domenica 8 gennaio 2023

Corso di politica internazionale: Lezione 1 Il terrorismo jihadista

 

https://youtu.be/_3txXMBELwI

Ii terrorismo jihadista


La storia delle formazioni terroriste jihadiste ci insegna i meccanismi di nascita e di sviluppo. Si parte sempre dalla nascita di un campo profughi finanziato da una o più onlus. In questi campi cominciano ad operare reclutatori, specialisti politici, religiosi, ed istruttori militari. 

Quando si parla di un campo profughi non si deve pensare ad un piccolo campeggio di disperati. Certi campi profughi raggiungono sovente la popolazione di medie città italiane. Vale a dire centinaia di migliaia di residentiI neo adepti alla radicalizzazione hanno particolari vantaggi economici, sanitari, di istruzione, per loro e le loro famiglie. Ahimè la miseria fa fare brutte scelte e spesso i genitori vendono i figli adolescenti in cambio di sostegni concreti alla loro famiglia. Con i carichi alimentari, vestiario, strumentazione, medicinali, ospedali da campo, attendamento, ecc. arrivano i primi armamenti. Con le armi e l'esaltazione, aumenta il proselitismo e si costruiscono le prime milizie. Il campo profughi passa sotto il controllo del gruppo terroristico. Il labirinto di triangolazioni finanziarie fa sì che la lotta a questi fondi (che nel caso dell'Arabia Saudita, sono anche parte di fondi sovrani) diventa difficile se non impossibile.
Quindi attenzione a quando si finanzia una onlus che dice di operare a sostegno di un campo profughi. Spesso nel tentativo di far del bene si fanno degli errori. Vi ricordate la campagna progressista "adotta un profugo palestinese a distanza"? Come ci sentivamo buoni e dalla parte del giusto giusto giusto. Poi scoprimmo che stavamo adottando dei terroristi. Smettemmo, sentendoci dei grandi coglioni, ma sostenemmo che la causa era comunque giusta e dicemmo che erano "compagni che sbagliavano", non eravamo d’accordo sul metodo ma sul merito.
Sulle armi, la loro provenienza e le triangolazioni che vengono fatte "da chi… per farle arrivare a chi… attraverso chi", il discorso è ancora più stomachevole. Ricordo solo che gli Stati Uniti, il Pakistan, l'Iran, l'Arabia Saudita, la Cina e il Regno Unito inviavano armi a quei gentiluomini dei mujaheddin per contrastare l'URSS, che sosteneva il governo "legittimo". Ricordo che certe onlus hanno delle dimensioni finanziarie e di occupati considerevoli. Vere e proprie grandi industrie della “bontà”. 
Pensate cosa costa ogni giorno mantenere eserciti di decine di migliaia di uomini che fanno la guerra. Ma pensate anche cosa costa mantenere ogni giorno eserciti di migliaia di uomini che “curano” quelli che fanno la guerra.


La galassia terrorista si articola in molte organizzazioni, in alcuni casi direttamente sponsorizzate da servizi segreti nazionali, come il caso della deviata Inter-Services Intelligence pakistana che ha sostenuto i Talebani in Afghanistan e sostiene tuttora Lashkar-e Taiba nella sua campagna di destabilizzazione del Kashmir indiano e negli attacchi all'India. In alcuni casi sono direttamente gli stati a supportare militarmente, spiritualmente e finanziariamente le organizzazioni, come nel caso dell'Iran verso Hezbollah; stime ritengono che il sostegno duri da 25 anni e che vi siano stati trasferimenti di valuta e materiale dell'ordine dei 100 milioni di dollari annui, anche se la provenienza è di una fonte non terza come il Mossad, il tutto finalizzato anche ad espandere la propria influenza regionale.
Le organizzazioni evolvono col tempo, o spariscono a beneficio di nuovi gruppi sotto la pressione degli stati e delle forze di polizia; un esempio è il Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento che ha raccolto l'eredità e il ruolo del Gruppo Islamico Armato (GIA) in Algeria e nella zona del Sahel, espandendosi nel Mali dove sotto il nome di Al-Qa'ida nel Maghreb islamico (AQMI) ha fomentato la guerra civile e la secessione del nord del paese, dimostrando di poter perseguire obiettivi politico-militari di ampio respiro rispetto all'esecuzione di attentati e alla propaganda; il cambio di nome evidenzia inoltre la volontà di sottolineare l'affiliazione ad Al-Qāida o quanto meno una contiguità di metodi ed obiettivi. I soldi che finanziano l'operatività di queste organizzazioni provengono da varie fonti come donazioni di privati, ma anche e soprattutto vendita di armi o di droga come nel caso dell'AQMI. Un'altra fonte, anche se indiretta, è la pirateria navale, come nel caso della pirateria somala dalla quale l'organizzazione Al Shabab ha preteso percentuali dell'ordine del 20% dei riscatti ai pirati, e non ricevendoli ha proceduto ad "arrestare" alcuni tra loro.
Al-Gama'at al-Islamiyya è una organizzazione egiziana che si è resa responsabile del massacro di Luxor e di una intensa campagna terroristica, anche se nel 2003 aveva dichiarato di abbandonare la lotta armata. In realtà vi sono stati massicci rilasci di suoi membri dopo i 25 anni dalla morte di Sadat, che avrebbe dovuto essere un segno di confidenza del governo egiziano dell'epoca sulla riduzione della minaccia. L'organizzazione ha come leader religioso Umar Abd al-Rahmān ed affonda le sue origini nei Fratelli Musulmani, una cui frangia denominata Al-jihad o Tanzīm al-jihad (Organizzazione del Jihād) fu costituita nel 1980 ed è elencata dalle Nazioni Unite tra le entità appartenenti o associate ad al-Qāida; l'organizzazione è responsabile dell'assassinio di Anwar el-Sadat nel 1981. Tuttavia un leader della Jamāa, Muhammad al-Hukayma, disse anche che non tutti i membri della Jamāa erano ancora propensi all'uso della violenza e che alcuni rappresentanti della Jamāa avevano negato di essersi uniti ad al-Qāida. Lo Shaykh Abd al-Akhir Hammād, ex leader della Jamāa dichiarò ad al-Jazeera: "Se alcuni fratelli ... hanno raggiunto al-Qāida, ciò è la loro personale scelta e io non credo che la maggioranza dei membri di al-Jamāa al-Islāmiyya condividano la medesima opinione". In realtà al-Qāida non è una organizzazione rigida, e spesso ha concesso l'uso del proprio nome, in una specie di franchising del terrore a gruppi che rappresentavano interessi locali particolari, pur nell'ambito del fattore comune dato dalla fede islamica e dalla lotta contro gli infedeli.
Altra organizzazione molto importante ed attiva nel sud-est asiatico è il già citato gruppo Abu Sayyaf (letteralmente padre di Sayyaf). Il nome deriva dal fatto che il suo fondatore diede il nome di Sayyaf a suo figlio; questo nome però è ispirato al predicatore wahhabita afghano Sayyaf, che nel 1981 fondò una fazione, Ittehad e-Islam, che venne scelta come interlocutore dal servizio segreto pakistano ISI e godeva di finanziamenti e supporti religiosi sauditi. Sayyaf in origine si chiamava Ghulam Rasud (servo o schiavo del Profeta) in Abd al-Rab al-Rasud (servo di Dio e del Profeta), poiché la venerazione di un essere umano, sia pure il Profeta, implicata dal primo nome era inaccettabile dai fedeli di stretta osservanza wahhabita; con i fondi arabi venne creata intorno al 1984 una città, nota come Sayyaffabad (letteralmente città di Sayyaf) che ospitava un campo profughi ma anche magazzini di armi e materiale bellico, strutture di addestramento, moschee e madrasse, nei pressi della città di Pabbi, ad est di Peshawar.
Un'altra organizzazione relativamente recente è Boko Haram, attiva in Nigeria dove sta tentando di scatenare una guerra civile di matrice religiosa tra la componente cristiana e quella musulmana di questa repubblica federale.

Le origini del terrorismo moderno affondano le proprie radici nella guerra russo-afghana, vale a dire l’invasione dell'Armata Rossa sovietica dell'Afghanistan (durata circa 10 anni 1979-1989) che vide contrapposte da un lato le forze armate della Repubblica Democratica dell'Afghanistan (RDA), sostenute dall'Unione Sovietica, e dall'altro i guerriglieri afghani noti come mujaheddin, appoggiati finanziariamente da un gran numero di nazioni estere quali gli Stati Uniti, il Pakistan, l'Iran, l'Arabia Saudita, la Cina e il Regno Unito.
Dopo il disimpegno sovietico gli scontri tra mujaheddin e truppe governative proseguirono nell'ambito della guerra civile afghana, fino alla caduta del governo della RDA nell'aprile del 1992.
In questo ambito si inserisce la predicazione di Abd Allāh Yūsuf al-Azzām un attivista palestinese, pensatore "fondamentalista", che, trasferitosi in Arabia Saudita e poi in Pakistan, aveva istituito un'organizzazione denominata Maktab al-Khidamat (MAK), finalizzata alla gestione dell'afflusso di volontari e fondi in loco per il sostegno ai mujāhidīn.
Egli teorizzava una lotta come obbligo morale per tutti i musulmani, come il dovere più importante di ognuno:
« Questo dovere non si concluderà con la vittoria in Afghanistan; il jihad resterà un obbligo personale finché ogni altra terra appartenuta ai musulmani non ci sarà restituita così che l'Islam torni a regnare; davanti a noi si aprono la Palestina, Bukhara, il Libano, il Ciad, l'Eritrea, la Somalia, le Filippine, la Birmania, lo Yemen del Sud, Tashkent e l'Andalusia.»
Nei testi viene ripetutamente citato il martirio come mezzo per ottenere le ricompense nell'altra vita quali «l'assoluzione da tutti i peccati, settantadue bellissime vergini, e il permesso di portare con sé settanta membri della propria famiglia».
La sua predicazione influenzò due personaggi destinati ad essere figure chiave degli sviluppi futuri: il saudita Osama Bin Laden e l'egiziano Ayman Muhammad Rabī al-Zawāhirī.
Sugli obiettivi da perseguire emersero comunque contrasti tra al-Zawhāhirī e al-Azzām, che portarono quest'ultimo a essere dapprima fatto bersaglio di un attentato fallito e poi ucciso da tre mine.
Osāma Bin Lāden, terrorista saudita, fondamentalista islamico sunnita, grazie alla potenza finanziaria della sua famiglia fornì consistenti aiuti ai mujaheddin
guadagnandosi anche la popolarità fra molti arabi, divenendo nel 1988 il fondatore e leader di al-Qāida, un’organizzazione terroristica internazionale di stampo jihadista. Esiliato dall'Arabia Saudita nel 1992, spostò la sua base in Sudan, finché la pressione statunitense lo costrinse ad allontanarsene nel 1996. Stabilì una nuova base in Afghanistan e dichiarò guerra contro gli Stati Uniti, dando inizio a una serie di attentati e attacchi imponenti come gli attentati dell'11 settembre 2001 contro gli Stati Uniti d'America e numerosi altri attacchi con "vittime di massa" contro obiettivi civili e militari. Rimasto in latitanza durante tre amministrazioni presidenziali statunitensi, la notte del 1º maggio 2011 Bin Laden venne ucciso in un conflitto a fuoco all'interno di un complesso residenziale ad Abbottabad, in Pakistan, da componenti del DEVGRU degli Stati Uniti e da agenti CIA nel corso di un'operazione segreta ordinata dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama.
L'egiziano Ayman Muhammad Rabī al-Zawāhirī dal 16 giugno 2011 diventa ufficialmente il capo del gruppo terrorista islamico al-Qāida in seguito alla morte di Osama bin Laden, dopo essersi impegnato, in un video pubblicato l'8 giugno 2011, a continuare il suo operato. Appartenente ad una      famosa famiglia egiziana che vanta magistrati, letterati e medici, Ayman al-Zawàhiri è, oltre che medico egli stesso, scrittore e poeta. È stato "luogotenente" di Osāma bin Lāden e suo medico personale.
Una radicale trasformazione del terrorismo islamico si è avuta con l'emergere di nuovi Stati con grandi disponibilità finanziarie come l'Arabia Saudita e gli emirati del Golfo Persico, caratterizzati anche da forme di governo che si influenzano reciprocamente con gli ambienti "clericali" islamici e con le dottrine legate a correnti di pensiero integraliste come il wahhabismo. Questi Stati hanno finanziato attraverso donazioni a istituzioni “caritatevoli”, i gruppi legati al terrorismo. Una consistente parte dei soldi destinati ad opere assistenziali è stata usata per finanziare direttamente spedizioni di armi camuffate da spedizioni di beni di prima necessità e per gestire istituzioni di accoglienza e selezione tra i candidati, destinandoli a corsi di uso degli esplosivi e gestione degli ostaggi.
Ciò detto restano aperte alcune questioni cruciali:
- l'Islam perdona o giustifica il terrorismo?
- gli attentati vanno compresi nel terrorismo islamista o sono da considerare atti di terrorismo attuati da musulmani?
- vi è appoggio nel mondo musulmano per il terrorismo islamista?

