezzo relativo fra le varie economie. Sarà più conveniente per gli stranieri acquistare il Made in Italy, fare le vacanze nel Bel Paese o mettere su una fabbrica da noi. E sarà simmetricamente più costoso per gli italiani acquistare prodotti stranieri, fare le vacanze all'estero o delocalizzare la produzione. Ma per un Paese come l'Italia che vive di manifattura e turismo si aprirebbero enormi opportunità di crescita. Tutto ciò che purtroppo oggi è precluso da una moneta artificialmente troppo forte per la nostra economia.



Ogni Stato membro può decidere secondo la propria Costituzione di recedere dall'Unione
L'articolo 50 del Trattato di Lisbona al primo paragrafo riconosce che «ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall'Unione». Lo Stato ha l'onere di notificare tale intenzione al Consiglio Europeo che «negozia e conclude con tale Stato un accordo volto a definire le modalità del recesso, tenendo conto del quadro delle future relazioni con l'Unione». L'accordo è, infine, concluso a nome dell'Unione europea, dal Consiglio «che delibera a maggioranza qualificata previa approvazione del Parlamento europeo».
Vale la pena, però, notare che il paragrafo 3 prevede che «i trattati cessano di essere applicabili allo Stato interessato a decorrere dalla data di entrata in vigore dell'accordo di recesso o, in mancanza di tale accordo, due anni dopo la notifica di cui al paragrafo 2, salvo che il Consiglio europeo, d'intesa con lo Stato membro interessato, decida all'unanimità di prorogare tale termine». Il recesso non richiede, pertanto, la conclusione dell'accordo previsto dai primi due paragrafi dell’articolo 50: nel caso di fallimento dei negoziati, infatti, i trattati cessano comunque di avere efficacia per lo Stato membro che intenda "uscire" dall'Europa, con il solo limite temporale di due anni dalla notifica dell'intenzione di recedere. L'accordo bilaterale, pertanto, non esclude la possibilità di un recesso unilaterale, ma, al contrario, la presuppone.
Abbiamo visto che è possibile e la Gran Bretagna è il migliore esempio.



I fondi assegnati dall'UE possono essere spesi solo se gli Enti destinatari cofinanziano la spesa con altri fondi

I fondi assegnati per determinati investimenti (soldi nostri in quanto l'Italia è un "contribuente netto") possono essere spesi solo se gli Enti destinatari cofinanziano la spesa con altri fondi. E le restrittive politiche di bilancio spesso sono di una tale durezza che gli enti possono benissimo non avere la disponibilità dei soldi per cofinanziare l'operazione.Ma la cosa più incredibile è che talvolta anche riuscendo a racimolare i soldi per miracolo, gli investimenti devono essere comunque rimandati o accantonati pur di rispettare il vincolo di stabilità interna che obbliga tutta la Pubblica Amministrazione a razionare ogni e qualsiasi spesa pur di rispettare il limite del 3% del rapporto tra il deficit e il Prodotto interno lordo. In definitiva le regole in materia sono tali da far pensare che siano state disegnate pur di non far spendere questi soldi. 


Lasciando l'Unione Europea risparmieremmo 25 milioni di euro al giorno. 

Questo è quanto ci costa l'Unione Europea. Dal 2001 al 2014 l'Italia ha versato nelle casse dell'Unione europea 70,9 miliardi di euro in più di quanti ne abbia ricevuti (fonte Ragioneria Generale dello Stato).
A tutto questo si aggiungano i circa 60 miliardi di euro che nel 2014 avevamo prestato in varie forme agli altri Stati dell’Unione europea (la Grecia, l’Irlanda, la Spagna) affinché restituissero i crediti che le banche francesi e tedesche avevano loro incautamente prestato. Crediti che oggi sono in massima parte inesigibili e che avremmo invece potuto prestare alle nostre imprese.
Ergo, in 14 anni sono stati "spesi" 130,9 miliardi di euro.


fallimento dell'euro

Abolendo gli aggiustamenti del tasso di cambio l'Euro scarica sul mercato del lavoro competitività e prezzi

Sul testo "Macroeconomia" scritto da Rudiger Dornbush e Stanley Fischer si sono formati milioni di studenti di tutto il mondo. In un articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista Foreign Affairs, Dornbusch venti anni fa scriveva: «Abolendo gli aggiustamenti del tasso di cambio l'Euro finirà per scaricare sul mercato del lavoro il compito di adeguare la competitività ed i prezzi relativi. Diventeranno preponderanti recessione, disoccupazione e pressioni sulla Banca centrale europea affinché inflazioni l'economia. Una volta entrata l'Italia con una valuta sopravvalutata si troverà di nuovo alle corde come nel 1992, quando venne attaccata la lira».
Un'ulteriore conferma arriva addirittura da uno studio finanziato dalla Commissione dell'Unione europea a firma degli economisti Lars Jonung ed Eoin Drea. Già il titolo parla da solo: «L'Euro non può essere realizzato. È una pessima idea. Non durerà. Il parere degli economisti americani nel periodo 1989-2002».  Nel sommario riassuntivo addirittura leggiamo: «Tutti gli economisti -pur nella diversità di approccio- mostrano un forte scetticismo per un progetto politico che ignora i più elementari fondamenti della scienza economica non essendo l'Europa un'area valutaria ottimale».
Si tratta di speculazioni finanziarie planetarie pilotate anti europee o realtà?

 


fuori dall'UE si sta meglio,

I Paesi dell'Efta (senza euro ma dentro l'Ue) stanno meglio di chi ha scelto la moneta unica
Mentre i Paesi senza euro ma dentro l'Ue stanno meglio dei cugini che hanno scelto la moneta unica, così i Paesi che stanno fuori dall'Unione vivono molto meglio dei vicini condomini dell'Unione Europea. Il Pil pro-capite medio dell'Efta (l'accordo di libero scambio fra Norvegia, Liechtenstein, Islanda e Svizzera) è infatti pari a 62.534 dollari, mentre quello dell'Unione Europea è pari a 37.800 dollari. In altre parole un cittadino dell'Unione mediamente guadagna il 60 per cento del cugino che sta fuori. I dati sono riferiti al 2015 (Fonte Cia factbook). A riprova di quanto detto sia l'Islanda che la Svizzera hanno di recente ufficialmente abbandonato il progetto di adesione all'Unione Europea. Un tempo si facevano carte false per entrare nell'Unione, ora se puoi la eviti.

 


Procedura d’infrazione contro l’Italia per i ritardi nei pagamenti delle PA alle imprese

La Commissione europea ha aperto la procedura d’infrazione contro l’Italia per gli immensi ritardi nei pagamenti delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle imprese. Si è scelta la procedura di urgenza e, contestualmente, è stata inviata al governo italiano una lettera di messa in mora per aver violato la direttiva in vigore dal 16 marzo 2013 che impone tempistiche certe e veloci.
La Commissione, in particolare, ha rilevato come l’Italia, nonostante la sollecitazioni, continui a impiegarci 170 giorni in media per i pagamenti di servizi o merci e 210 giorni per i lavori pubblici.
Allora per ora, il nostro Paese ebbe due mesi di tempo per rispondere alle obiezioni sollevate, in particolare, dal commissario europeo all’Industria, nonché vicepresidente della Commissione, Antonio Tajani. Secondo l’alto funzionario Ue, le misure contenute nel decreto legge per la riforma delle Pa, in via di conversione in parlamento, sono già state valutate a ritenute insufficienti a rispondere alle contestazioni della lettera inviata da Bruxelles.
Non si può certo dire che non ce la siamo andata a cercare. Sarebbe interessante se a pagare fossero i dirigenti pubblici.
Pensate che con un tecnico amico dell'UE come Draghi le cose siano cambiate? Ovviamente no. Cosa succede allora ? Che le imprese mettono in conto i ritardi di pagamento ed aggiustano le cifre richiesta.