Il nome dell'organizzazione deriva dall'arabo qaida che significa "fondazione" o “base di dati”. Osama bin Laden spiegò l'origine del nome in un'intervista concessa Al Jazeera Taysir Aluni « Il nome di al-Qaida fu stabilito molto tempo fa per caso. Il defunto Abū Ubayda al-Banshīrī creò dei campi di addestramento per i nostri mujahedin contro il terrorismo sovietico. Usavamo chiamare i campi di addestramento "al-Qaida". Il nome rimase. » Secondo l'ex-ministro degli Esteri britannico Robin Cook (laburista dimessosi per protesta contro la partecipazione britannica all'invasione in Iraq), al-Qāida sarebbe la traduzione in arabo di "data-base": «… era originariamente il nome di un data-base del governo USA, con i nomi di migliaia di mujāhidīn arruolati dalla CIA per combattere contro i sovietici in Afghanistan».
Altre fonti affermano che il nome derivi dal centro logistico situato a Peshawar: in tale luogo sarebbero stati registrati i nomi dei volontari arabi successivamente mandati a combattere in Afghanistan contro le truppe russe.
Secondo alcune fonti, Al-Qaida nacque ai tempi dell'invasione sovietica dell'Afghanistan, quando gli Stati Uniti e l'Arabia Saudita fornivano (tramite il Servizio Segreto Militare Pakistano) miliardi di dollari in assistenza ai gruppi ribelli che combattevano l'occupazione sovietica. Dietro la genesi dell'organizzazione si trova una teorizzazione religiosa di ispirazione wahhabita, che col tempo ha raccolto elementi di altre correnti religiose islamiche, appoggiandosi di volta in volta al "clero" locale, come i deobandi e i talebani, ma senza una relazione di dipendenza.
La prima definizione giuridica di al-Qāida come di "organizzazione terroristica internazionale" venne data nel maggio 2001 dalla corte federale di New York nell'ambito del processo per gli attentati alle ambasciate statunitensi del 1998 in Kenya e Tanzania. La maggior parte delle descrizioni di al-Qaida venne fornita da Jamal al-Fadl, uno degli agenti commerciali di Osama Bin Laden. Appropriatosi indebitamente di 110.000 dollari di quest'ultimo, a fronte della richiesta di restituzione abbandonò il lavoro e divenne un testimone chiave degli Stati Uniti. La sua testimonianza permise di definire al-Qaida un'organizzazione gerarchica, sulla base del Racketeer Influenced and Corrupt Organizations Act, in maniera non dissimile da quanto avvenuto per la mafia americana, e di condannare quindi in contumacia Osāma bin Lāden in qualità di persona al vertice dell'organizzazione.
Osāma bin Lāden era il 17° dei 57 figli di un immobiliarista yemenita. Utilizzò soldi e macchinari della propria impresa di costruzioni proprio per aiutare la resistenza dei mujaheddin nella guerra sovietica in Afghanistan, dove arrivò quando aveva 23 anni. Sulla consistenza del suo patrimonio personale esistono comunque stime secondo le quali, a causa della tendenza nella cultura saudita a non dividere il patrimonio familiare ma a farlo gestire solo al figlio maggiore, il patrimonio personale di bin Laden sarebbe ammontato solo ad alcuni milioni di dollari.
Secondo l'ex agente della CIA ed esperto di organizzazioni terroristiche Marc Sageman "non c'è nessuna organizzazione capillare. Ci piace pensare esista un'entità fittizia chiamata Al-Qāida, ma non è la realtà con cui dobbiamo confrontarci".
Il giorno 2 maggio 2011 Osama bin Laden venne ucciso ad Abbottabad (Pakistan), durante un attacco di assaltatori Navy SEAL della Marina degli Stati Uniti avvenuto nel suo complesso fortificato. Gli è succeduto il suo braccio destro nonché cofondatore del gruppo Ayman al-Zawahiri.
I suoi atti terroristici si basano su attacchi suicidi e omicidi e fanno ricorso all'uso simultaneo di esplosivi contro differenti obiettivi. Tali attività terroristiche sono sviluppate da uomini che hanno prestato giuramento di fedeltà (in arabo bay'a) a Osama bin Laden o da quanti siano comunque legati ad al-Qaida pur senza aver prestato detto giuramento e che non abbiano necessariamente ricevuto uno specifico addestramento in un campo di al-Qaida in Afghanistan o in Sudan. Il gruppo di al-Qaida predica e organizza da tempo il cosiddetto "jihād islamico", espressione giuridica che va però intesa come attuazione di attacchi terroristici condotti nei confronti di obiettivi occidentali, per porre fine all'influenza dei paesi occidentali sui paesi musulmani e con il fine di creare un nuovo califfato islamico. Esso afferma di credere inoltre che ci sia un complotto ebraico - cristiano volto a distruggere l'Islam.
La sua filosofia di management è stata descritta come "centralizzata nelle decisioni e decentrata nell'esecuzione". Dopo gli attentati dell'11 settembre si pensa che la leadership di al-Qaida sia diventata geograficamente isolata e che essa abbia lasciato a diversi gruppi di dirigenti locali la conduzione delle azioni terroristiche e l'utilizzo da parte loro del nome di al-Qaida. In effetti l'attacco della NATO in Afghanistan del 2002 ha marginalizzato il regime talebano ma anche eliminato una gran parte delle strutture di addestramento del gruppo, che venivano utilizzate anche per addestrare persone di organizzazioni esterne, le quali poi associavano al nome del loro gruppo quello di Al Qaida nelle rivendicazioni degli attacchi. I progetti che davano origine a questi attacchi sono stati spesso finanziati dall'organizzazione, con fondi di organizzazioni islamiche o donazioni di privati, in massima parte provenienti dalla regione del Golfo Persico. Per un periodo precedente alla      fase afghana al-Qaida ha anche gestito strutture addestrative in Sudan, fino a che la pressione internazionale sul regime di quel paese ne ha determinato l'espulsione, sebbene attuata in termini molto morbidi.
I legami tra al-Qaida e le organizzazioni "affiliate" non sono chiari né semplici, e a volte sono stati anche conflittuali, come quando bin Laden cercò di reclutare persone in Algeria, suscitando la reazione del Gruppo Islamico Armato. I campi di addestramento si sono rivelati un investimento a lungo termine in quanto progressivamente molti gruppi sono stati infiltrati da adepti che, con la progressiva eliminazione e sostituzione dei quadri dirigenti, ne hanno spostato gli equilibri interni verso una maggiore contiguità ad al-Qaida. Spesso le finalità generali dell'organizzazione vengono contestualizzate dalle organizzazioni affiliate, come ad esempio per al-Shabaab in Somalia.
Nel tempo, al-Qaida è divenuta così un'etichetta generica utilizzata dai media e in sede politica per indicare una serie di organizzazioni militanti e apparentemente dedite a un ripristino di un "puro" Islam "delle origini" attraverso mezzi violenti e gravi attentati, anche laddove non è affatto provato per via giudiziaria che tali attentati siano stati perpetrati da una medesima organizzazione. In tal modo si fa riferimento ad al-Qaida, in modo non sempre accurato, quale diretta responsabile (in vari casi l'organizzazione ha rivendicato esplicitamente le proprie responsabilità) o indiretta ispiratrice di feroci atti terroristici di marca gihadista e takfirista che, negli ultimi anni, hanno tra gli altri duramente colpito il Kenya, la Somalia, il Libano, lo Yemen, l'Indonesia, l'Egitto, l'Iraq, la Spagna, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti.
In assoluto il più significativo di tutti gli attentati operati da al-Qaida, è stato il dirottamento di quattro aerei di linea, fatti schiantare l'11 settembre 2001 contro le Torri Gemelle del World Trade Center di Manhattan e sul Pentagono presso Washington, con tutto il loro carico umano, compresi i      19 dirottatori. Osāma bin Lāden ha rivendicato la responsabilità di al-Qaida solo nel marzo del 2002, pur lodando gli esecutori dell'attentato già nell'ottobre del 2001. Altrettanto gravi – seppur con un numero di vittime alquanto minore – sono stati gli attentati di Bali del 2002 (per opera del gruppo Jamāa Islāmiyya, affiliato ad al-Qaida),[55] gli attentati ai treni nella stazione di Atocha di Madrid dell'11 marzo 2004 (compiuti da un'altra cellula terroristica ispirata ad al-Qaida) gli attentati nel tube di Londra del 7 luglio 2005 e pochi giorni dopo, il 23 luglio 2005, nell'egiziana località turistica di Sharm el-Sheikh. Altri attacchi sono avvenuti negli ultimi mesi del 2005 in Giordania (Amman) e nuovamente in Indonesia (sempre nelle località turistiche di Bali) e nel 2009 in alcuni alberghi della capitale Giacarta.
Secondo alcuni documenti (sequestrati nel complesso fortificato di Bin Lāden ad Abbottabad nel corso dell'Operazione "Lancia di Nettuno"), Al-Qaida avrebbe architettato nuovi attacchi terroristici per il decimo anniversario degli attentati dell'11 settembre, progettando possibili assalti a petroliere e ai trasporti americani, nonché nuovi attentati a Manhattan, Chicago e Washington, allo scopo di esaltare la centralità della sua rete terroristica. Al-Qaida avrebbe inoltre progettato l'assassinio del presidente Barack Obama e del generale David Petraeus, comandante dell'Esercito degli Stati Uniti ed ex-direttore della CIA.
Al-Qaida avrebbe numerosi campi di addestramento e centri di attività sparsi in diversi paesi del mondo islamico. Secondo il Daily Times è presente anche in Somalia.
Nel 2009 viene fondata la ramificazione di al-Qaida in Yemen, detta Al-Qaida nella Penisola Arabica, la quale il 7 gennaio del 2015 si rende responsabile del commando di due uomini che alla sede del giornale satirico francese Charlie Hebdo di Parigi uccide 12 giornalisti della redazione a colpi di AK-47; la causa dell'irruzione secondo i terroristi sarebbe la pubblicazione nei mesi precedenti di vignette offensive contro il profeta Maometto, considerato un atto blasfemo. Nei giorni immediatamente successivi altri attacchi, questa volta però ad opera dello Stato Islamico, vengono compiuti contro la polizia francese nel centro della capitale e in un supermercato ebraico in periferia che provocano altre 5 vittime, oltre ai 3 terroristi uccisi infine dalla polizia.
Oltre al defunto Osama bin Laden e al nuovo leader Ayman al-Zawahiri, sono numerosi gli uomini chiave di al-Qaida e sono principalmente:
- Sayf al-'Adel, cinquantenne egiziano ex colonnello dell'esercito egiziano e ora capo delle milizie di al-Qaida ricercato per gli attentati alle ambasciate statunitensi del 1998 a Dar es Salaam (Tanzania) e di Nairobi (Kenya), nonché uno dei teorizzatori del movimento;
- Anwar al-Awlaki, yemenita nato nel Nuovo Messico era un imam e predicatore radicale dedito al reclutamento di uomini attraverso internet (ucciso da un drone statunitense nel settembre 2011);
- Fazul Abdullah Mohammed, originario di Moroni (Comore) era il direttore di al-Qaida nell'Africa orientale e l'interfaccia con gli al-Shabaab somali, coinvolto negli attentati alle ambasciate statunitensi del 1998, è stato ucciso in Somalia nel giugno 2011;
- Adam Yahya Gadahn, nato Adam Pearlman si è convertito all'Islam e svolgeva il compito di reclutatore su Internet, ricercato con una taglia da un milione di dollari dagli USA per tradimento e atti terroristici è stato poi ucciso da un drone statunitense nel gennaio 2015;
- Sulayman Abu Ghayth, imam (nel senso di predicatore) del Kuwait e poi portavoce sin dal 2000 di Bin Laden, è stato catturato nel febbraio 2013 in Giordania ed estradato negli Stati Uniti;
- Fahd Muhammad Ahmad al-Quso, yemenita responsabile dell'attentato del 2000 contro la nave USS Cole ad Aden e ucciso nel maggio 2012 da un drone;
- Abd Allah Ahmad Abd Allah, egiziano anche lui coinvolto negli attentati alle ambasciate statunitensi del 1998;
- Abu Anas al-Libi, libico, già rifugiato in Gran Bretagna, anch'egli ricercato per gli attentati del 1998; è stato catturato a Tripoli in un raid delle forze speciali americane il 5 ottobre 2013, per poi morire di cancro al fegato a New York il 2 gennaio 2015;
- Ali Sa'id ibn Ali al-Huri, saudita ricercato per gli attentati del 1996 alle Khobar Towers di Dhahran.
- Qasim al-Raymi, nuovo emiro di al-Qaida nella Penisola Arabica (divenuto tale dopo la confermata eliminazione dell'emiro fondatore Nasir al-Wuhayshi nel giugno 2015 e in precedenza del suo numero due Sa'id al-Shihri nel gennaio 2013)
- Abdelmalek Droukdel e Mokhtar Belmokhtar, emiri rivali in seno ad al-Qa'ida nel Maghreb islamico, col secondo diventato poi capo di al-Murabitun.