Se l' Italia é in crisi é colpa degli Italiani?

C'é qualcosa che non mi torna. Se la Germania é in crisi é colpa dei cicli economici e si possono spendere subito 50 miliardi (che immagino saranno in deficit). Se l' Italia é in crisi é colpa degli Italiani (che sono dei lavativi) e di chi li governa (che sono degli incapaci). Niente investimenti ma 25 miliardi subito da risparmiare per evitare il salasso dell' IVA. Se l' Italia parla con Putin, é un atto criminale dei ladri padani, se lo fa Macron é una grande opportunitá di dialogo che apre orizzonti e prospettive. Mi chiedo allora: ma i media italiani da che parte stanno? Non certo dalla parte degli Italiani visto come ci descrivono, cosa pensano di noi, come giustificano gli altri. É un atteggiamento che serve? Agli Italiani no. A chi allora?

E' possibile restare in Europa uscendo soltanto dalla moneta unica?

Vi sono, nell'Unione, Stati che non hanno adottato l'euro, come è noto. Logica vorrebbe, pertanto, che sia certamente possibile restare in Europa uscendo soltanto dalla moneta unica.
Eppure la cosa sembra più complicata di quanto si penserebbe. Mentre, infatti, il Trattato di Lisbona disciplina, all'art. 50, la procedura di uscita dall'Unione, nessuna disposizione fa riferimento alcuno al recesso dall'Unione Monetaria (così come, del resto, nulla diceva il Trattato di Maastricht a questo proposito). Sembrerebbe quasi che, una volta accettata la moneta, non si possa più neppure tornare indietro.
Impossibile uscirne, dunque? Secondo alcuni costituzionalisti l'uscita unilaterale per decreto è assolutamente legittima. Secondo altri, invece, proprio in forza del fatto che il sistema europeo è stato disegnato sia con Stati dentro che fuori dalla moneta unica comune, l'uscita dovrebbe essere consentita, quantomeno con un negoziato analogo a quello previsto dall'art. 50 del Trattato.

L’Eurobarometro segna cattivo tempo.

Tre elettori su quattro vogliono cambiare le regole dell'euro o addirittura uscirne, la Germania e la Francia sono viste come nemiche e i nostri politici a Bruxelles sono ritenuti inefficaci.
Emerge l' insoddisfazione profonda per il ruolo marginale dell' Italia nel consesso europeo, attribuito sia all' egoismo dei nostri partner (35%) (la Germania e la Francia sono giudicate addirittura ostili dal 56% degli intervistati, che perseguono i singoli interessi nazionali anziché quelli comunitari, sia soprattutto (49%) all' inadeguatezza della nostra classe politica europea.
Diretta conseguenza del nostro scarso peso nelle stanze dell'Europarlamento e della Commissione Ue sono la sfiducia che gli italiani nutrono ancora in maggioranza verso l'Unione, apprezzata solo dal 39%, e la richiesta che più di un cittadino su due (il 55%) fa di rimanere nella moneta unica solo a patto che se ne ridiscutano le condizioni e si riscrivano le regole di Maastricht.
Le istanze sovraniste hanno già conquistano più del 20% della popolazione, mentre la restante parte sogna di smantellare il mostro europeo dall' interno, rendendolo simile a una federazioni di Stati sul modello americano.
In generale si chiede al Parlamento Ue di concentrarsi su lotta al terrorismo (priorità numero uno, con il 58% delle risposte), disoccupazione (43%), povertà ed esclusione sociale (42%) e immigrazione incontrollata (35%).

Una parte della sinistra no global, sta scivolando a destra. 

Una trasformazione avvenuta in nome del sovranismo, cioè restituire potere al popolo sovrano all’interno di ciascuna nazione. Vi si oppone una generica visione liberale dei diritti diffusi, perno della superiorità dell’Occidente che continua a guardare con spirito “missionario” ai popoli non garantiti da Costituzioni progressiste. Ma per i neosovranisti il punto è molto più “radicale” e consiste nell’opporre al turbocapitalismo, al predominio delle banche e al pensiero unico del “politicamente corretto” la forza della volontà popolare.
La situazione è confusa, quindi ottimale. Le vittorie della Brexit, di Trump e di Macron hanno fornito alle idee sovraniste nuovo slancio e ulteriore diffusione. Archiviati Alain de Benoist, Ezra Pound, Julius Evola, la bibliografia si aggiorna.
Alexander Dugin esalta la difesa sovranista della civiltà europea, Michel Onfray, urla che l’Europa dominata dai mercati è giunta allo sfinimento. Houellebecq racconta della conquista inarrestabile dell’Islam dal volto moderato di una Francia che sa opporre come baluardo solo un libero pensiero privo di energia e vigore. Jacques Sapir spiega che l’euro è una moneta incompatibile con la democrazia, poiché impone di cedere la propria sovranità monetaria ad un’istituzione non eletta, la Banca Centrale Europea, impone di cedere alla Commissione Europea, altra istituzione non eletta, interi settori della politica fiscale e di bilancio. Esisteva un patto politico fondamentale: il potere di tassare un popolo viene ceduto solo in cambio del controllo sovrano dei rappresentanti del popolo sul bilancio del paese. Eric Zemmour, ci parla di un suicidio francese, dove derisione, decostruzione, distruzione minano le fondamenta di tutte le strutture tradizionali: famiglia, nazione, lavoro, stato, scuola. 
Il successo intellettuale delle scienze umane ha distrutto tutte le certezze, il loro scopo ultimo non è costruire l’uomo, ma dissolverlo. Una storia di uno spossessamento assoluto, di una disintegrazione inaudita; di una dissoluzione nelle ‘acque gelide’ dell’individualismo e dell’odio di sé. Alain Finkielkraut, svolge una critica serrata all’idea della nazione come “aeroporto”.
L’antirazzismo è diventato ideologia-tabù, come il comunismo. La teoria di Rousseau per la quale siamo tutti buoni ed è la società a farci “deviare” secondo lui non regge proprio. Ai tempi della rivolta nelle banlieues accusò islamici e neri di avere fomentato i disordini. Mohamed è il nome più frequente nella regione parigina, ma secondo alcuni l’integrazione sarà completa il giorno in cui dei genitori cattolici chiameranno il loro figlio Mohamed.
La Francia cammina con le gambe per aria.
I Sovranisti odiano il “buonismo” della “cultura del piagnisteo”. Il motto di Trump “America first” qui riecheggia nelle parole di elogio delle frontiere di Regis Debray “mai più stranieri in casa propria”, cioè dentro i confini della propria nazione. La frontiera non è che un bisogno naturale dell’uomo e dei popoli, l’idea di separazione si ritrova alla base di tutti i miti fondativi. Un gruppo umano si dà forma e diventa popolo proprio grazie ai confini e l’appartenenza a quello spazio, fonda un’identità che si contrappone a quella dell’individuo “cittadino del mondo”.
Costanzo Preve, Massimo Fini, Claudio Borghi, Alberto Bagnai, Paolo Borgognone lottano contro il capitalismo globalizzato, e documentano il progressivo allineamento dell’Italia agli orizzonti liberisti che scavalcano la sovranità del popolo e la dignità dei lavoratori in nome dell’idolatria del mercato.
E non è che l'inizio. Intanto la destra italiana stravince le elezioni.