La Jamāat al-tawhīd wa al-jihād, ossia "Gruppo Tawhīd e Jihād", è stato un gruppo terroristico gihadista e takfirita attivo in Vicino Oriente, fondato e guidato dal 1999 al 2004 da Abū Musab al-Zarqāwī, che già in passato aveva avuto legami col gruppo di al-Qaida.
Vi fu una iniziale fase preparatoria: al-Zarqāwī si recò in Pakistan ed Afghanistan, tra il 1999 ed il 2000, con il compito di addestrare e organizzare quanti più militanti possibili per al-Qaida. Tra il 2001 e il 2002 tornò in Vicino Oriente, per permettere al gruppo di espandersi ulteriormente, reclutando militanti in Palestina e in Giordania. Il primo a interessarsi delle sue attività fu il governo della Germania del Cancelliere Gerhard Schröder, che iniziò progressivamente a identificare le prime celle terroristiche della Jamāa anche sul suolo tedesco.
Il gruppo continuò a crescere e si spostò lentamente dalla Giordania fino in Iraq, a Falluja, dove nel 2004, ormai abbastanza potente, mostrò la propria ferocia con la decapitazione del cittadino statunitense Nicholas Berg, ucciso ad Abu Ghraib da al-Zarqāwī in persona. Il gruppo riuscì ad attirare l'attenzione dei mass media e del governo statunitense, che decise di porre su al-Zarqāwī un taglia di ben 10 milioni di dollari.
Già in questo periodo l'ambizione di al-Zarqāwī e del suo gruppo era quella di creare un nuovo califfato islamico da proclamare dopo la caduta del regime di Saddam Hussein; attirando l'attenzione di altri gruppi come al-Qaida e Ansār al-Islām. Durante i primi anni della Guerra d'Iraq, gli attacchi della Jamāa contro gli obiettivi statunitensi si intensificarono, sostenuti dai mujaheddin della guerriglia irachena, di cui al-Zarqāwī dirigerà personalmente alcune operazioni. Alla fine del 2004, con Osama bin Laden che si complimentava con al-Zarqāwī per il suo operato, era ormai noto di come i due terroristi fossero entrati in sintonia; e la Jamāa entrò a far parte ufficialmente di al-Qaida, assumendo la denominazione di Tanaīm Qaida al-Jihād fī Bilād al-Rāfidayn (Organizzazione della base del jihād nel Paese dei Due Fiumi). In quel periodo, la taglia posta su al-Zarqāwī, raddoppiò fino a raggiungere la cifra di 25 milioni di dollari.
Il Tanzīm Qaida al-Jihād fī Bilād al-Rāfidayn sopravvisse fino alla morte di al-Zarqāwī nel 2006, per diventare a quel punto Dawlat al-Irāq al-Islāmiyya ("Stato Islamico dell'Iraq"), guidato da Abū Ayyūb al-Masrī fino anche alla morte di quest'ultimo nel 2010. Gli subentrerà allora Abū Bakr al-Baghdādī che metterà fine all'alleanza con al-Qaida, proclamando il 29 giugno 2014 la nascita di un califfato, il cosiddetto Stato Islamico, o Da'esh.

I Fratelli musulmani si collocano ideologicamente all'interno dell'islamismo politico, scaturito dal fondamentalismo islamico. Hanno rinunciato alla lotta armata come mezzo per il conseguimento del potere e il mantenimento dello stesso, partecipando alle elezioni successive alla caduta di Hosni Mubarak e accettando il sistema democratico e la pluralità politica. Si oppongono alla secolarizzazione delle nazioni islamiche, in favore di un'osservanza da essi ritenuta più ligia ai precetti del Corano, e per unire le nazioni islamiche, particolarmente quelle Arabe, e liberarle così dagli imperialismi stranieri. Loro campi d'azione sono i settori della politica tradizionale, dell'insegnamento, della sanità e delle attività sociali in genere, oltre l'organizzazione di incontri di preghiera e di spiritualità.
Il manifesto del movimento, “Pietre miliari”, venne scritto da Sayyid Qutb in carcere dopo il suo arresto nel 1954 e fra i vari passi cita:
« La comunità musulmana deve essere riportata alla sua forma originaria ... oggi è sepolta tra i detriti delle tradizioni artificiali di diverse generazioni ed è schiacciata sotto il peso di quelle false leggi ed usanze che non hanno ... niente a che fare con gli insegnamenti islamici.»
Qutb morì impiccato nel 1966 ed è ritenuto uno dei maggiori ideologi dell'islamismo politico sunnita, che sosteneva la necessità di un ritorno "alla pura fonte del Corano", inquinata dalla barbarie, bollata come jāhiliyya, ribellione alla sovranità di Allah sulla terra. Qutb accomuna marxismo e capitalismo nell'obiettivo della "umiliazione dell'uomo comune" e teorizzò la necessità che "un'avanguardia deve mettersi in marcia attraverso il vasto oceano della Jāhiliyya che cinge il mondo".
Il motto dell'organizzazione è: "Dio è il nostro obiettivo. Il Profeta è il nostro capo. Il Corano è la nostra legge. Il jihād è la nostra via. Morire nella via di Dio è la nostra suprema speranza".
I Fratelli Musulmani costituiscono in Egitto una formazione politica che si richiama al dovere di fedeltà ai valori islamici tradizionali e uno dei temi maggiormente dibattuto al suo interno è quello del jihād, inteso nel senso di "doveroso impegno".
Il loro impegno si esprime talvolta con iniziative di legge parlamentare e in altre occasioni tramite "fatāwā" emesse da alcuni suoi appartenenti e destinate a indicare ai fedeli quale sia il prescritto modo di comportarsi.
Il movimento fu fondato nel marzo del 1928 da al-Hasan al-Bannā, un insegnante egiziano operante a Ismailia, sulle rive del Canale di Suez. La nascita dei Fratelli musulmani si collocava nel quadro di un risveglio culturale e religioso che, nei primi decenni del XX secolo, reagiva all'occidentalizzazione della società islamica. L'intento del fondatore era di promuovere la dignità e il riscatto dei lavoratori arabi egiziani, nella zona del Canale di Suez; di seguire l'etica e la concezione civica proposta dall'Islam; il tutto ottenuto con l'educazione delle persone agli insegnamenti islamici della solidarietà e dell'altruismo nella vita quotidiana.
L'organizzazione crebbe velocemente fino a diventare un soggetto politico dal largo seguito, che sposò la causa delle classi in difficoltà e giocò un ruolo preminente nel movimento nazionalista egiziano. Essa promuoveva inoltre una concezione dell'Islam che coniugasse tradizione e modernità.
La diffusione del movimento si accompagnò con le istanze di islamizzazione delle società, seguendo due vie principali:
- la diffusione dall'alto attraverso la presenza all'interno del potere politico;
- una via neo-tradizionalista con uno sviluppo dal basso a partire da nuclei dalla forte islamizzazione, coagulati solitamente intorno alle moschee.
Degna di nota è la dichiarazione rilasciata pubblicamente nel 1942 da al-Bannā in cui si affermava la condivisione da parte del movimento del programma wafdista, cui esso garantiva tutto il proprio appoggio.
Gamāl Abd al-Nāser, Presidente egiziano, fece sciogliere l'associazione e fece arrestare, torturare e giustiziare un numero imprecisato di militanti (secondo i Fratelli Musulmani alcune decine di migliaia) a causa della loro implacabile ostilità al progetto nasseriano di cambiamento della società egiziana. Una seconda ondata di repressione, dopo un fallito attentato alla vita del raīs egiziano, li colpì verso la metà degli anni sessanta, quando molti dirigenti del movimento, fra cui appunto Sayyid Qutb, furono impiccati.
La sconfitta dell'Egitto nella guerra dei Sei giorni del 1967 provoca una perdita di consenso del regime laico di Nasser, favorendo così la ripresa dei movimenti di ispirazione religiosa. Il movimento - che aveva ufficialmente rinunciato alla violenza politica nel 1949, al termine di un periodo di notevole tensione politica, finita con l'assassinio del Primo ministro Mahmud al-Nuqrashi Pascià per opera di un giovane studente di Veterinaria, membro della Fratellanza - a partire dal 1969, inizia a prendere le distanze dalle posizioni radicali di Sayyid Qutb. Dopo la morte di Nasser nel 1970, il nuovo leader egiziano Anwar al - Sadat sceglie una politica di apertura nei confronti dei movimenti islamisti, anche per contrastare le organizzazioni studentesche di sinistra, senza con questo legalizzare pienamente i Fratelli Musulmani. Questi, anzi, iniziano a perdere consensi tra i militanti più estremisti che si richiamano allo stesso Qutb, e che dal 1979 torneranno con una loro fazione minoritaria estremista sviluppata nelle forze armate, grazie a Shukri Mustafa, a praticare la lotta armata, fino ad assassinare Sādāt nel 1981 nel corso di una parata militare, senza che questo porti peraltro alla caduta del regime.
Solamente con il nuovo leader egiziano Hosnī Mubārak, a partire dal 1984, i Fratelli Musulmani potranno partecipare alle elezioni, per quanto non direttamente ma in alleanza con i partiti laici di opposizione, tornano ad espandersi nella società, in particolare tra i professionisti urbani. Da questo momento il gruppo, presente in Parlamento, si troverà in una posizione intermedia tra il regime, che mantiene un controllo autoritario sulla società, e i gruppi islamisti dediti alla lotta armata, che invece i Fratelli Musulmani rifiutano nella sua veste di jihād, e la cui presenza rappresenta comunque la principale motivazione con cui Mubārak giustifica le periodiche limitazioni alla piena libertà di movimento dei gruppi di opposizione. La loro strategia mirerà dunque a svolgere un ruolo più sociale che politico, concentrandosi nella "chiamata" (dawa) all'Islam dei fedeli che se ne fossero in qualche modo allontanati e nella promozione del ruolo delle donne, dei poveri e dei giovani offrendo assistenza sociale, istruzione e formazione religiosa a persone di ogni ceto e condizione sociale.
Dopo la caduta di Mubārak nel 2011 causata da imponenti proteste popolari (a cui i Fratelli Musulmani partecipano in modo abbastanza defilato), vengono indette nel 2012 nuove elezioni che sanciscono la vittoria di Mohamed Morsi, leader del neocostituito Partito Libertà e Giustizia, che diventa così il nuovo presidente dell'Egitto. La presidenza di Mohamed Morsi viene bruscamente interrotta nel luglio 2013 dal colpo di Stato militare guidato dal gen. Abd al-Fattah al-Sīsī, quale epilogo di proteste popolari e prologo di scontri fra le opposte fazioni egiziane.
Il 17 agosto 2013, al mattino, c'è stata una trattativa tra militari e Fratelli musulmani per far uscire pacificamente la gran parte di chi si era chiuso nella moschea. Dopo qualche ora, circa 1000 irriducibili sono stati fatti sgomberare e catturati dalla polizia.
La procura del Cairo ha accusato 250 membri della Fratellanza Musulmana di omicidio e di terrorismo.
Il premier Hazem al-Beblawi ha proposto al governo lo scioglimento del gruppo, proposta a cui segue l'annuncio dell'arresto del leader dell'organizzazione Muhammad Badī. Lo scioglimento viene ufficializzato nel dicembre 2013.
Abd al-Fattā al-Sīsī, nuovo leader egiziano e autore del colpo di Stato anti-Morsi, ha lanciato fin dal 2013 una spietata campagna repressiva contro l'organizzazione, tramite arresti arbitrari, torture ed esecuzioni di massa (si stima che il regime di al-Sīsī abbia ucciso oltre 2.500 manifestanti e ne abbia imprigionato più di 20mila), al fine di stroncarne ogni forma di dissenso. Nei primi mesi del 2014 circa 1200 sostenitori e dirigenti del movimento, fra cui lo stesso Muhammad Bad, sono stati condannati a morte.