Serviva l'Italia dentro la moneta unica perché era debole

Queste in proposito le confessioni dell'ex Ministro delle Finanze italiano Vincenzo Visco (esponente del Partito democratico) a Stefano Feltri nel maggio 2012: «L'Italia fuori dall'euro, visto il nostro apparato industriale, poteva fare paura a molti, incluse Francia e Germania che temevano le nostre esportazioni prezzate in lire. Ma Berlino ha consapevolmente gestito la globalizzazione: le serviva un euro deprezzato, così oggi è in surplus nei confronti di tutti i Paesi, tranne la Russia da cui compra l'energia. Era un disegno razionale, serviva l'Italia dentro la moneta unica proprio perché era debole». Ogni ulteriore commento ci sembra superfluo.


Cripto monete nazionali a quando?
La grande guerra monetaria continua. Ma questa volta sono in gioco gli equilibri planetari. Da quando la Cina sta creando la propria cripto moneta, Dollaro ed Euro devono rispondere allo Yaun. Dietro però non c'é la sola lotta tra gli speculatori del forex, ci stanno dietro le sovranità nazionali. Possedere una criptomoneta come Libra, ma presto anche Fb e Twitter avranno la propria, e legarla alla possibilità di acquistare beni, già di per sé sconvolge gli equilibri commerciali e bancari. Ma anche quelli fiscali poiché, per ora, gli Stati (El Salvador a parte) non accettano che si paghino le tasse in criptovalute. Se gli Stati stanno pensando a creare cripto nazionali é per mantenere intatto il mercato monetario attuale affiancando ad esso quello delle cripto nazionali. Cambiare tutto perché nulla cambi, se é solo la banca nazionale ad avere il diritto legale di creare criptovaluta. Ma ormai sono in campo anche stati virtuali telematici con popolazioni di miliardi di cittadini-utenti. Una delle grosse remore che per ora ha frenato la possibilità di usare le cripto come riserva di valore, sta nella straordinaria volatilità di esse. Per arginare questo le ultime cripto create legano il loro valore a quello piú stabile delle monete nazionali come ad esempio il $. Ma siamo ancora nell'ambito nazionale. Auspico allora un nuovo equilibrio monetario planetario che superi tutto ciò: leghiamo il valore di una cripto a quello dell'oro, un bene universale trasnazionale. Ma anche questo é un altro colpo di mano.



I cittadini non si sono mai potuti esprimere con un voto sull'adesione o meno del proprio Paese all'Europa
L'Unione Europea in generale (e quella monetaria in particolare) tutto sono fuorché democratiche. I cittadini di ben undici Stati membri dell’Unione, non si sono mai potuti esprimere con un voto sull'adesione o meno del proprio Paese all'Europa. Dieci di questi sono anche Paesi che hanno adottato la moneta comune. La cosa ancora più inquietante è che tra questi undici ci sono tutti e tre i "soci fondatori" dell'Europa, cioè Francia, Germania e Italia. Ma quello che più fa paura è che la Germania, architrave dell'Europa, il Paese che detta la politica economica dell'Unione e che si è assunta il ruolo di contro-potere rispetto alla Banca Centrale Europea, in 44 anni non ha mai permesso ai propri cittadini di votare su nessuna questione che riguardasse temi europei. L'Italia lo ha fatto una sola volta e la Francia tre, una delle quali (adozione del trattato costituzionale) finita con la vittoria dei no. 


Il potere oppressivo da imporre agli italiani è sempre stato storicamente una grande attrazione, soprattutto per i governanti nord-europei, e . . . per quelli italiani stessi! 

E’ il motivo per il quale, nonostante la nostra grande storia da Roma in poi, Umanesimo e Rinascimento compresi, si parla di Italia unita solo dal 1861, con tutte le sofferenze e le contraddizioni di sostanza che ancor oggi ben sappiamo. L’egemonia nord-europea può essere avallata da una pluralità di esempi, ma a nostro avviso tre sono quelli emblematici. Il primo, la proclamazione di Carlo Magno a imperatore del Sacro Romano Impero, che riprodusse di fatto la capitale-simbolo Roma ad Acquisgrana (Germania, l’odierna Aachen, con la Cappella Palatina) dopo l’800 d.c. Il secondo, la “scomparsa” di Raffaello Sanzio e del suo mecenate Agostino Chigi (il banchiere che aveva in mano le finanze vaticane) ad una settimana di distanza l’uno dall’altro nell’aprile del 1520, seguita poi da quella del committente Leone X pochi mesi dopo. Morti, queste, di probabile matrice luterana nord-europea, non tanto a seguito dell’avversione verso la Chiesa di Roma, quanto per il fatto che a Raffaello Sanzio il Pontefice aveva affidato nel 1515 l’incarico di Sovraintendente alla riclassificazione e alla tutela delle rovine di Roma antica, progetto ben più ampio rispetto al semplice elemento archeologico, finanziato dal banchiere senese Chigi, come gli affreschi delle Stanze Vaticane. Come dire: attenzione, grandezze in corso in Italia, pericolo! Ogni qual volta l’Italia decide infatti di riorganizzarsi nel nome della propria classicità, l’Europa del Nord interviene. Sotto il Fascismo, terzo caso esplicativo, ciò è avvenuto nella forma dell’alleanza prima, e della distruzione poi, da parte ancora della Germania. E poi, al giorno d’oggi, c’è la formula dell’ Unione Europea, che previene alla radice ogni tentativo di recupero dello splendore italico, pur in assenza da decenni di ogni parvenza di (minaccioso) artefice di una siffatta rinascita. Prendere il potere in Italia è, come sappiamo, relativamente semplice, come ben spiegò Indro Montanelli, con l’efficace metafora secondo la quale la servitù, per gli italiani, è molto più una tentazione alla quale cedere, che non un’oppressione cui ribellarsi. Ci sono riusciti individui quasi sempre mediocri, ed emarginati dal mondo del lavoro. Il potere, spesso, ha dei grandi limiti nelle proprie strategie comunicative, che ne svelano gli intenti beffardi verso il popolo. Non si accontenta di dominare, vuole anche deridere. Nei contenuti, possiamo ad esempio ricordare la situazione economica dell’Italia che venne affidata (con colpo di mano italo-europeo) a Mario Monti. Per mesi ci fu fatto intendere che quattro miliardi di una tassa perversa chiamata IMU avrebbero risolto i problemi finanziari; perversa sì, perché tale tributo ha la duplice caratteristica di risultare pesante per la famiglia media, e praticamente irrilevante per le casse dello stato (in quell’anno 2012 esso andò completamente bruciato per il salvataggio del Monte dei Paschi di Siena, che sta bussando di nuovo a quattrini freschi anche adesso. Di Alitalia non parliamo neppure). Oppure, ci sovviene la “problematica” dei sacchettini del banco verdura del supermercato, addebitati in scontrino a due centesimi l’uno. Apriti cielo sì nel popolar sentire, ma grande distrazione verso concomitanti vessazioni ben più consistenti e decisive. In queste ore abbiamo invece il caso dei bonus INPS percepiti da parlamentari, amministratori pubblici, politici e politicanti, solo perché una legge del governo – il cui presidente del consiglio è peraltro avvocato – lo permette in piena regola. Distrazione di massa, propaganda per votare “sì” alla riduzione del numero dei parlamentari nel prossimo referendum, e motivazione blindata per rendere di fatto burocraticamente impossibile la fruizione popolare degli aiuti futuri, quelli che dovrebbero teoricamente arrivare l’anno prossimo con il Recovery. Cosa significano le tre apparenti ingenuità sopra richiamate, per citare soltanto tre esempi facilmente rammentabili da chiunque? Indicano palesemente che dietro l’apparente stupidità di talune questioni, sotto l’artefatta sciocchezza di certe decisioni, vi è invece un’attenta strategia per penalizzare ulteriormente i cittadini. E poi, dopo i contenuti, vi è la forma, vi sono i nomi, e qui il potere si diverte davvero a prendere il popolo per i fondelli. Di seguito, un elenco solo molto parziale di definizioni che l’assuefazione dei cittadini agli abusi del potere hanno reso correnti e seriose: Salva-Italia, Decreto Dignità, Cura-Italia, Accoglienza. Unico nome plausibile potrebbe essere Decreto Crescita (a meno che poi non prendi una tabella Istat in mano, al che diventa quello che fa più ridere di tutti). E poi ancora, laddove per Costituzione il ruolo centrale nella nostra Democrazia dovrebbe essere quello del Parlamento, abbiamo imparato ad apprezzare il simpatico e salvifico termine “Governo del Presidente”. Continuando, ecco alcune denominazioni di leggi elettorali nel paese in cui, quando occorrerebbe democraticamente, non si vota mai, e se si vota si distorcono gli esiti nel formare i governi, o nel destituirli: Mattarellum, Porcellum, Italicum, Rosatellum. Uno dei metodi per dare la sveglia al popolo risulta quindi, a nostro avviso, quello di esortarlo semplicemente ad aprire orecchie e occhi su ciò che ascolta e che legge: a volte basta quello, ragionare i contenuti è superfluo. P.S.: Il venerato Raffaello Sanzio, che stiamo celebrando nel mezzo millennio dalla sua morte, perdonerà la brutalità della mia singola partecipazione al tributo. Confido anche che l’apprezzi.