Non vi è accordo sul reale significato della parola Hamas. Hamas è un acronimo della frase in arabo: Harakat al-Muqāwama al-Islāmiyya: "Movimento di Resistenza Islamico", ma in arabo la parola significa anche "entusiasmo, zelo, o spirito combattente". La parola "Hamās" presenta anche un'assonanza con la parola ebraica, non etimologicamente correlata, xa'mas "violenza".
L'ala militare di Hamas, nata nel 1992, è rappresentata dalle Brigate Izz al-Dīn al-Qassām, in memoria del padre della moderna resistenza fondamentalistica arabo-islamica, ucciso dai britannici nel 1935. Altre volte gli armati di Hamas si definiscono Studenti di Ayāsh, Studenti dell'Ingegnere, Unità Yahyà Ayāsh, in onore dell'artefice degli esplosivi che causarono la morte di più di 50 israeliani e che fu ucciso nel 1996.
Hamas, nasce inizialmente presso i campi dall'azione dei profughi palestinesi Fratelli musulmani.
Fino alla guerra dei sei giorni del 1967 Gaza era controllata dall'Egitto e in questo il presidente Gamal Abdel Nasser contrastava fortemente i gruppi estremisti come i Fratelli musulmani. Dopo la guerra Gaza venne controllata da Israele e quindi il gruppo ebbe maggiori libertà di movimento.
Il gruppo fu finanziato direttamente e indirettamente durante gli anni settanta e ottanta da vari Stati, ad esempio Arabia Saudita e Siria. A quel tempo, il braccio politico-caritatevole di Hamās era ufficialmente registrato e riconosciuto in Israele. Lo stesso Menachem Begin, appena eletto Primo ministro per il partito Likud nel 1977, diede l'assenso alla regolare registrazione in Israele della «al-Mujamma al-Islāmī» (Associazione Islamica), movimento collegato ai Fratelli Musulmani e fondato dallo Shaykh Ahmad Yāsīn.
Alcuni esperti pensano che, sebbene Israele non abbia mai sostenuto direttamente Hamas, le avrebbe permesso di esistere perché si opponesse al movimento laico di resistenza palestinese di al-Fath, fondato e guidato da Yasser Arafat. Citiamo per tutti, Tony Cordesman, l'analista per il Medio Oriente del Center for Strategic Studies: Israele «ha aiutato Hamas in modo diretto e indiretto per usarla come antagonista dell'OLP».
Il gruppo si astenne dalla politica durante gli anni settanta e i primi anni ottanta, concentrandosi su problemi etici e sociali, come la corruzione, l'amministrazione degli awqāf (fondazioni pie) e l'organizzazione di progetti comunitari. Verso la metà degli Anni ottanta, tuttavia, il movimento fu sottoposto all'ascesa del bellicoso shaykh cieco Ahmad Yāsīn e iniziarono forti attriti e scontri contro gli altri gruppi palestinesi, principalmente di ispirazione laica. Nel 1984, a seguito di una segnalazione da parte di membri del Fath, l'IDF individuò un deposito di armi del gruppo di Yāsīn. Lo stesso, arrestato e interrogato, affermò che le armi non sarebbero state impiegate contro Israele, ma contro i gruppi palestinesi antagonisti: questo e l'idea che il suo gruppo non costituisse una minaccia contro la nazione ebraica (che allora vedeva l'OLP come suo principale nemico) lo portò ad essere scarcerato dopo un anno.
L'acronimo "Hamas" apparve per la prima volta nel 1987 in un volantino che accusava i servizi segreti israeliani di minare la fibra morale dei giovani palestinesi per poterli reclutare come collaborazionisti. L'uso della forza da parte di Hamas apparve quasi contemporaneamente alla prima Intifāda, iniziando con "azioni punitive contro i collaborazionisti", progredendo verso obiettivi militari israeliani ed infine con azioni terroristiche che prendevano di mira i civili. Così come i suoi metodi sono cambiati dalla sua nascita, è cambiata anche la sua retorica, che adesso afferma che i civili israeliani sono "bersagli militari", in virtù del fatto di vivere in uno Stato altamente militarizzato in cui vige la coscrizione. Nel frattempo sono nate anche alcune correnti all'interno del gruppo.
L'organizzazione si è evoluta attraverso quattro fasi principali:
- 1967-1976: Costituzione dei Fratelli Musulmani nella Striscia di Gaza per far fronte all'"oppressivo" dominio israeliano.
- 1976-1981: Espansione geografica tramite partecipazione o in alcuni casi fondazione di associazioni professionali nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, come al-Mujamma al-islāmī, al-Jamiyya al-islāmiyya e l'Università Islamica di Gaza.
- 1981-1987: Hamas esercita una certa influenza politica attraverso la fondazione di meccanismi di azione e di preparazione alla lotta armata.
- 1987: Fondazione di Hamas come braccio combattente dei Fratelli Musulmani in Palestina, col piano di attuarvi un continuo jihād.
Mentre questo riflette le attività di Hamas nella Striscia di Gaza, i loro colleghi in Cisgiordania ebbero uno sviluppo molto differente, all'inizio con meno enfasi nella creazione o nel controllo di istituzioni pubbliche. Il movimento dei Fratelli Musulmani in Cisgiordania costituì una parte integrante del movimento islamico giordano, che per molti anni è stato allineato con il regime hashemita. Inoltre, i Fratelli Musulmani in Cisgiordania avevano un profilo socio-economico più elevato - commercianti, proprietari terrieri, burocrati e professionisti della borghesia. Entro la metà degli anni ottanta, i Fratelli Musulmani controllavano una significativa parte delle posizioni nelle istituzioni religiose della Cisgiordania.
Il 26 gennaio 2004, uno dei capi di Hamas, Abd al - Aziz al-Rantissi, offrì una tregua (hudna) di 10 anni, con ripresa della guerra passato questo periodo di tempo, in cambio del totale ritiro da parte di Israele dei territori conquistati durante la Guerra dei sei giorni e l'istituzione di uno stato palestinese, offerta ripetuta dopo la vittoria alle elezioni legislative del 2006, accettando l'iniziativa di pace araba del 2002. Il capo di Hamas Ahmad Yasin affermò che il gruppo avrebbe accettato uno Stato palestinese in Cisgiordania e Gaza. Rantissi ammise che "Allo stato attuale delle cose, sarebbe stato difficile liberare tutta la nostra nazione, pertanto accettiamo una liberazione in fasi."
Nel marzo del 2004 un caccia israeliano lanciò un missile contro lo shaykh Yasin, cieco e paraplegico, che usciva dalla moschea di Gaza. Nell'attacco morirono Yasin, il figlio e altre cinque persone.
Venne quindi eletto come capo di Hamas a Gaza il medico pediatra Abdel-Aziz Rantissi (esponente dell'ala più radicale del gruppo), che minaccia Israele, annunciando che i suoi cittadini sarebbero stati colpiti ovunque.
Nell'aprile del 2004 anche Rantissi rimase vittima di una "omicidio mirato", compiuto con un missile lanciato da un aereo israeliano.
Il 25 gennaio 2006, nonostante tutti i sondaggi lasciassero intendere diversamente, Hamas vinse con una larga maggioranza le elezioni legislative. Precedentemente alle elezioni aveva dichiarato una sospensione delle sue azioni, decisione non sempre rispettata dai gruppi di militanti che fanno parte della sua struttura, e seguita nell'aprile del 2006 dalla rinuncia agli attacchi terroristici, ritenuti non più compatibili con la "nuova era in cui era entrata l'organizzazione.
A seguito della vittoria grande preoccupazione è stata manifestata nel mondo occidentale a causa della natura del movimento, da molti ritenuta terroristica. L'Unione europea ha vincolato la prosecuzione del sostegno all'Autorità Nazionale Palestinese a Tre princìpi, definite dalla comunità internazionale:
- Hamas deve rinunciare alla lotta armata;
- Hamas deve riconoscere il diritto di Israele ad esistere;
- Hamas deve appoggiare chiaramente il processo di pace nel Vicino Oriente, come deciso in base agli Accordi di Oslo.
A capo del governo palestinese siede per la prima volta un leader di Hamas, Isma'il Haniyeh.
Attualmente, a seguito di una serie di scontri con l'organizzazione rivale al-Fath, Hamas ha assunto il controllo della Striscia di Gaza, mentre la zona cisgiordana è rimasta sotto il controllo di al-Fath e del Presidente dell'ANP, Mahmud Abbas (Abu Mazen). Quest'ultimo è di fatto divenuto l'interlocutore ufficiale dei paesi occidentali per quello che riguarda il popolo palestinese, pur non essendo il suo governo espressione del risultato delle elezioni del 2006.
Va precisato che quella parte della popolazione palestinese che ha partecipato alle elezioni si trova esclusivamente nei cosiddetti "territori occupati" (Striscia di Gaza e Cisgiordania) della Palestina. La maggioranza dei palestinesi, residente dal 1948 in poi negli svariati campi profughi al di fuori della Palestina, non risiedendo nei territori occupati, non ha diritto di voto né per le elezioni palestinesi, né per quelle degli Stati in cui i palestinesi risiedono, fruendo dello status di rifugiato politico.
Nel 2017 Hamas, annunciando una presa di distanza dai Fratelli Musulmani e senza riconoscere in alcun modo lo Stato israeliano, ha accettato la delimitazione del territorio dello Stato di Palestina entro i confini del 1967.
Hamas promuove diversi programmi che l'organizzazione considera di previdenza sociale e istruzione a favore della popolazione palestinese. Da parte dei suoi oppositori, tali programmi sono considerati invece come parte di una politica parastatale, come esercizi per la propaganda e il reclutamento, o come entrambi. In ogni modo, queste attività sociali di Hamās sono profondamente radicate nella Striscia di Gaza. Includono istituti religiosi, medici e in generale aiuti sociali ai civili meno abbienti. Va specificato che il lavoro che Hamas compie in questi ambiti è attività separata dall'assistenza umanitaria fornita dall'UNRWA (United Nations Relief Works Agency). Nel dicembre del 2001, il fondo caritatevole Holy Land Foundation for Relief and Development è stato accusato di finanziare Hamas.
Hamās può contare su un numero sconosciuto di fedelissimi e su decine di migliaia di simpatizzanti e aiutanti. Riceve soldi da esuli palestinesi, dall'Iran, da benefattori privati in Arabia Saudita e da diversi altri Stati arabi. Raccolte di fondi e campagne di propaganda pro-Hamas esistono anche in Europa, Nord America e Sud America.
Si ritiene che Hamas abbia decine di siti web; una lista aggiornata è consultabile presso l'Internet-Haganah. Il principale sito di Hamas fornisce traduzioni di comunicati ufficiali e propaganda in svariate lingue: persiano, urdu, malese, russo, inglese e naturalmente arabo.
Nella Striscia di Gaza, l'Autorità Nazionale Palestinese sta perdendo potere a beneficio di Hamas, in particolar modo nel campo profughi di Jabāliya, nelle sue vicinanze e a Dayr al-Balāh al centro della Striscia, ad Abasan e nella regione del Dahaniyeh nel sud.
Il governo a Gaza annuncia la campagna di raccolta di fondi volti a raccogliere $ 25 milioni necessari per ripristinare decine di moschee rovinate dai raid israeliani. 45 moschee sono state completamente distrutte durante la guerra, mentre 55 sono state parzialmente danneggiate.
La Carta del Movimento di Resistenza Islamico, ovvero il documento fondatore di Hamas, nel 1988, dichiara che il suo obiettivo è di "sollevare la bandiera di Allah sopra ogni pollice della Palestina", cioè di eliminare lo Stato di Israele e sostituirlo con una Repubblica Islamica. Questo rende Hamās del tutto diversa rispetto ai movimenti cosiddetti integralistici musulmani che propugnano la lotta in tutto il mondo islamico: Hamās limita rigidamente infatti, per statuto, la sua attività di lotta di liberazione alla sola Palestina.
Nello statuto si afferma che la Palestina non potrà essere ceduta, anche per un solo pezzo, poiché essa appartiene all'Islam fino al giorno del giudizio.
« Il Movimento di Resistenza Islamico crede che la terra di Palestina sia un bene inalienabile (waqf), terra islamica affidata alle generazioni dell’islam fino al giorno della resurrezione. Non è accettabile rinunciare ad alcuna parte di essa. Nessuno Stato arabo, né tutti gli Stati arabi nel loro insieme, nessun re o presidente, né tutti i re e presidenti messi insieme, nessuna organizzazione, né tutte le organizzazioni palestinesi o arabe unite hanno il diritto di disporre o di cedere anche un singolo pezzo di essa, perché la Palestina è terra islamica affidata alle generazioni dell’islam sino al giorno del giudizio. Chi, dopo tutto, potrebbe arrogarsi il diritto di agire per conto di tutte le generazioni dell’islam fino al giorno del giudizio? Questa è la regola nella legge islamica (shari'a), e la stessa regola si applica a ogni terra che i musulmani abbiano conquistato con la forza, perché al tempo della conquista i musulmani la hanno consacrata per tutte le generazioni dell’islam fino al giorno del giudizio. (Articolo 11 dello statuto) »
Lo statuto di Hamas incorpora una serie di teorie cospiratorie antisemite.
L'art. 7 della Carta presenta il jihād contro il sionismo come rispondente alle parole, proferite secondo Bukhari e Muslim dallo stesso Maometto, per le quali i musulmani combatteranno ed uccideranno gli ebrei.
« Benché […] molti ostacoli siano stati posti di fronte ai combattenti da coloro che si muovono agli ordini del sionismo così da rendere talora impossibile il perseguimento del jihād, il Movimento di Resistenza Islamico ha sempre cercato di corrispondere alle promesse di Allah, senza chiedersi quanto tempo ci sarebbe voluto. Il Profeta – le benedizioni e la salvezza di Allah siano su di Lui – dichiarò: “L’Ultimo Giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno, e fino a quando gli ebrei si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra o l’albero diranno: 'O musulmano, o servo di Allah, c’è un ebreo nascosto dietro di me – vieni e uccidilo. (Articolo 7) »
In più punti del documento si ricorda come il jihād sia un obbligo religioso per i fedeli musulmani.
L'art. 21 dello Statuto di Hamas scrive che la Massoneria, il Lions Club e il Rotary promuovono gli interessi del sionismo e si dedicano allo spionaggio; ciò grazie ad ingenti ricchezze che, si afferma nel testo, sarebbero state accumulate ed impiegate anche per prendere il controllo della stampa, così come per sostenere le Rivoluzioni francese e russa, il colonialismo degli "stati imperialisti" ed entrambe le guerre mondiali. In particolare la Prima guerra mondiale avrebbe avuto lo scopo di "distruggere il Califfato islamico" mentre la seconda avrebbe permesso di accumulare ulteriori ricchezze e sarebbe stata volta a favorire la costituzione dello Stato nemico. La Società delle Nazioni prima e l'ONU poi sarebbero tasselli di un complotto volto al dominio del mondo da parte delle stesse cerchie.
All'articolo 28 si afferma che le varie organizzazioni citate poco prima come espressione del sionismo, anzi da questo fondate, avrebbero lo scopo di "demolire le società, distruggere i valori, violentare le coscienze, sconfiggere la virtù, e porre nel nulla l'Islam." Esse "sostengono il traffico di droga e di alcol di tutti i tipi per facilitare la loro (dei sionisti, nota del redattore) opera di controllo e di espansione."
L'articolo 30 della carta ribadisce la tesi del complotto volto al dominio sul mondo da parte del sionismo, affermandone "l'infiltrazione" in molti stati, che sarebbe avvenuta grazie al controllo da parte dei sionisti sulla stampa e sulle finanze.
All'articolo 32, infine, lo Statuto di Hamas identifica esplicitamente gli asseriti intenti sionisti di conquista ed espansione sul mondo con la immaginaria cospirazione ebraica descritta nel classico testo antisemita dei Protocolli dei Savi di Sion.
Due anni dopo la pubblicazione dello statuto Hamas corresse in parte l'interpretazione di quanto vi era affermato, precisando che il loro intento era quello di combattere solo il sionismo in quanto movimento di aggressione e occupazione, e non l'ebraismo in quanto credo religioso, anche se nell'uso comune della popolazione palestinese spesso non viene fatta distinzione tra i termini "sionista", "ebreo" e "israeliano".
Secondo il MEMRI, i massimi leader di Hamās sarebbero promotori della negazione dell'Olocausto.
I miliziani di Hamās, specialmente quelli delle Brigate Izz al-Dīn al-Qassām, hanno sferrato numerosi attacchi tra cui alcuni attacchi suicidi di larga scala contro obiettivi civili israeliani. Per citare i più noti: il massacro di Pesach nel marzo del 2002, in cui 30 persone furono uccise a Netanya; il massacro sull'autobus numero 20 di Gerusalemme nel novembre dello stesso anno 2002 (11 morti); il massacro sull'autobus numero 2 di Gerusalemme nell'agosto del 2003 (23 morti); l'attacco alla città di Bersheeba nell'agosto del 2004, (15 morti). L'ultimo attacco fu dell'agosto del 2005 che fece 7 feriti, dopodiché Hamas rispettò la tregua offerta nel 2004 (hudna). Hamās ha anche usato donne-bomba, per esempio una madre di sei figli e una di due minori di 10 anni. Al contrario di al-Fath, a tutt'oggi Hamās non ha usato bambini-bomba.
In tempi recenti, Hamas ha fatto uso di razzi di tipo "Qassām" per attaccare città israeliane nel deserto del Negev, ad esempio Sderot. La nascita dei razzi "Qassām-2" ha dato la possibilità all'organizzazione di attaccare anche grandi città israeliane quali Ashkelon; ciò ha prodotto enorme preoccupazione nella popolazione israeliana e diversi tentativi da parte dell'esercito israeliano di fermare la proliferazione e l'uso di tali razzi, anche se il numero di vittime è stato molto ridotto (circa 20 in una decina di anni).

Fath al-Islam è un gruppo islamista operante fuori dal campo-profughi di Nahr al-Bared, nel settentrione del Libano. Fu costituito nel novembre 2006 da militanti che ruppero col gruppo filo-siriano di Fath-Intifada, a sua volta un gruppo scissionista di al-Fath, e guidato da un militante clandestino palestinese chiamato Shaker al-Absi. Gli appartenenti del gruppo sono stati genericamente descritti dai media come militanti jihadisti, e il gruppo stesso è stato descritto come un movimento terrorista ispiratosi ad al-Qa'ida. Il suo fine ufficiale è quello di portare tutti i campi-profughi palestinesi sotto l'imperio della Shari'a e i suoi obiettivi prioritari sono la lotta contro Israele e gli Stati Uniti d'America. Le autorità libanesi hanno accusato l'organizzazione di essere coinvolta nell'attentato dinamitardo del 13 febbraio 2007 contro due minibus, nel quale hanno trovato la morte tre persone, mentre 20 altre sono rimaste ferite, nella libanese Ain Alaq, con quattro attentatori identificati e rei confessi dell'attentato.
Fath al-Islām è un movimento armato gihadista salafista, basato in Libano, essenzialmente nel campo-profughi di Nahr al-Bared e in Siria, qui comparso nel novembre del 2006. È un gruppo secessionista di Fath-Intifada, che si staccò dal Fath di Yasser Arafat nel 1983. Il suo leader, Shakir al-'Absi, si presume sia morto o che sia stato catturato in Siria.
Un imprecisato numero di membri del movimento salafista palestinese Jund al-Shām (l'Esercito di Siria) si sarebbe integrato con lui.
Il Fath al-Islām afferma che il suo principale obiettivo è la liberazione di Gerusalemme e che ciò non poteva essere realizzato a prescindere dall'Islam.
Attualmente è provato che il movimento comprende Palestinesi, Libanesi, Sauditi, Siriani, Ceceni, Yemeniti, Pakistani, Iracheni e almeno un Algerino e un Bengalese. Il movimento sarebbe stato finanziato con fondi sauditi e, in parte, da fondi statunitensi, al fine di contrastare il partito guerrigliero sciita libanese di Hezbollah.
Secondo alcuni rifugiati palestinesi del Campo-profughi di Nahr al-Bared, presso Tripoli, i fondamentalisti islamici sono arrivati verso la fine dell'estate del 2006 affermando di sostenere il Fath-Intifada. Questo campo sarebbe stato prescelto perché situato in area sunnita e perché non dominato da alcuna fazione palestinese, controllando esse solo qualche quartiere. Per il passato, questo campo era controllato dal FPLP, ma questo movimento s'era indebolito a causa della morte dei suoi capi. Nel giro di qualche mese, quando essi erano ormai diventati abbastanza numerosi, tutti costoro si proclamarono militanti del Fath al-Islām. Sempre secondo i palestinesi, essi avevano parecchi soldi e armi ed erano, prima dei combattimenti del maggio-giugno 2007, circa 700. Il gruppo è internazionale ma la maggioranza sarebbe libanese sunnita di Fnaydek e Sirr al-Dinniyya, nella regione dell'Akkār, a una cinquantina di chilometri a NE di Tripoli.
L'opposizione libanese e di numerosi palestinesi accusa il governo libanese e la Corrente del Futuro di Sa'd Hariri d'aver favorito lo sviluppo di questo gruppo per contrastare le ambizioni di Hezbollah e di averlo finanziato con fondi sauditi, anche grazie alla considerazione che gli Hariri erano assai legati alla famiglia dei Saūd. Il governo libanese avrebbe scatenato i combattimenti per far commettere un passo falso alla Siria e per poterla accusare qualche giorno prima che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si riunisse per ottenere il sostegno dei Paesi e dei media occidentali.
Hezbollah ammonisce l'esercito regolare libanese di non intervenire contro il Fath al-Islām e chiede al Fath e a Hamās di lavorare come negoziatori, affinché i militanti gihadisti depongano le armi e siano portati davanti alla giustizia. Hezbollah respinge la possibilità che l'esercito libanese serva da braccio armato degli USA nella sua lotta contro al-Qa'ida. Il partito teme che il conflitto coi terroristi del Fath al-Islām sia utilizzato per insediare i rifugiati palestinesi nel Libano in maniera definitiva.
Combattimenti hanno avuto luogo nell'estate del 2007 fra le forze libanesi e i membri di questa organizzazione. Al 7 agosto 2007, più di 200 persone erano state uccise, fra cui 134 soldati libanesi e Abu Hurayra, capo aggiunto del Fath al-Islām. Questo bilancio non tiene conto dei fondamentalisti uccisi, i cui cadaveri sono rimasti nel campo-profughi.
Durante la notte del 2 settembre 2007, un numero rilevante di fondamentalisti ancora nel campo-profughi hanno tentato la fuga e fra essi si trovava Shakir al-'Absi, il leader di Fath al-Islam. Poco dopo,      l'esercito libanese ha annunciato la fine dei combattimenti, lo sradicamento del movimento e la morte di Shākir al-Absī, prima che il suo corpo fosse stato identificato nell'ospedale della città di Tripoli.
Il 27 settembre 2008, un attentato suicida a Damasco ha ucciso 17 persone. Le autorità siriane hanno accusato formalmente il Fath al-Islām di essere stato il responsabile di questo atto criminale.

Hezbollah nacque nel 1982 come milizia durante il conflitto del Libano meridionale (1982-2000). I suoi leader si ispirano all'Ayatollah Khomeini, e le sue forze militari sono state addestrate e organizzate da un contingente del Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica. Hezbollah dal 1985 manifesta i suoi tre obiettivi principali: "la fine di ogni potenza imperialista in Libano", "sottoporre le Falangi Libanesi ad una giusta legge e portarli a processo per i loro crimini", e dare al popolo la possibilità di scegliere "con piena libertà il sistema di governo che vogliono".
L'opinione pubblica statunitense e israeliana ha più volte accusato i leader di Hezbollah di aver fatto numerosi appelli alla distruzione di Israele, al quale si riferiscono come "l'entità sionista, costituita sulle terre strappate ai loro proprietari palestinesi", durante la guerra dei sei giorni e vendute dai militari israeliani, quando Yitzhak Rabin era Capo di Stato Maggiore dell'esercito, a coloni israeliani, costituendosi insediamenti israeliani illegalmente venduti, che la Corte penale internazionale ha definito crimine di guerra. L'abusiva occupazione dei territori è rimasta irrisolta, ha portato alla continuazione del conflitto arabo-israeliano, alla guerra civile siriana e alla destabilizzazione in Medio Oriente.
Hezbollah è oggi guidata da Hassan Nasrallah, il suo segretario generale, eletto dopo l'eliminazione da parte israeliana del suo predecessore.
Nelle ultime elezioni legislative libanesi del 2009 il partito fa parte della coalizione filosiriana "8 marzo" insieme con gli sciiti Amal (13 seggi) e i cristiani maroniti del Movimento Patriottico Libero (19 seggi) che perde le elezioni. Il partito ottiene 12 seggi.
Il programma politico ed economico degli esponenti di Hezbollah è un progetto socialmente protezionista e assistenziale, basato sulla tutela dei diritti fondamentali come istruzione, sanità, lavoro, sicurezza sociale.
Nel nuovo manifesto politico del 2009 Hezbollah inquadra la propria azione nel contesto globale caratterizzato dalla "caduta del riprovevole sistema unipolare" egemonizzato dagli USA; si rivendica che la resistenza islamica, superando la sua dimensione libanese, è oggi presa ad esempio in tutto il mondo da quanti desiderano libertà e indipendenza. La minaccia portata dal disegno egemonico degli USA è definita globale, e perciò si afferma che globale dev'essere l'opposizione. Nel manifesto si afferma di lottare per un Libano unito ed indipendente, rifiutando ogni forma di "frammentazione o di federalismo". Israele è indicato come "una minaccia eterna" per il Libano, a causa dell'espansionismo ma anche dell'avversione ideologica: infatti, il Libano sarebbe un "modello di convivenza tra i seguaci delle religioni      monoteiste", mentre Israele uno Stato razzista. Finché persisterà la minaccia israeliana, si afferma, dovrà restare in armi la resistenza. Hezbollah critica il regime politico su base confessionale del Libano, considerandolo un ostacolo alla democrazia. Il confessionalismo politico è accettato momentaneamente come garanzia di convivenza, ma si auspica la sua abolizione per "una vera democrazia". Lo Stato auspicato nel Manifesto dovrà garantire "una rappresentanza parlamentare corretta e giusta", applicare la      legge "senza distinzione di religione, provenienza geografica ed orientamento politico", avere un'autorità giudiziaria indipendente, basare la sua economia su agricoltura e industria, garantire tutela sociale ai cittadini e "consolidare il ruolo delle donne". Il Manifesto auspica uno strenua difesa della causa palestinese e della fraternità araba e musulmana; particolare enfasi è posta sui rapporti con l'Iran. Si auspica anche una cooperazione con l'Europa, purché mostri un atteggiamento più indipendente dagli USA e da Israele.
Hezbollah è anche un importante finanziatore di servizi sociali, scuole, ospedali e servizi agricoli per migliaia di libanesi, e svolge un ruolo significativo nella politica libanese. Alcuni paesi musulmani schierati con gli Stati Uniti come Arabia Saudita, Egitto (durante la dittatura di Hosni Mubarak) e Giordania hanno condannato le azioni di Hezbollah, mentre Siria e Iran sono favorevoli alle azioni dell'organizzazione. L'Unione europea ha inizialmente rifiutato di qualificare Hezbollah come organizzazione terroristica, tuttavia, il Parlamento europeo ha adottato il 10 marzo 2005 una risoluzione, non vincolante, che di fatto accusa Hezbollah di aver condotto “attività terroriste”; il Consiglio d'Europa ha poi accusato Imad Mughiyah di essere membro di Hezbollah e di terrorismo; Stati Uniti, Egitto, Israele, Australia, e Canada la considerano parimenti organizzazione terroristica.
L'emblema a bandiera di Hezbollah è caratterizzato da un drappo giallo al cui centro campeggia parte di un versetto del Corano, Sura V, versetto 56, che recita: "E colui che sceglie per alleati Allah e il Suo Messaggero e i credenti, in verità è il partito di dio, Hezbollah, che avrà la vittoria."
La lettera alif, prima lettera del nome di Dio, è graficamente resa come una mano che stringe un fucile d'assalto stilizzato ed è affiancata da una rappresentazione schematica del globo terrestre.
Affiliato a Hezbollah è il canale televisivo Al-Manar, inaugurato nel 1991 e che dal 2000 trasmette su satellite. Il bacino d'utenza del canale è stimato in 10-15 milioni di utenti, di cui tra 800.000 e 1.200.000 in Libano. Il 40% della programmazione ha carattere politico, il 40% sociale, educativo, religioso o sportivo, il 20% d'intrattenimento (telenovele); l'85% delle trasmissioni sono originali. Il 22% del personale impiegato è femminile. Il direttore di Al-Manar Abdallah Kassir ha rivendicato la "non neutralità" del canale, spiegando che: "Noi abbiamo adottato i problemi della vita sociale libanese e del mondo arabo in generale, primo fra tutti la causa palestinese che gode dell'appoggio della maggioranza del popolo libanese; perciò è normale essere di parte in questo caso".
In Libano Hezbollāh è impegnato come partito politico; i suoi candidati partecipano alle elezioni legislative ed alcuni suoi rappresentanti siedono come ministri nella compagine governativa attualmente (2006) guidata dal primo ministro Fu'ād Siniora. L'ala politica di Hezbollāh è, inoltre, molto attiva in campo sociale, gestendo una serie di attività ed istituzioni che forniscono istruzione, assistenza sanitaria e sostegno economico alle famiglie meno abbienti, oltre ad aver giocato un ruolo chiave nella ricostruzione delle abitazioni e delle infrastrutture del Libano del Sud, a seguito delle gravi distruzioni inflitte al Paese dei Cedri, invaso a più riprese da Israele durante un trentennio.
Hezbollah ha un'ala para-militare, nota come al-Muqāwama al-Islāmiyya ("Resistenza Islamica"), accusata da alcuni politici di essere organizzatrice di un certo numero di organizzazioni militanti meno conosciute, alcune delle quali potrebbero essere semplici facciate per coprire lo stesso Hezbollah. Queste organizzazioni includono l'Organizzazione degli Oppressi, l'Organizzazione della Giustizia Rivoluzionaria, l'Organizzazione per il Giusto contro l'Erroneo e i Seguaci del Profeta Maometto. In quasi tutti i Paesi del mondo, arabi e non arabi, Hezbollāh è visto principalmente come un movimento politico che esercita una legittima resistenza nazionale contro l'occupazione militare israeliana in Libano. Hezbollah, tuttavia, ha continuato ad effettuare sporadici lanci di razzi contro il nord di Israele anche dopo il ritiro delle truppe delle Forze di Difesa Israeliane dal sud del Libano, nel 2000.
I membri di Hezbollah hanno giustificato tali bombardamenti sostenendo che Israele occupa ancora la zona detta delle fattorie di Sheb'a, che apparterrebbe al Libano. Tale attribuzione è controversa, in quanto la zona, limitrofa alle alture del Golan, sarebbe, secondo una risoluzione ONU, rivendicabile dalla Siria, e non dal Libano. Vale la pena di notare che tale risoluzione è stata "pianificata" dal primo ministro libanese Rafik Hariri allo scopo di delegittimare Hezbollah e quindi indebolire la Siria, alleato di Hezbollah. Proprio tale risoluzione è stata probabilmente una delle ragioni per cui Hariri fu in seguito assassinato in un attentato da molti attribuito ai servizi segreti siriani. Inoltre, sugli organi stampa di Hezbollah è stato spesso affermato a chiare lettere che il movimento non smetterà di combattere fino alla distruzione dell'"entità sionista", cioè Israele.
L'ONU ed i principali Paesi dell'Unione Europea, compresi la Francia, l'Italia, la Germania e la Spagna, pur esprimendo riserve e critiche nei confronti di Hezbollāh, non lo considerano una "organizzazione terrorista" e, a più riprese, nell'estate del 2006, ministri ed alti funzionari delle Nazioni Unite, di questi Paesi e dell'Unione Europea hanno riconosciuto Hezbollāh come un interlocutore politicamente legittimo ed un membro della coalizione che sostiene il governo libanese, incontrandone i ministri al pari di quelli affiliati ad altre forze politiche.
Per contro, Hezbollah è stato classificato come organizzazione terrorista dagli Stati Uniti, dai Paesi Bassi, dal Canada, da Israele. Il Regno Unito e l'Australia hanno preso una simile posizione limitatamente al braccio armato del movimento, di fatto considerato distinto da quello politico.
Alcuni governi che sostengono Israele accusano la Siria e l'Iran di sostenere militarmente, logisticamente ed economicamente Hezbollah. Di fatto si tratta in sostanza degli stessi che lo considerano un gruppo terrorista, con la possibile aggiunta della Francia, che ha reputato in tempi recenti che i propri interessi peculiari in Libano, in qualità di ex potenza coloniale, siano minacciati dal movimento sciita.
Il governo statunitense ha varie volte accusato Hezbollāh di diversi attentati, il più grave dei quali avvenuto il 23 ottobre 1983 quando due autobombe esplosero contro una caserma occupata da truppe americane e francesi uccidendo 241 marines statunitensi e 58 paracadutisti francesi. Hezbollah ha sempre negato ogni coinvolgimento nell'operazione che è invece stata rivendicata da altri gruppi sciiti.
Allo stesso modo Hezbollah è sospettato di essere il responsabile del rapimento di numerosi cittadini americani nel Libano (di cui cinque furono assassinati).
Il governo argentino accusa Hezbollah di essere il responsabile di due attentati ad una sinagoga e ad un centro culturale ebraico avvenuti a Buenos Aires nell'85. Il 10 marzo del 2005 il Parlamento Europeo, accogliendo le richieste israeliane sostenute anche dagli Stati Uniti, approvò con una maggioranza schiacciante (473 a favore, 8 contro, 33 astenuti) una risoluzione che accusava Hezbollah di attività terroristiche. La risoluzione afferma che "il Parlamento considera che esista una chiara evidenza di attività terroristiche da parte di Hezbollah. Il Consiglio dell'Unione europea deve intraprendere tutti i passi necessari per impedire le loro azioni". La UE ha anche deciso di impedire la diffusione della televisione satellitare di Hezbollah (al-Manār) da parte dei satelliti europei, in modo da applicare le norme europee contro "l'incitamento all'odio razziale e/o religioso".
Le Nazioni Unite non hanno invece incluso Hezbollah nella loro lista di sospetti gruppi terroristici ma hanno, comunque, chiesto lo smantellamento dell'ala militare di Hezbollah nella Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU n° 1559. Hezbollah ha condannato alcuni atti terroristici, come gli attentati dell'11 settembre 2001, i massacri del GIA in Algeria, gli attacchi compiuti dal gruppo al-Jamā'a al-Islāmiyya contro alcuni turisti in Egitto e l'omicidio di Nick Berg. Hezbollah ha espresso sostegno verso alcuni gruppi della resistenza armata palestinese, come Hamās ed il movimento per la jihad islamica in Palestina.