I Paesi che stanno fuori dall'Unione vivono molto meglio di quelli dell'Unione Europea

Vi sono Paesi quali la Norvegia, l'Islanda, il Liechtenstein e la Svizzera che hanno stipulato da tempo accordi per la partecipazione al mercato interno che disciplina la libera circolazione delle merci, dei servizi e dei lavoratori all'interno del cosiddetto Spazio Economico Europeo (di cui fanno      parte questi Paesi assieme all'Unione Europea). Ora toccherà alla Gran Bretagna negoziare un accordo che preveda l'uscita dall'Unione Europea nel rispetto dell'esito del referendum del 23 giugno 2016. E sono già tantissimi gli osservatori che prevedono l'adozione del cosiddetto "modello Norvegia" da parte del Regno Unito.
Se i Paesi senza euro ma dentro l'Ue stanno meglio di quelli che hanno scelto la moneta unica, così i Paesi che stanno fuori dall'Unione vivono molto meglio di quelli dell'Unione Europea. Il Pil pro-capite medio dell'Efta (l'accordo di libero scambio fra Norvegia, Liechtenstein, Islanda e Svizzera) è infatti pari a 62.534 $, mentre quello dell'Unione Europea è pari a 37.800 $. In altre parole un cittadino dell'Unione mediamente guadagna il 60 % di chi sta fuori. Infatti sia l'Islanda che la Svizzera hanno di recente ufficialmente abbandonato il progetto di adesione all'Unione Europea. Un tempo si facevano carte false per entrare nell'Unione, ora se puoi la eviti.

Vi ricordate la crisi della Grecia?
Si dice spesso che Paesi come Grecia, Irlanda e Spagna anche nei momenti più acuti della loro crisi mai hanno accarezzato l'idea di lasciare l'Unione Monetaria. Intanto si consideri che nel luglio 2015 gli elettori greci hanno con un referendum sonoramente bocciato i "piani di salvataggio" elaborati dalla Troika (Banca centrale europea, Commissione europea e Fondo monetario internazionale). Inoltre si tenga conto del fatto che tutti questi Paesi hanno ricevuto corposi finanziamenti dagli altri cugini europei affinché rimborsassero con questi soldi i prestiti incautamente erogati loro dalle banche francesi e tedesche. Ad esempio nel luglio 2015 per impedire alla Grecia di uscire dall'Unione Monetaria è stato accordato un finanziamento per complessivi 86 miliardi di euro. Quasi il 50% del Pil. Insomma, se li sono comprati per farli rimanere nell' euro, ovviamente con i soldi nostri.
Nel luglio 2015 gli elettori greci hanno con un referendum sonoramente bocciato i "piani di salvataggio" elaborati dalla Troika (Banca centrale europea, Commissione europea e Fondo monetario internazionale). Per impedire alla Grecia di uscire dall'Unione Monetaria è stato accordato un finanziamento per complessivi 86 mld €. (quasi il 50% del PIL). Se l’Italia fosse stata nelle stesse condizioni avrebbe ricevuto 800 mld €. A cosa servivano questi soldi? Per rimborsare i prestiti incautamente erogati loro dalle banche francesi e tedesche. Come dire che i soldi nostri sono serviti a pagare il debito con le banche francesi e tedesche.
La Banca Centrale in caso di crisi può abbassare i tassi di interesse e stampare nuova moneta per "annaffiare l'economia". Nel periodo 2013-2016 le banche italiane hanno raccolto un importo lordo di 859 miliardi. Quasi un terzo del totale messo a disposizione da Draghi per tutte le banche europee. Ma nello stesso periodo i crediti ad imprese e famiglie sono diminuiti di 15 miliardi. A cosa sono serviti questi soldi alle banche? A comprare il debito italiano che stava in pancia alle banche francesi e tedesche. Tutti questi soldi certamente non hanno contribuito al superamento della crisi italiana. Se il cavallo non beve puoi dargli tutta l'acqua che vuoi. Sarà semplicemente sprecata.
Quando gli euroinomani citano a supporto delle proprie narrazioni le previsioni del Fmi (non i dati consuntivi come facciamo noi) iniziate pure a ridere. Non ne hanno mai azzeccata una. Nel 2010 il Fondo Monetario prevedeva che il Prodotto interno lordo del 2015 della Grecia sarebbe stato pari a 260 miliardi di euro. Nel 2011 invece scrisse che sarebbe stato intorno a 230 miliardi di euro; nel 2012 prevedeva infine che sarebbe stato intorno a 220 miliardi di euro per poi "arrotondare" questa cifra a 195 miliardi. Il Pil greco nel 2015 si è attestato comunque intorno ai 180 miliardi cioè oltre il 30% in meno rispetto a quanto prevedeva cinque anni prima (fonte The Telegraph).
In questi anni la Grecia è stata oggetto dei più feroci ed insulsi esperimenti di politica economica mai concepibili. Il tutto è stato pure giustificato con affermazioni risibili del tipo: «i greci hanno truccato i conti»; «hanno sperperato denaro in apparati pubblici improduttivi» ovvero «sono pigri e lazzaroni». C'è del vero nel fatto che i conti pubblici siano stati oggetto di manipolazione e che il tessuto manifatturiero ellenico sia di fatto inesistente. Ma ciò rende ancor più deprecabile il sadismo delle torture cui il popolo e l'economia della Grecia sono stati sottoposti in questi ultimi anni dalla Troika; peraltro con risultati sconcertanti. La Commissione Europea - ad esempio - riportava nel luglio 2015 che la spesa primaria annua (esclusi cioè gli interessi sul debito) sia stata tagliata da 110 a 81 miliardi nel periodo 2008-2014. Una sforbiciata del 26 per cento circa. La disoccupazione è nel frattempo salita dal 7,8 per cento al 26,5 per cento. Cioè è più che triplicata. Giusto per darvi un'idea dell'ordine di grandezza di questa follia, è come se l'Italia fosse arrivata a tagliare la spesa pubblica primaria annua di quasi 200 miliardi di euro. In pratica cancellando tutto il Servizio Sanitario Nazionale, mandando a casa medici, infermieri ed impiegati, chiudendo tutti gli ospedali e non garantendo più alcun farmaco ai nostri assistiti, dovremmo ancora trovare dagli 80 ai 90 miliardi di euro per raggiungere l'incredibile cifra di 200 miliardi di euro. Viceversa l'esperienza di Paesi quali Stati Uniti d'America, Giappone e Regno Unito dimostra che arrivare a livelli di deficit di bilancio fra l'8 per cento ed il 10 per cento nei momenti di crisi -grazie anche agli investimenti pubblici ed alle minori tasse - aiuta l'economia a ripartire. 