La mafia nigeriana opera stabilmente anche in Italia. In Sicilia, in Puglia, in Campania, nelle Marche. Gli ultimi fatti: a Palermo 23 arresti, di cui diciassette nigeriani finiti in manette, ha dimostrato come le cosche di Cosa Nostra tenessero in gran conto i nigeriani e offrissero loro di gestire in una sorta di outsourcing criminale diversi affari per la mafia. A Fermo, l'omicidio di Emmanuel Chidi Nnamdi, ha visto ai funerali la partecipazione di esponenti di spicco della criminalità nigeriana. Black Axe, nasce alla fine degli anni ’70 come confraternita religiosa all’interno dell'università di Benin, capitale dello Stato di Edo nel sud della Nigeria. Si evolve come la più potente e strutturata delle mafie, modellando una struttura transnazionale tanto agile quanto feroce. Hanno come simbolo un'ascia nera (da cui prendono il nome) che spezza le catene che stringono i polsi di uno schiavo. E' organizzata in zone, templi e forum sparsi per il mondo. Nei forum si raccolgono gli esponenti della Black Axe sui territori extranazionali.
Dall'impostazione di gruppo universitario mantiene il carattere della cooptazione. Non ci si arruola nella Black Axe. E' la Black Axe che sceglie i suoi membri. E non ci si può opporre. Pena, ricatti e sofferenze come quelle subite e scoperte a Palermo da un giovane africano, violentato con un tubo di ferro, perché non voleva servire la malavita.
I "rami d’azienda" sono tanti. Il traffico di esseri umani, il business dei matrimoni di convenienza, la prostituzione. Questa è gestita con la complicità delle maman che tengono sotto scacco le ragazze con la minaccia del juju ovvero della maledizione vudù.  Lo spaccio internazionale di droga avviene dalla Colombia e da altre aree del Sudamerica, gestito con la spedizione di cocaina tramite gli “avio corrieri”, ossia dei poveri disgraziati a cui vengono fatti ingerire gli ovuli con la droga. Negli anni, sono diventati esperti delle frodi informatiche e delle truffe online, che sono riusciti a trasformare in un affare estremamente redditizio. Black Axe conosce perfettamente l’hackeraggio e tiene le fila di immensi trasferimenti di denaro sporco, che transitano quotidianamente sui canali dell’underground banking.


L'11 settembre è stato il primo atto manifesto di scontro di civiltà tra Oriente e Occidente, migliaia di vite sacrificate hanno costretto gli Stati Uniti ad un definitivo pronunciamento sulle relazioni con il mondo arabo-musulmano, ad esplicitare le ragioni della politica americana pro - Israele, a riflettere sulle diverse sfumature dell'islamismo fondamentalista, a concretizzare il diverso modo di intendere la lotta contro il terrorismo tra le due sponde dell'Atlantico. Da li discendono tutte le nuove battaglie: la guerra in Afghanistan, l'intervento in Iraq, la lotta ad Al-Qaida, la lotta contro l’ISIS, che non vanno più intesi come epicentri regionali di movimenti nazionalisti locali. Si tratta di fasi di una lunga guerra totale al fondamentalismo.
Gli aspetti sono molteplici e passano per una guerra senza confine verso gli islamisti che considerano il Corano come un programma di governo per uno Stato Islamico. L'ondata di neo-fondamentalismo musulmano e la rinascita dell'attivismo jihadista in tutto il mondo sono segnali chiari che purtroppo in Europa vengono sottovalutati da chi spera che le difficoltà incontrate dai partiti islamisti saliti al potere dopo la primavera araba significhi il fallimento dell'Islam politico.
Un’Europa politicamente miope sogna addirittura un’adesione della Turchia all’UE. Ma si rende conto di che posto occupa la Turchia nel mondo contemporaneo? Tra l'Asia e l'Europa, è un ponte ed una testa di ponte. La Turchia è parte dell'Europa? Non diciamo eresie. Cosa sarà l’UE quando 100 milioni di turchi (con un tasso demografico triplo del nostro) ed uno dei migliori eserciti del globo pretenderanno di contare come Germania e Francia messe insieme? Quei quattro tecnocrati incapaci che reggono le nostre sorti (e che hanno fatto aderire i paesi del patto di Visegrad) cosa hanno da dire sul potere dei militari, sull'Islam, sui curdi, su Cipro, sull'immigrazione spaventosa che non sarà più tale ma libera circolazione legittima? La domanda turca rivela tutte le nostre contraddizioni: dove sono i confini dell'Europa, qual è il posto dell'Islam, come gestiremo le minoranze, come dobbiamo riformulare le nostre ambizioni? E quando ci assumeremo in toto, come hanno fatto gli USA, le nostre responsabilità nella lotta globale al terrorismo? Quando sarà cerchiata sul calendario la data dell’11 Settembre europeo?

Il terrorismo islamista è una forma di terrorismo religioso praticato da diversi gruppi di fondamentalisti musulmani per raggiungere vari obiettivi politici in nome della loro religione. L'anelito verso l'instaurazione di un nuovo ordine sociale ancorato ai valori dalla propria fede per fronteggiare le sfide del presente, al pari di un certo qual spirito apocalittico, è un topos ricorrente da tempo immemorabile in numerose religioni.
Tale concezione, parlando di Islam, affonda le proprie radici fin dalle origini di questa religione. Al giorno d'oggi le azioni poste in essere da tali gruppi rappresentano, secondo la loro ideologia, un tentativo di ricreare una società perfetta — ancorché utopistica — in quanto asseritamente modellata secondo i dettami del Corano e, di conseguenza, priva di quelle ingiustizie sociali, politiche ed economiche attribuite dall'ecumene islamica ai regimi secolarizzati (ipocriti e proni al mondo occidentale, definito infedele) i cui governanti sarebbero di fatto asserviti al Cristianesimo e al sionismo e, quindi, pervicacemente ostili all'Islam più "puro".
Non manca, peraltro, chi considera le organizzazioni terroristiche di matrice islamica l'ala estrema di una «religione politica». Nei cosiddetti versetti della spada della Sura IX del Corano, cosiddetta "della conversione", è scritto:
« Quando poi saran trascorsi i mesi sacri, uccidete gli idolatri dovunque li troviate, prendeteli, circondateli, appostateli, ovunque in imboscate. Se poi si convertono e compiono la Preghiera e pagano la Dècima, lasciateli andare, poiché Dio è indulgente, clemente. » (Cor., IX:5)
« Combattete coloro che non credono in Dio e nel Giorno Estremo, e che non ritengono illecito quel che Dio e il Suo Messaggero han dichiarato illecito, e coloro fra quelli cui fu data la Scrittura, che non s'attengono alla Religione della Verità. Combatteteli finché non paghino il tributo, uno per uno, umiliati. » (Cor., IX:29)
I summenzionati passi sono stati oggetto di interpretazioni (fortunatamente non univoche) da parte di studiosi che li utilizzano come giustificazione per l'uccisione su larga scala degli infedeli.
Tra le varie ipotesi formulate per spiegare l'origine del terrorismo islamista moderno figurano la rivoluzione iraniana, il ritiro sovietico dall'Afghanistan e la rivitalizzazione della religione a livello globale post-guerra fredda.
Nel 1979 la rivoluzione islamica in Iran spazzò via lo scià Mohammad Reza Pahlavi, con tutte le forze d'opposizione riunite attorno all'ayatollah Khomeini. Il nuovo governo instaurò la shari'a nel Paese e col tempo iniziò a finanziare anche movimenti politici terroristi.


Il teorico dell'orrore, il siriano Abu Musab al-Suri, ha pubblicato su Internet nel gennaio 2005 le 1600 pagine del suo “Appello alla resistenza islamica mondiale”, una sorta di “Mein Kampf” del totalitarismo islamico, un manuale per abbattere il mondo dei non credenti, cominciando da quello che l’Islam considera il "ventre molle": l'Europa.
Ci troviamo così di fronte alla cosiddetta terza fase del terrorismo islamico. 
La prima, nata nel 1979 in Afghanistan contro i sovietici e morta nella seconda guerra d'Algeria (1992-1999), tracimata in Occidente cogli attacchi del GIA nel 1995.
La seconda, nata nel 1998 cogli attacchi a Nairobi e Dar es Salaam, da una forza organizzata come un servizio segreto stalinista con grandi mezzi finanziari, uso dei media, delle risorse 2.0 di Internet e dei social network, con un funzionamento piramidale, e morta con quella del suo finanziatore Bin Laden il 2 maggio 2011 in Pakistan.
La terza fase del terrorismo, è quella "teorizzata" da Al-Suri, che parla di un sistema e non di un'organizzazione. Si tratta di distruggere l'Occidente dall'interno, gestendo la gioventù immigrata, usando conflitti tra le comunità, con l'obiettivo di provocare "guerre di enclavi". L’Europa crollerà, sotto il peso di uno scontro tra credenti e "kuffars" (miscredenti). Ma l’inizio sarà tutto interno, una sorta di guerra civile tra miscredenti fatta, in un primo tempo, di soli scontri ideologici tra chi vuole favorire l’immigrazione islamica ad oltranza e la sua integrazione e chi la rifiuta. In un secondo tempo si trasformerà in una lotta armata tra bande (di cui già si intravvedono i primi scontri) che segnerà l’inizio dell'implosione del vecchio continente europeo. Sulle sue carni lacerate pascoleranno i credenti vittoriosi.
Ci sono responsabilità politiche oggettive dei governi europei in questa escalation ma pesantissime colpe sono dell'Arabia Saudita e del Wahhabismo. I sauditi, sono generosi, costruiscono moschee che ospitano fondamentalisti, concedono borse di studio a giovani disorientati facendoli studiare in seminari salafiti dello Yemen o in Egitto. Il web consente una propaganda efficace, fatta di siti e social network che supportano i nuovi convertiti. In essi si trovano le ricette giuste per l'istituzione di una contro-società, che distingue tutto ciò che è "hallal" (lecito), da tutto ciò che è "haram" (proibito). Si tratta di un azzeramento cerebrale, una sorta di apartheid culturale che porta al rifiuto della società miscredente. È il ritorno all'età della pietra per le donne, la negazione di tutti i nostri valori. Il salafismo è l'antitesi della libertà, della dignità (specialmente femminile) e del libero arbitrio, perché nega, i valori della democrazia e la Dichiarazione universale dei diritti umani. 
Attraverso riviste come Dabiq, o Dar al-Islam, ISIS offre programmi "ready-to-pray" (tutto su come si fa a pregare nella maniera giusta) e "ready-to-think" (tutto su come si deve pensare nella maniera giusta) che portano a "ready-to-jump" (tutto su come si deve agire nella maniera giusta). Il risultato è una crescita esponenziale di un fanatismo fatto colla lobotomizzazione di giovani menti che sono portate a seguire hadith senza comprenderli.
Ancora una volta l’Europa risponde in maniera insufficiente, contraddittoria, autolesionista, a volte addirittura ridicola. Pensiamo al caso di Hollande che intercettò una parte del voto musulmano al momento delle elezioni presidenziali e legislative del 2012, e perse ogni consenso con l’ “inaudita” proposta politicamente corretta del "matrimonio per tutti", dimenticando l'omofobia radicale dell'Islam. Pensiamo alle inefficienze del nostro sistema carcerario, il miglior centro di reclutamento e radicalizzazione per giovani sbandati e microcriminali. Pensiamo ai limiti dei servizi di intelligence, che perseguono il colpo grosso mediatico dell’arresto di qualche vecchio leader di Al-Qaida in pensione, senza comprendere il potere dirompente del "cyber jihad" e delle nuove reti islamiche mimetizzate nell’Islam moderato.
Ma soprattutto pensiamo allo scontro politico-sociale feroce, tutto interno, tra i cittadini che la presenza degli immigrati crea. Sta lì il pericolo più grande.
La prima grande vittoria dell’Islamizzazione in Europa (ed in Italia) è di essere riuscita a creare uno scontro feroce tra Europei (e tra Italiani) che sono pro o contro la presenza e l’integrazione degli immigrati.
I primi scontri armati sono già in atto.

IL TERRORISMO ISLAMICO CONTEMPORANEO


Le origini del terrorismo moderno affondano le proprie radici nella guerra russo-afghana, vale a dire l’invasione dell'Armata Rossa sovietica dell'Afghanistan (durata circa 10 anni 1979-1989) che vide contrapposte da un lato le forze armate della Repubblica Democratica dell'Afghanistan (RDA), sostenute dall'Unione Sovietica, e dall'altro i guerriglieri afghani noti come mujaheddin, appoggiati finanziariamente da un gran numero di nazioni estere quali gli Stati Uniti, il Pakistan, l'Iran, l'Arabia Saudita, la Cina e il Regno Unito.
Dopo il disimpegno sovietico gli scontri tra mujaheddin e truppe governative proseguirono nell'ambito della guerra civile afghana, fino alla caduta del governo della RDA nell'aprile del 1992.
In questo ambito si inserisce la predicazione di Abd Allāh Yūsuf al-Azzām un attivista palestinese, pensatore "fondamentalista", che, trasferitosi in Arabia Saudita e poi in Pakistan, aveva istituito un'organizzazione denominata Maktab al-Khidamat (MAK), finalizzata alla gestione dell'afflusso di volontari e fondi in loco per il sostegno ai mujāhidīn.
Egli teorizzava una lotta come obbligo morale per tutti i musulmani, come il dovere più importante di ognuno:
« Questo dovere non si concluderà con la vittoria in Afghanistan; il jihad resterà un obbligo personale finché ogni altra terra appartenuta ai musulmani non ci sarà restituita così che l'Islam torni a regnare; davanti a noi si aprono la Palestina, Bukhara, il Libano, il Ciad, l'Eritrea, la Somalia, le Filippine, la Birmania, lo Yemen del Sud, Tashkent e l'Andalusia.»
Nei testi viene ripetutamente citato il martirio come mezzo per ottenere le ricompense nell'altra vita quali «l'assoluzione da tutti i peccati, settantadue bellissime vergini, e il permesso di portare con sé settanta membri della propria famiglia».
La sua predicazione influenzò due personaggi destinati ad essere figure chiave degli sviluppi futuri: il saudita Osama Bin Laden e l'egiziano Ayman Muhammad Rabī al-Zawāhirī.
Sugli obiettivi da perseguire emersero comunque contrasti tra al-Zawhāhirī e al-Azzām, che portarono quest'ultimo a essere dapprima fatto bersaglio di un attentato fallito e poi ucciso da tre mine.
Osāma Bin Lāden, terrorista saudita, fondamentalista islamico sunnita, grazie alla potenza finanziaria della sua famiglia fornì consistenti aiuti ai mujaheddin
guadagnandosi anche la popolarità fra molti arabi, divenendo nel 1988 il fondatore e leader di al-Qāida, un’organizzazione terroristica internazionale di stampo jihadista. Esiliato dall'Arabia Saudita nel 1992, spostò la sua base in Sudan, finché la pressione statunitense lo costrinse ad allontanarsene nel 1996. Stabilì una nuova base in Afghanistan e dichiarò guerra contro gli Stati Uniti, dando inizio a una serie di attentati e attacchi imponenti come gli attentati dell'11 settembre 2001 contro gli Stati Uniti d'America e numerosi altri attacchi con "vittime di massa" contro obiettivi civili e militari. Rimasto in latitanza durante tre amministrazioni presidenziali statunitensi, la notte del 1º maggio 2011 Bin Laden venne ucciso in un conflitto a fuoco all'interno di un complesso residenziale ad Abbottabad, in Pakistan, da componenti del DEVGRU degli Stati Uniti e da agenti CIA nel corso di un'operazione segreta ordinata dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama.
L'egiziano Ayman Muhammad Rabī al-Zawāhirī dal 16 giugno 2011 diventa ufficialmente il capo del gruppo terrorista islamico al-Qāida in seguito alla morte di Osama bin Laden, dopo essersi impegnato, in un video pubblicato l'8 giugno 2011, a continuare il suo operato. Appartenente ad una      famosa famiglia egiziana che vanta magistrati, letterati e medici, Ayman al-Zawàhiri è, oltre che medico egli stesso, scrittore e poeta. È stato "luogotenente" di Osāma bin Lāden e suo medico personale.
Una radicale trasformazione del terrorismo islamico si è avuta con l'emergere di nuovi Stati con grandi disponibilità finanziarie come l'Arabia Saudita e gli emirati del Golfo Persico, caratterizzati anche da forme di governo che si influenzano reciprocamente con gli ambienti "clericali" islamici e con le dottrine legate a correnti di pensiero integraliste come il wahhabismo. Questi Stati hanno finanziato attraverso donazioni a istituzioni “caritatevoli”, i gruppi legati al terrorismo. Una consistente parte dei soldi destinati ad opere assistenziali è stata usata per finanziare direttamente spedizioni di armi camuffate da spedizioni di beni di prima necessità e per gestire istituzioni di accoglienza e selezione tra i candidati, destinandoli a corsi di uso degli esplosivi e gestione degli ostaggi.
Ciò detto restano aperte alcune questioni cruciali:
- l'Islam perdona o giustifica il terrorismo?
- gli attentati vanno compresi nel terrorismo islamista o sono da considerare atti di terrorismo attuati da musulmani?
- vi è appoggio nel mondo musulmano per il terrorismo islamista?