I risparmiatori finanziano le banche con la complicità della Banca Centrale che solo così le tiene in piedi


Nel dicembre 2013 Letta (un “vero” esperto che il mondo ci invidia!) festeggiava: «Approvata la Banking Union, per tutelare i risparmiatori ed evitare nuove crisi. Buon passo verso una Unione europea più unita».
23 mesi più tardi gli obbligazionisti di Banca Etruria, Cariferrara, Carichieti e Banca Marche capirono il perché delle virgolette alla parola “vero”.
L'applicazione del bailin ha avuto conseguenze devastanti sull'intero sistema bancario. Le banche quotate a Piazza Affari avevano un valore di borsa di 130 miliardi a Novembre 2015, 59 miliardi a Giugno 2016. I risparmiatori finanziano le banche con la complicità della Banca Centrale che solo così le tiene in piedi.
La crisi delle nostre banche non è solo un semplice episodio di cronaca giudiziaria. Si tratta di una "morte incrociata"; da una parte il Pil nominale italiano nel periodo 2008-2020 crolla di un quarto del suo valore; dall'altro i crediti deteriorati triplicano passando dal 4% al 12% del Pil.
Una domanda facile facile: ci conviene stare nell'UE? Accettasi solo risposte non viziate da pregiudiziali ideologiche.

Chi crede che l'Ue abbia protetto o rafforzato la nostra industria pensi al salario minimo italiano

Chiunque pensasse che l'Ue abbia protetto o rafforzato la nostra industria deve purtroppo misurarsi con la cruda realtà dei fatti. La quale dimostra che l'indice di produzione industriale è salito da un livello di circa 85 nel 1984 per arrivare ad un massimo di 120 nel 2008 e quindi ritornare intorno a 91 nel 2015. Oggi va ancora peggio. L'incapacità di reagire a shock esterni attraverso il riallineamento del cambio della moneta nei confronti dei nostri principali competitor europei ha cioè spostato le lancette dell'orologio di nuovo intorno agli anni 90. I dati sono frutto di una rielaborazione dei numeri Ocse effettuato dalla Federal Reserve di St. Louis.
Il quadro europeo del salario minimo (minimum wage) fa riflettere sulla nostra situazione.



I regolamenti europei hanno migliorato la qualità della vita dei consumatori o delle nostre imprese?

Un luogo comune è: l'Europa ha in generale migliorato la qualità della vita di ogni cittadino tranne il fatto che non ha per ora dimostrato di avere concordato alcunché in merito alla realizzazione di opportune azioni di politica economica atte a rimuovere le cause della crisi. A parte che ci verrebbe da dire "hai detto scansati!". Ma sinceramente non si capisce in quale misura gli sconcertanti regolamenti europei possano avere migliorato la qualità della vita dei consumatori o delle nostre imprese. Cogliamo fior da fiore alcuni regolamenti Ue decisamente emblematici: c'è quello che disciplina la lunghezza minima delle banane (almeno 14 cm) o quello che impedisce la messa in vendita di fave con meno di tre piselli all'interno (sempre in tema!); quello che stabilisce che le vongole debbano avere un diametro non inferiore ai 25 mm per arrivare a quello che disciplina il raggio di curvatura del cetriolo; dai carciofi con sezione equatoriale non inferiore a 6 cm (altrimenti non commestibili?!?) alla cipolla con diametro che deve essere non inferiore ai 10 centimetri. L'ex ministro Giulio Tremonti in una intervista a Libero ha rivelato che se mettessimo in fila le oltre 32.000 pagine di Gazzetta Ufficiale Europea pubblicate nel 2015 arriveremmo a coprire la distanza record di oltre 151 km lineari.



2005 italiani in povertà assoluta 2 milioni. 2015 quasi 5 milioni
L'Europa doveva essere un progetto di libertà e prosperità. I numeri purtroppo dicono che i poveri in Italia sono aumentati in maniera esponenziale. Nel 2005 gli italiani in situazione di povertà assoluta erano 1,9 milioni. Nel 2015 quasi 4,6 milioni (rilevazione dati Istat). Nel 2022 superano i 7 milioni.
L'esperienza di Paesi quali Stati Uniti d’America, Giappone e Regno Unito dimostra che arrivare a livelli di deficit di bilancio fra l'8% ed il 10% nei momenti di crisi grazie anche agli investimenti pubblici ed alle minori tasse aiuta l'economia a ripartire. Ma l'UE non vuole. Chissà perché?





Nel 1996 l'Italia aveva un rating AA oggi il voto è BBB-

Attualmente nelle file dell'eurocrazia di Bruxelles ci sono dodici potentissimi funzionari teutonici sconosciuti al grande pubblico, ma che hanno un potere decisionale enorme. Sono a capo delle segreterie più rilevanti: dalla concorrenza alla commissione Ue; dal Consiglio Ue all'Eurogruppo; dall'Unione bancaria agli affari economici. Tutti i posti chiave sono occupati da tedeschi o da amici di tedeschi. L'Italia è dal 1976 che fa parte del G6 (i sei grandi). Che poi sarebbero diventati 7 con l'ingresso del Canada. Nel periodo 1945-1980 l'Italia è stato il primo - non il secondo il primo - Paese al Mondo per tasso medio di crescita annuo. Se si considera anche il decennio 1980-1990 l'Italia è seconda al mondo solo dietro la Germania. Nel 1996 (ultimo anno in cui l'Italia ha operato con un cambio flessibile) l'Italia aveva un rating AA da parte di Standard and Poor’s. Un giudizio lusinghiero quasi di massima affidabilità. Mentre oggi il voto è BBB-. Qualora detto voto fosse abbassato anche di un solo piccolo scalino, il debito dell'Italia sarebbe catalogato come "spazzatura".



Ogni Stato membro può decidere conformemente alle proprie norme costituzionali di recedere dall'UE

Che l'uscita dalla Unione europea da parte di uno Stato membro sia sempre possibile, lo ha dimostrato, di recente, la Brexit. Ma come funzionano le cose dal punto di vista delle procedure definite dal Trattato di Lisbona? L'articolo 50 del suddetto Trattato ha introdotto una particolare procedura "liberatoria". Al primo paragrafo viene riconosciuto che «ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall'Unione». Lo Stato, tuttavia, ha l'onere di notificare tale intenzione al Consiglio Europeo. Alla luce degli orientamenti formulati da quest'ultimo, «l'Unione negozia e conclude con tale Stato un accordo volto a definire le modalità del recesso, tenendo conto del quadro delle future relazioni con l'Unione». L'accordo è, infine, concluso a nome dell'Unione europea, dal Consiglio «che delibera a maggioranza qualificata previa approvazione del Parlamento europeo». Secondo l'articolo 50, pertanto, uno Stato che intenda uscire dall'Unione dovrebbe negoziare un accordo con quest'ultima attraverso una procedura che, per giungere ad un esito positivo, richiede non soltanto il consenso del Consiglio Europeo, ma anche l'approvazione da parte del Parlamento Europeo. Vale la pena, però, notare che il paragrafo 3 prevede che «i trattati cessano di essere applicabili allo Stato interessato a decorrere dalla data di entrata in vigore dell'accordo di recesso o, in mancanza di tale accordo, due anni dopo la notifica di cui al paragrafo 2, salvo che il Consiglio europeo, d'intesa con lo Stato membro interessato, decida all'unanimità di prorogare tale termine». Il recesso non richiede, pertanto, la conclusione dell'accordo previsto dai primi due paragrafi dell'articolo 50: nel caso di fallimento dei negoziati, infatti, i trattati cessano comunque di avere efficacia per lo Stato membro che intenda "uscire" dall'Europa, con il solo limite temporale di due anni dalla notifica dell'intenzione di recedere. L'accordo bilaterale, pertanto, non esclude la possibilità di un recesso unilaterale, ma, al contrario, la presuppone.
L'esperienza della Gran Bretagna, diventata più solida dopo la Brexit, la dice lunga. 



Se uno Stato non volesse uscire dall'UE ma solo rinunciare all'euro si potrebbe fare
«Se uno Stato non volesse uscire dalla Unione europea ma soltanto rinunciare all'euro si potrebbe fare?» Vi sono, nell'Unione, Stati che non hanno adottato l'euro, come è noto. Logica vorrebbe, pertanto, che sia certamente possibile restare in Europa uscendo soltanto dalla moneta unica. Eppure la cosa sembra più complicata di quanto si penserebbe. Mentre, infatti, il Trattato di Lisbona disciplina, all'articolo 50, la procedura di uscita dall'Unione, nessuna disposizione fa riferimento alcuno al recesso dall'Unione Monetaria (così come, del resto, nulla diceva il Trattato di Maastricht a questo proposito). Sembrerebbe quasi che, una volta accettata la moneta, non si possa più neppure tornare indietro. Impossibile uscirne, dunque? Secondo alcuni costituzionalisti l'uscita unilaterale per decreto è assolutamente legittima. Secondo altri, invece, proprio in forza del fatto che il sistema europeo è stato disegnato sia con Stati dentro che fuori dalla moneta unica comune, l'uscita dovrebbe essere consentita, quantomeno con un negoziato analogo a quello previsto dall'articolo 50 del Trattato. 


No all'euro sì alla lira anzi a due lire

Claudio Borghi Aquilini sostiene che, una volta ritornati monetariamente sovrani, con l’uscita dall'euro, converrebbe avere due valute, una per il Nord e una per il Sud. Ma perché una sola moneta non può andare bene per tutti?I ntanto vediamo cos'è la moneta. Lo Stato la emette e ne è il monopolista, e la impone costringendo la gente a pagare le tasse solo con quella valuta.Se il governo italiano, emettesse direttamente, due monete, una per il Nord e una per il Sud, cosa succederebbe?L'Italia non si dividerebbe in due, ma si rafforzerebbe.Oggi il Nord trasferisce soldi al Sud, che non ne fa buon uso per la sua scarsa competitività, dovuta a fattori territoriali (una maggiore distanza dall’Europa) e da fattori ambientali. I soldi del Nord infatti arrivano al Sud e vanno in mano a qualcuno che dovrà distribuirli, creando clientele e parassitismo.Con una propria valuta che gli garantisce parità di condizioni con il Nord, senza trasferimenti ed eliminando gli scompensi, chi ha voglia di lavorare creerà lavoro per sé e per gli altri. Chi prima distribuiva i soldi dopo dovrà amministrare soldi dei suoi concittadini. La prospettiva cambia, infatti i cittadini del Sud, proprio perché quei soldi se li sono sudati, staranno molto attenti a chi votano e a come li spende.La 'lira Sud' varrebbe molto di meno della 'lira Nord', circa il 50%. Non c’è rischio svalutazione, poiché riguarda il cambio con le altre valute. C’è rischio inflazione, ma per contrastarla è sufficiente ripristinare la scala mobile per i redditi medio - bassi.Vantaggi?I cittadini del Sud mangerebbero cibo del Sud, come già in parte fanno, e i prezzi, essendo la loro capacità produttiva sottoutilizzata, non aumenterebbero: essi dipendono difatti dalla scarsa offerta. Con l'aumento della domanda interna ci sarebbe più lavoro e quindi più benessere.E per le materie prime?Il costo delle materie prime incide per 20% del costo del prodotto, si avrebbe un aumento del 50% del 20%, ovvero del 10%; però in compenso il lavoratore del Sud avrebbe uno stipendio con un potere di acquisto pari a quello del Nord per le merci del Sud, incluse le auto e quanto altro si produce già al Sud.Il turismo avrebbe un balzo in avanti straordinario. E questo porterebbe al Sud tanta valuta estera pregiata. Ovviamente all'estero le merci prodotte al Sud costerebbero poco e sarebbero di ottima qualità, a Termini Imerese si lavorerebbe su 4 turni e un'auto del Sud costerebbe all'estero la metà di un'auto francese e di una del nord (che sarebbe penalizzato in tal senso, ma in compenso non dovrebbe più trasferire soldi al Sud).Fine dell'emigrazione Sud-Nord: chi emigra lo farebbe esclusivamente su base volontaria.Pensiamo ai pensionati danarosi di tutto il mondo. Hanno soldi, tempo, acciacchi e paura di essere rapinati. La Sicilia ha un clima ottimo (20° a dicembre), asciutto tutto l'anno, con gente solare splendida e socievolissima, cibo eccellente (limoni fantastici, dolci squisiti, carne e verdura genuine etc.). Si potrebbe creare una sanità di qualità (nuovi ospedali privati che verrebbero pagati dai ricchi stranieri pensionati). Valuta pregiata che affluisce, reddito pro capite e indotto che aumentano, bilancia dei pagamenti con l'estero in avanzo crescente.La moneta pregiata può essere investita nella ricerca scientifica, invertendo il vergognoso trend che vede oggi la "fuga dei cervelli" all'estero. Si stanzierebbero cifre rilevanti per ricerca di cure per le malattie degenerative, con malati che da tutto il mondo verrebbero al Sud a curarsi.Si potrebbe garantire il Programma di Lavoro Garantito della Me-mmt (Mosler Economics Modern Monetary Theory) e contemporaneamente stabilire accordi con aziende private: taglio alle tasse, in cambio di assunzioni a tempo indeterminato.

Purchase Parity Power (PPP)

L‘Italia con la crisi è rimasta indietro rispetto ai partner europei. La nostra progressiva perdita di competitività inizia dal lavoro: disoccupazione e stipendi bassi; di chi un lavoro ce l’ha, in funzione di una sua produttività bassa. Guardando i salari reali in dollari secondo il Purchase Parity Power (PPP), cioé a parità di potere d’acquisto, si vede come gli italiani non solo guadagnino meno dei lavoratori degli altri principali Paesi europei, ma anche che dal 2000 a oggi il divario non ha fatto che allargarsi.
Se quindici anni fa Francia e Italia e Spagna avevano valori medi molto vicini, fin dal 2014 la Francia appare ormai irraggiungibile, e nonostante la crisi economica, anche la Spagna ha allargato il suo vantaggio sul nostro Paese. A oggi, con una media lorda di 34.744 $ di stipendio un lavoratore italiano ne percepisce quasi 10mila meno di uno tedesco, 7mila meno di un inglese e addirittura 16mila meno di un olandese.
Cosa è accaduto? In questi anni il costo del lavoro in Italia è salito più che altrove, eppure gli stipendi sono rimasti al palo. Come mai? Innanzitutto a causa dell’inflazione. Quella che ormai sembra non esistere più, al punto che la Banca Centrale Europea deve pompare moneta comprando      titoli di Stato per combattere la deflazione. Tuttavia, l'inflazione è stata per lunghi anni più alta nel nostro Paese che nel resto del Continente. In dieci anni l’Italia e il resto del Sud Europa hanno perso quasi un 30% di potere d'acquisto rispetto alla Germania.
Ma la principale causa per cui gli stipendi italiani rimangono al palo è la produttività del lavoro (ossia il rapporto tra ciò che viene prodotto e la quantità di lavoro e capitali necessari a produrlo). L’Italia negli ultimi dieci anni non è riuscita a progredire, la produttività è rimasta uguale o addirittura leggermente inferiore a quella del 2005. Siamo superati da tutti i Paesi dell’Est, con i Paesi Baltici in testa, ma anche dalla Spagna, che ha visto la produttività salire del 15%, e non a caso attualmente è il Paese mediterraneo che meglio sta uscendo dalla crisi economica, con una crescita del Pil stimata del 3%.
Come mai tutto questo? Per molti motivi, ma uno merita una menzione speciale: la formazione dei lavoratori. Rimaniamo il Paese con il minore numero di laureati, il 23,9% tra i 30-34enni, il 18,8% tra gli uomini, mentre la media europea è del 37,9%, e Paesi scandinavi, Spagna, Francia, Germania, viaggiano verso il 50%. L’alternanza tra scuola e lavoro e la preparazione professionale sono viste di malocchio nella scuola italiana e questo blocca la disponibilità delle imprese ad assumere giovani che difficilmente contribuiranno a un aumento della produttività dell’azienda.


Faremo la fine dell'Argentina in caso di uscita dell'euro?

Pur di impaurire e terrorizzare la gente, gli euroinomani sono soliti sproloquiare che faremo la fine dell'Argentina in caso di uscita dell'euro. Chi non ricorda il più grande default sovrano della storia? Ebbene quasi tutti trascurano che il debito pubblico argentino al momento del default era grosso modo pari al 45 per cento del Prodotto interno lordo. Come si spiega quindi la successiva rovinosa caduta? Semplicemente con il fatto che questo debito era stato contratto in dollari Usa (cioè una valuta straniera). E si dà il caso che l'Argentina non possa stampare dollari alla bisogna per far fronte a questo debito. Illuminanti le parole dell'ex governatore della Federal Reserve Greenspan che risponde ad un preoccupato giornalista della Cnbc: «Gli Usa possono rimborsare qualsiasi debito in quanto possiamo stampare valuta per pagarli. La probabilità di default è ZERO». Non è quindi la quantità di debito pubblico a determinare la maggiore o minore probabilità di default ma la possibilità o meno di coniare la moneta con cui il debito viene rimborsato. Ed è così che che l'Argentina indebitata in dollari ma "virtuosa nei conti" va in default ed il Giappone no.



Quando gli Stati Uniti di Europa seguiranno il modello degli Stati Uniti d’America?

La globalizzazione incombe. Impone sfide che i singoli Stati nazionali da soli non potrebbero affrontare. Abbiamo una moneta in comune? Bene andiamo avanti e facciamo gli Stati Uniti di Europa sul modello degli Stati Uniti d’America. Non è così semplice. Due sostanziali differenze rendono questo impossibile: loro costituiscono un'area valutaria ottimale, non perché condividono il dollaro, ma perché hanno in comune una lingua, quindi la mobilità del fattore lavoro e un bilancio federale unico. L'Unione Monetaria Europea manca di tutto questo.
Nel 1940 gli Stati indipendenti e sovrani al mondo erano in tutto 69. Nel 2015 sono saliti a 205. In 75 anni il numero è quasi triplicato. Gli Stati Uniti d'Europa non sono un progetto valido che mira attraverso l'unione ad aumentare la forza economica. L'Unione Monetaria non ha rafforzato l'intero blocco, anzi. La quota di Pil mondiale dell'eurozona nel 1999 era pari al 22%, oggi è il 17%. (Fmi).
Abolendo gli aggiustamenti del tasso di cambio l'Euro scarica sul mercato del lavoro il compito di adeguare la competitività ed i prezzi relativi. Sono diventati preponderanti recessione, disoccupazione e pressioni sulla Banca centrale europea affinché inflazioni l'economia. L'Italia, entrata con una valuta sopravvalutata, si è trovata di nuovo alle corde come nel 1992, quando venne attaccata la lira.

 


La Bce dovrebbe essere come la Fed
Sono in molti a sostenere che la Bce dovrebbe essere come la Fed (la Banca Centrale degli Stati Uniti d'America) che fra i suoi obiettivi principali non ha soltanto il controllo della stabilità dei prezzi ma anche la crescita occupazionale. Ma in realtà tutto ciò che una Banca Centrale può fare in caso di crisi è abbassare i tassi di interesse e stampare nuova moneta per "annaffiare l'economia". E questo è ciò che la Banca centrale Europea sta già facendo da tempo. Come rileva una rielaborazione del Centro Studi Unimpresa, nel periodo 2013-2016 le banche italiane hanno raccolto un importo lordo di 859 miliardi. Quasi un terzo del totale messo a disposizione da Draghi per tutte le banche europee. Ma nello stesso periodo i crediti ad imprese e famiglie sono diminuiti di 15 miliardi. Keynes - del resto - era solito ricordare ai suoi alunni che «la politica monetaria è come una corda. Buona per tirare ma inutile per spingere». Fuor di metafora, aumentando i tassi di interesse o drenando moneta dall'economia si raffredda il ciclo economico. Ma viceversa no. Se il cavallo non beve puoi dargli tutta l'acqua che vuoi. Sarà semplicemente sprecata.




Il PIL planetario vale circa 70.000 mld  di $ e il debito planetario vale 250.000 mld di $

Per cercare di fornire un minimo di conoscenza del fatto che l'economia monetaria è una gigantesca convenzione costruita su un gigantesco bluff da tutti accettato, basta pensare ai debiti ed al PIL planetario. Il PIL planetario vale circa 70.000 mld di dollari, il debito planetario vale 250.000 mld di dollari. Cosa vuol dire ciò? Che nessun debitore riuscirà mai a pagare il suo debito per intero e che nessun creditore lo esigerà mai del tutto, pena il crollo del sistema. Anzi, il mondo vive grazie al debito. Se non ci fosse chi presta soldi a chi non ne ha sperando che prima o poi glieli restituisca non ci sarebbe sviluppo economico. Chi ha i soldi per comprarsi una casa se non se li fa prestare da una banca con un mutuo? Pochissimi ed allora non si costruirebbero quelle case che oggi gli imprenditori costruiscono grazie ai soldi che le banche che elargiscono i mutui ai compratori elargiscono loro. Ma se calcoliamo i debitori in assoluto vediamo che esiste un debitore impresario che costruisce una casa a debito ed un compratore che la compra a debito. Ma è la moneta che la banca riceve dai conti dei due che genera quel denaro che poi la banca presta. Come si vede una gigantesca convenzione, dove se per caso uno dicesse basta voglio vedere le carte, si scoprirebbe che tutto il sistema è una gigantesca casa di carta. Infatti gli stati non riducono il valore del debito assoluto ma cercano di alzare il PIL in modo che il rapporto tra debito e PIL stia in certi parametri. Se il PIL cala è una tragedia perchè per mantenere il benessere della popolazione allo stesso livello di prima servono risorse che si possono avere solo indebitandosi. Ma così il rapporto debito PIL peggiora. Se lo stato italiano volesse risparmiare (oggi acquista circa il 47% di ciò che si produce in Italia) crollerebbero i consumi e metà delle aziende italiane fallirebbero, non generando più le entrate tributarie che servono per tenere l'economia dello Stato in piedi. Quando Monti dice che gli sprechi della PA sono per molti una fonte di reddito vitale per stare in piedi, dice che se lo Stato non spande e spende non esiste più come stato.


1 LA SCUOLA INUTILE


In queste 130 pagine sono raccolti e sistematizzati circa 80 post pubblicati sul blog LA VERITÀ PER FAVORE
(https://civicnessitalia.blogspot.com/)
sui temi della disoccupazione, della GIG Economy e della scuola. Oggi la disoccupazione giovanile è un tema cruciale della società e dell'economia. Fa da contraltare a ciò una nuova economia dei "lavoretti" provvisori a cui i giovani sono costretti e la cui dimensione, in continua crescita, ha finito per creare una sorta di economia parallela, legata in particolare al web, la cosiddetta GIG Economy. Ma quali sono le cause di tutto ciò? Una in particolare viene esaminata più a fondo: la crescente inadeguatezza del sistema formativo. Un mondo a sé stante, elefantiaco ed autoreferenziale, costosissimo e dannoso, praticamente irriformabile, che continua ad insegnare saperi obsoleti secondo una logica prenovecentesca che non permette la comprensione della realtà che ci circonda e che non fornisce conoscenze ed abilità utili per essere inseriti nel mondo del lavoro. Questa è la scuola inutile. Come può cambiare? Viene presentata la traccia di un radicale riforma, contenutistica e metodologica, in cui imparare e lavorare non sono più visti come termini in contrasto ed in successione, ma come due facce contemporanee della stessa medaglia.

2 NUOVI MODELLI DI SCUOLA

 
Nuovi modelli di scuola prosegue idealmente il discorso iniziato con La scuola inutile. Come allora si tratta della raccolta sistematizzata dei contenuti pubblicati in una serie di post sul blog LA VERITÀ PER FAVORE
(https://civicnessitalia.blogspot.com/). Il metodo, già sperimentato con successo, è quello di invertire i criteri di progettazione delle nuove didattiche. Oggi ogni riforma della scuola, parte dalla rielaborazione, con qualche aggiustamento più o meno consistente, dell'impianto formativo esistente.Viceversa, considerando questo sistema irriformabile, la partenza avviene dall'analisi della realtà extracolastica (il futuro è adesso) e degli enormi progressi dell'informatica e della robotica (amico robot). Su ciò vanno calibrate le nuove esigenze formative, le metodologie didattiche, i contenuti, le abilità, il reclutamento dei docenti, un continuo scambio tra scuola e lavoro. Quella a cui assistiamo è una nuova offerta formativa, temporalmente circoscritta e flessibile, modellata a fine percorso sulle opportunità occupazionali immediate dei soggetti.

3 I LIMITI DEL GLOBALE

 

I limiti del globale affronta le problematiche sorte a causa della globalizzazione, fenomeno di lungo corso, ma che negli ultimi 20 anni ha avuto un’accelerazione assai significativa, generando a cascata fenomeni socio-economici difficilmente controllabili. Raccoglie in maniera  sistematica i post pubblicati sul blog  LA VERITÀ PER FAVORE (https://civicnessitalia.blogspot.com/). Partendo dai diversi ambiti in cui essa si articola (la globalizzazione) esso ripercorre i vani sforzi degli organismi internazionali per porre rimedio alle disfunzioni più gravi (l’impotenza dell’ONU) fino all'ingovernabilità della situazione europea attuale (la crisi europea dei migranti) ed alle contraddizioni comunitarie (uscire dall'UE).

4 IL SISTEMA ITALIA

  

Il sistema Italia affronta le problematiche italiane degli ultimi 20 anni e la difficoltà delle soluzioni. Raccoglie in maniera sistematica i post pubblicati sul blog  LA VERITÀ PER FAVORE 
(https://civicnessitalia.blogspot.com/).
Partendo dai diversi ambiti sociali delle aree geografiche che compongono la nostra penisola (il sistema Italia), esso si addentra nell'analisi del poco soddisfacente status economico (un’economia drogata), tocca l’inadeguatezza della nostra classe dirigente a risolvere i problemi (una classe poco dirigente) e la forza di interdizione verso ogni semplificazione di gestione operata dai funzionari dell’Amministrazione Pubblica (burodittatura). Individua infine la strada di una possibile soluzione nello sforzo di ammodernamento digitale che è in atto (agenda digitale).

 5 CARO MARIO TI SCRIVO

  

Caro Mario ti scrivo affronta le criticità italiane più recenti indicando tracce di soluzioni. Raccoglie in maniera sistematica i post pubblicati sul blog  LA VERITÀ PER FAVORE
(https://civicnessitalia.blogspot.com/).
Immagina di inviare una serie di lettere a chi ha responsabilità di governo cercando di dare una lettura non banale della realtà italiana (criticità), proponendo soluzioni precise ed articolate (proposte) e mettendole in relazione con le riforme messe in cantiere ma non ancora completate (promesse).
 
6 SOSTIENE NAT RUSSO

 

Sostiene Natrusso affronta sotto forma di metafora il luogocomunismo imperante spacciato sotto la categoria etica del politicamente corretto. Raccoglie in maniera sistematica i post pubblicati sul blog  LA VERITÀ PER FAVORE
(https://civicnessitalia.blogspot.com/).
Sono toccati temi sociali (vi parlo di politica), ecologici (bufala verde non avrai il mio scalpo), transfrontalieri (import export) ed economici (pochi maledetti e subito). Ne esce uno spaccato anticonformista, vivace ed immediato della vis polemica che l’autore quotidianamente riversa nei suoi seguitissimi social.

7 NON MI ROMPERE I TABÙ

  

Non mi rompere i tabù raccoglie in maniera sistematica i post grafici pubblicati sul blog LA VERITÀ PER FAVORE
(https://civicnessitalia.blogspot.com/).
Attraverso l’uso di più tipi di grafica umoristica e paradossale (fumetto, solarizzazione, riproduzione caricaturale, ecc.) sono toccati temi artistici (aste televisive), sociali (dandy & milf), politici (non prendeteci per il Colao), giochi linguistici e nonsense (paradoxa). Ne esce uno spaccato anticonformista, vivace ed immediato della vis polemica che l’autore quotidianamente riversa nei suoi seguitissimi social.

8 CIVICNESS ITALIA

Il seguente volume raccoglie in maniera sistematica post apparsi su blog, interventi in conferenze pubbliche, seminari di studio, repliche ad articoli pubblicati su quotidiani, settimanali, mensili, ecc. In ognuno di essi si può notare come, ad ogni spunto polemico, segua sempre una pars construens in cui si illustra una proposta di riforma o almeno una traccia di soluzione di un problema. A differenza di quanto avvenuto in passato, in cui venivano sviluppate tematiche autoconcluse (La scuola inutile, Nuovi modelli di scuola, I limiti del globale, Il sistema Italia, Caro Mario ti scrivo, Sostiene Nat Russo, Non mi rompere i tabù) in questo caso tutti i differenti elementi convergono verso un unico target dinamico: la creazione di un soggetto politico plurale portatore di una volontà di cambiamento forte basata sulla CivicnessLa Civicness, ossia il senso civico, pare essere la materia più rara (ma più necessaria) oggi in Italia. Prevale un diffuso senso di disimpegno, di menefreghismo, di “basto a me stesso”, di “se posso arraffo”, di “alla faccia degli altri”, di “io sono più furbo e ti frego”, di “dacci dentro con l’assalto alla diligenza”, di “ogni lasciata è persa”, di “ma che il fesso sono solo io?”. L’algoritmo sociale proposto per CIVICNESS va certamente limato ed approfondito, ma allo stato attuale, come ogni progetto open source che si rispetti, esso viene dato in affido alla comunità scientifica perché lo faccia proprio, lo implementi, lo migliori, ne verifichi i punti deboli e le carenze, ne segnali le sempre possibili contraddizioni. Si tratta comunque di un atto fondativo. Civicness Italia nasce oggi. Nat Russo Italia, Liguria, Savona, 1 Gennaio 2022

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