C'ERA UNA VOLTA LO STATO ISLAMICO 
In seguito all'invasione americana dell'Iraq, lo jihadista salafita giordano Abu Mus'ab al-Zarqawi e il suo gruppo di militanti dell'Organizzazione del Tawhīd e del Jihād, fondata nel 1999, raggiunsero la notorietà già nelle prime fasi della guerriglia irachena, non solo attaccando le forze della coalizione, ma anche con attacchi suicidi contro obiettivi civili e decapitazioni di ostaggi. Il gruppo di al-Zarqāwī, crescendo in forze, attrasse nuovi combattenti e nell'ottobre del 2004 si alleò ufficialmente con la rete di al-Qaida di Osama bin Laden, cambiando il proprio nome in Organizzazione della base del jihād in Mesopotamia anche conosciuta come al-Qaida in Iraq (AQI).
Gli attacchi contro i civili, il governo iracheno e le forze di sicurezza aumentarono nei successivi due anni. In una lettera ad al-Zarqawi del luglio 2005 Ayman al-Zawahiri delineò un piano in quattro fasi per espandere la guerra in Iraq: espellere le forze statunitensi dall'Iraq, stabilire un'autorità islamica (un emirato), espandere il conflitto ai vicini laici dell'Iraq e ingaggiare un conflitto arabo-israeliano. Nel gennaio del 2006 AQI unì vari gruppi ribelli iracheni più piccoli in un'organizzazione chiamata "Mujāhidīn del Consiglio della Shura".
Questo fu soprattutto un atto propagandistico e un tentativo di dare al gruppo un sapore più iracheno e forse di allontanare al-Qāida da al-Zarqāwī, colpevole di aver commesso alcuni errori tattici, come gli attentati terroristici di Amman nel 2005, nel quale vennero colpiti tre alberghi. La rottura definitiva fra i due gruppi avverrà però solo nel 2013. Il 7 giugno del 2006 al-Zarqawi venne ucciso in un bombardamento statunitense e gli succedette come capo dell'AQI il militante egiziano Abu Ayyub al-Masri.
Il 12 ottobre 2006 il gruppo "Mujāhidīn del Consiglio della Shūra" si unì ad altre quattro fazioni ribelli, che rappresentavano varie tribù arabe irachene, stringendo la loro alleanza con un giuramento che richiamava, storicamente e simbolicamente, il Hilf al-mutayyabīn ("Patto dei profumati") stilato all'epoca di Maometto, stretto a Hijaz nel VII secolo. Durante la cerimonia, i partecipanti giurarono di liberare l'Iraq sunnita dalla Shi'a e dall'oppressione straniera, di promuovere il nome di Allah e di riportare l'Islam alla sua gloria passata. Durante questa cerimonia i partecipanti dichiararono: « Noi crediamo ciecamente in Dio [...] noi ci batteremo per liberare i prigionieri dalle manette per porre fine all'oppressione alla quale i sunniti sono stati sottoposti dai malvagi sciiti e dalle crociate occupanti, di assistere gli oppressi e ripristinare i loro diritti anche a costo della nostre stesse vite [...] per far diventare la parola di Dio suprema nel mondo e ripristinare la gloria dell'Islam.»
Il 12 ottobre 2006 venne annunciata la fondazione dello Stato islamico dell'Iraq (Dawlat al-Irāq al-Islāmiyya), o ISI comprendente i sei governatorati più sunniti dell'Iraq, e Abū Omar al-Baghdādī si autoproclamò comandante, ma di fatto era solamente un prestanome, dato che il potere era detenuto dall'egiziano Abū Ayyūb al-MaSrī, a cui venne dato il titolo di ministro della guerra all'interno del governo dell'ISI, che era composto da dieci elementi. La dichiarazione incontrò la critica ostile degli altri      gruppi rivali dell'ISI in Iraq e dei principali ideologi al di fuori dal Paese.
Secondo uno studio dei servizi segreti statunitensi all'inizio del 2007, lo Stato Islamico aveva pianificato di sottrarre potere nell'area centrale e occidentale del paese e trasformarle in un califfato. Negli ultimi mesi del 2007 gli attacchi violenti e indiscriminati dell'ISI contro civili iracheni avevano gravemente danneggiato l'immagine del gruppo e causato una perdita di sostegno da parte della popolazione, causandone un maggior isolamento. Molti ex guerriglieri sunniti che precedentemente avevano lavorato con lo Stato Islamico cominciarono a lavorare con le forze americane.
Le truppe statunitensi fornirono nuovo personale per le operazioni contro lo Stato Islamico, e ciò permise di catturare o uccidere molti membri di alto livello del gruppo. al-Qāida sembrava aver perso il suo punto d'appoggio in Iraq e appariva seriamente menomata. Durante il 2008 una serie di offensive statunitensi e irachene riuscì a scacciare i ribelli pro-Stato Islamico dai loro rifugi sicuri (come i governatorati di Diyāla e al-Anbar e l'assediata capitale Baghdad) verso l'area della città di Mosul, nel nord del Paese, l'ultimo dei grossi campi di battaglia della guerra irachena. Nel 2008 l'ISI si descrive in stato di "straordinaria crisi", ascrivibile a vari fattori, in particolare ai Figli dell'Iraq, una coalizione tribale irachena inizialmente sostenuta dagli Stati Uniti.
Nel 2009 il futuro comandante dell'ISIS, Abu Bakr al-Baghdadi, venne rilasciato dal campo di detenzione americano di Camp Bucca in seguito al parere di una commissione che ne raccomandava il "rilascio incondizionato". Secondo la testimonianza di alcuni ex-internati, il campo era un vero e proprio centro di indottrinamento e addestramento per terroristi, con classi dedicate all'apprendimento delle tecniche per costruire autobombe o perpetrare attacchi suicidi. Sul finire dello stesso anno il comandante delle forze statunitensi in Iraq, il generale Ray Odierno, ha dichiarato che l'ISI “si è trasformato significativamente negli ultimi due anni. Quello che una volta era dominato da individui stranieri è ora diventato sempre più dominato da cittadini iracheni”. Il 18 aprile 2010 i due principali capi di ISI, Abū Ayyūb al-MaSrī e Abū Omar al-Baghdādī, vennero uccisi in un'incursione irachena e statunitense vicino a Tikrit. In una conferenza stampa del giugno del 2010 il generale Odierno ha riportato che l'80% dei 42 principali capi dell'ISI, inclusi reclutatori e finanziatori, sono stati uccisi o catturati, solo otto erano ancora a piede libero. Ha poi detto che erano stati tagliati fuori dal comando pachistano di al-Qāida, e che i servizi segreti hanno potuto portare a termine con successo la missione che ha portato all'uccisione di al-MaSrī e al-Baghdadi in aprile; in più, il numero di vari attacchi e vittime nei primi cinque mesi di conflitti in Iraq, è stato il più basso dal 2003.
Il 16 maggio 2012 Abū Bakr al-Baghdadi fu nominato nuovo comandante dello Stato Islamico dell'Iraq. al-Baghdadi ricostituì l'alto comando del gruppo, decimato dagli attacchi, affidando incarichi a ex militari e ufficiali dei servizi segreti del partito Ba'th che avevano servito sotto il regime di Saddam Hussein. Questi uomini, molti dei quali già prigionieri delle forze americane, arrivarono a costituire un terzo dei venticinque più alti gerarchi di al-Baghdādī. Uno di loro era l'ex colonnello Samīr al-Khalifāwī, anche conosciuto come Hajji Bakr, che ebbe l'incarico di supervisionare le operazioni del gruppo.
Nel luglio del 2012 Abū Bakr al-Baghdādī pubblicò in linea una dichiarazione audio nella quale annunciava che il gruppo stava ritornando verso le roccaforti dalle quali gli statunitensi e i Figli dell'Iraq li avevano scacciati prima del ritiro delle truppe americane. Ha dichiarato inoltre l'inizio di una nuova offensiva in Iraq chiamata "Abbattere i muri" con l'obiettivo di liberare i membri del gruppo rinchiusi nelle prigioni irachene. La violenza in Iraq cominciò a crescere quello stesso mese e nel luglio 2013 i decessi mensili avevano superato i 1.000 per la prima volta dall'aprile 2008. La campagna "Abbattere i muri" culminò nel luglio del 2013 con il gruppo che effettuava incursioni simultanee a Taji e nella prigione di Abū Ghurayb, liberando più di 500 prigionieri, molti dei quali veterani della guerriglia irachena.
Nel marzo del 2011 cominciarono delle proteste contro il governo siriano di Baššār al-Assad. Nei mesi seguenti la violenza tra i dimostranti e le forze di sicurezza portò alla graduale militarizzazione del conflitto. Nell'agosto del 2011 Abu Bakr al-Baghdadi cominciò a inviare in Siria membri iracheni e siriani dell'ISI con esperienza nella guerriglia per formare un'organizzazione all'interno del Paese. Guidato da un siriano chiamato Abū Muhammad al-Jawlānī, il gruppo cominciò a reclutare combattenti e a costituire celle terroristiche in tutto il Paese. Il 23 gennaio 2012 il gruppo annunciò la sua formazione come Jabhat al-Nusra li-Ahl al-Shām, più conosciuto come Fronte al-Nusra. Al-Nusra crebbe rapidamente diventando una forza combattente sostenuta dall'opposizione siriana.
Nell'aprile del 2013 al-Baghdadi pubblicò una dichiarazione audio nella quale annunciò che il Fronte al-Nusra, finanziato e sostenuto dallo Stato Islamico dell'Iraq, non era che un'estensione in Siria dell'ISI, e che i due gruppi si stavano fondendo insieme col nome "Stato Islamico dell'Iraq e Al-Sham". Al-Jawani pubblicò una dichiarazione in cui negò la fusione dei due gruppi lamentandosi che né lui né nessun altro all'interno del comando di al-Nusra era stato consultato in proposito.
Nel giugno del 2013 Al Jazeera disse di aver ottenuto una lettera del capo di al-Qāida Ayman al-Zawahiri, indirizzata a entrambi i comandanti, nella quale questi si espresse contro la fusione e incaricò un emissario di supervisionare le relazioni tra i due gruppi per porre fine alle tensioni.
Lo stesso mese al-Baghdadi pubblicò un altro messaggio audio rifiutando la decisione di al-Zawahiri e dichiarando che la fusione stava proseguendo. Nel mese di ottobre al-Zawahiri ordinò lo scioglimento di ISIS, dando al Fronte al-Nusra il compito di portare avanti il jihād in Siria, ma al-Baghdadi contestò la decisione sulla base della giurisprudenza islamica e il gruppo continuò a operare in Siria. Nel febbraio del 2014, dopo otto mesi di lotta per il potere, al-Qāida rinnegò qualsiasi relazione con ISIS. L'azione di disconoscimento viene ribadita nuovamente a febbraio 2014 con un comunicato di al-Qāida diffuso via web. Al-Qāida ha giudicato troppo estremi i propositi del movimento.
Secondo la giornalista Sarah Birke ci sono "significative differenze" tra il fronte al-Nusra e l'ISIS. Mentre al-Nusra agisce attivamente per rovesciare il governo di Assad, l'ISIS "tende a essere più focalizzata a istituire un proprio governo nei territori conquistati". L'ISIS è "molto più spietata" nel creare uno Stato islamico "portando avanti attacchi settari e imponendo immediatamente la shari'a". Al-Nusra ha "un numeroso contingente di combattenti stranieri" ed è visto da molti siriani come gruppo sviluppatosi localmente; di contro i combattenti dell'ISIS sono stati descritti come "invasori stranieri" da molti rifugiati siriani.
L'ISIS conta una grossa presenza nella Siria centrale e settentrionale, dove ha imposto la shari'a in alcune città. Il gruppo probabilmente controlla le città di confine di Atmeh, al-Bab, Azaz e Jarablus, e di conseguenza ciò che entra ed esce tra Siria e Turchia. I combattenti stranieri in Siria comprendono alcuni terroristi russofoni che erano parte del Jaysh al-Muhājirīn wa l-Anṣār (JMA). Nel novembre del 2013 Abu Omar al-Shishani, il leader ceceno del JMA, giurò fedeltà ad al-Baghdadi e il gruppo si divise poi tra chi seguì al-Shishani unendosi all'ISIS e quelli che continuarono a operare indipendentemente nella JMA guidati da un nuovo comandante.
Nel maggio del 2014 Ayman al-Zawahiri ordinò al Fronte al-Nusra di sospendere gli attacchi all'ISIS. Nel giugno del 2014, dopo continui combattimenti tra i due gruppi, il distaccamento di al-Nusra nella città siriana di Al–Bukamal, lungo l'Eufrate al confine con l'Iraq, promise alleanza con l'ISIS.
La sera del 29 giugno 2014 l'ISIS ha proclamato la restaurazione del califfato islamico, con Abū Bakr al-Baghdādī come califfo. Nella prima notte di ramadan, lo Shaykh Abu Muhammad al-Adnani al-Shami, portavoce del neonato Stato Islamico, ha dichiarato che il Consiglio della Shūra del gruppo ha deciso di fondare formalmente il califfato, descrivendolo come "un sogno che vive nelle profondità di ogni credente musulmano" e che i musulmani di tutto il mondo dovrebbero giurare la loro fedeltà al nuovo califfo. La fondazione del califfato è stata criticata e ridicolizzata da studiosi musulmani e altri islamisti dentro e fuori i territori occupati, ma molti ribelli erano già stati assimilati dal gruppo. Nell'agosto del 2014 un alto comandante dello Stato Islamico ha dichiarato che “nella Siria orientale non c'è più nessun Esercito siriano libero. Tutti i membri dell'Esercito siriano libero si sono uniti allo Stato Islamico. Secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani lo Stato islamico ha reclutato più di 6.300 combattenti solo nel mese di luglio 2014, molti di loro provenienti dall'Esercito siriano libero.
Una settimana prima di cambiare il suo nome in "Stato Islamico", l'ISIS ha preso Trabil, attraversando così per la prima volta il confine giordano-iracheno. L'ISIS ha ricevuto un certo sostegno in Giordania, parzialmente dovuto alla repressione attuata dallo Stato, ma ha intrapreso una campagna di reclutamento in Arabia Saudita, dove le tribù nel nord hanno rapporti con quelle dell'Iraq occidentale e della Siria orientale. Raghad Hussein, la figlia del dittatore Saddam, che ora vive in Giordania, ha pubblicamente espresso il suo sostegno all'avanzata di ISIS in Iraq, riflettendo l'alleanza di convenienza dei ba'thisti con ISIS e il suo obiettivo di riconquistare il potere a Baghdad.
Nel giugno del 2014 la Giordania e l'Arabia Saudita hanno dislocato le loro truppe ai confini con l'Iraq dopo che l'Iraq stesso ne ha perso, o abbandonato, il controllo dei punti di attraversamento strategici che erano caduti in mano all'ISIS, compiendo alcuni eccidi come il massacro di Camp Speicher dove trovarono la morte circa 160 reclute dell'aeronautica militare irachena. Alcune speculazioni dicono che al-Maliki ha ordinato un ritiro delle truppe dal confine con l'Arabia Saudita in modo da "aumentare la pressione sull'Arabia Saudita e portare la minaccia dell'ISIS a sfondare anche quel confine".
Nel luglio del 2014 Abubakar Shekau, leader di Boko Haram, ha dichiarato il suo sostegno al nuovo califfato e al califfo Ibrahim; nel settembre 2014 ha lanciato un'offensiva nell'Adamawa e nel Borno, due stati della Nigeria nord–orientale, seguendo l'esempio dello Stato Islamico. Il 25 dello stesso mese viene distrutta a Mosul la moschea di Giona che, poiché frequentata anche dai cristiani, viene considerata dallo Stato Islamico "meta di apostasia". Lo Stato Islamico ha inoltre imposto ai cristiani di Mosul di abbandonare la città e di lasciare i propri beni o, in alternativa, di pagare la tassa di protezione, altrimenti sarebbero stati uccisi.
L'8 agosto 2014 il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha autorizzato i primi bombardamenti mirati contro lo Stato Islamico nel nord dell'Iraq e il lancio di aiuti umanitari alle popolazioni in fuga dalle zone da esso occupate.
I primi attacchi sono stati effettuati con dei caccia F-18 e dei droni Predator. Le incursioni americane hanno permesso a ventimila dei quarantamila Yazidi (una minoranza finita nel mirino dello Stato Islamico, che nei giorni precedenti ne aveva uccisi almeno 500 durante l'avanzata nel nord dell'Iraq, seppellendo vive parte delle vittime, inclusi donne e bambini, e rapendo quasi trecento donne per trasformarle in schiave), di fuggire dai Monti del Sinjar, dove erano intrappolati sotto la minaccia dei jihadisti. Inoltre grazie all'appoggio aereo i Curdi hanno riconquistato Guwair e Makhmur, due cittadine in posizione strategica, e l'esercito iracheno ha lanciato due controffensive una nel distretto di al-Bakri e una nel distretto di Muqdadiyya. Il 10 agosto i terroristi hanno assediato 50.000 yazidi rifugiatisi sul monte Sinjar, uccidendone almeno 500 e seppellendoli in fosse comuni. Per aiutare gli yazidi in trappola, gli Stati Uniti hanno inviato una missione militare composta da 100 uomini tra Corpo dei marines e forze speciali con il compito di organizzare una via di fuga per i civili minacciati. Il 15 agosto 2014 il consiglio europeo ha approvato la fornitura di armi ai Curdi per aiutarli a contenere l'avanzata dello Stato Islamico.
Nei giorni successivi le truppe dell'ISIS si sono rese responsabili di un nuovo massacro nel villaggio yazidi di Kocho, in cui hanno ucciso oltre 80 uomini e hanno rapito più di 100 donne, dopo che gli abitanti si erano rifiutati di convertirsi all'Islam. Altri eccidi commessi dallo Stato Islamico nei confronti degli yazidi nella prima metà di agosto si sono svolti nei villaggi di Quiniyeh (70-90 morti), Hardan (60 morti), Ramadi Jabal (60-70 morti), Dhola (50 morti), Khana Sor (100 morti), Hardan (250-300 morti), al-Shimal (decine di vittime), Khocho (400 morti e 1.000 donne rapite) e Jadala (14 morti); altri 200 yazidi sono stati uccisi per aver rifiutato la conversione nella prigione di Tal Afar, mentre centinaia (tra cui almeno 200 bambini) sono deceduti di stenti durante la fuga o sono stati uccisi da bombardamenti di mortaio lungo le strade. Stime dell'ONU parlano di circa 5.000 yazidi (soprattutto uomini) uccisi e altri 5.000-7.000 (soprattutto donne e bambini) catturati e sovente venduti come schiavi.
Oltre agli yazidi e ai cristiani assiri, lo Stato Islamico ha perseguitato anche la minoranza sciita dei turcomanni, 700 dei quali sono stati massacrati tra l'11 e il 12 luglio nel villaggio di Beshir. Altri dei più sanguinosi eccidi perpetrati dallo Stato Islamico hanno avuto luogo il 10 giugno a Mosul (dove 670 detenuti sciiti del carcere di Badush sono stati fucilati), tra il 12 e il 15 giugno a Camp Speicher (tra i 1.095 e i 1.700 soldati iracheni sono stati fucilati dopo avere abbandonato la base e migliaia di altri sono scomparsi), il 16 luglio a Shaer (200 soldati siriani fucilati dopo la presa di un giacimento di gas) e il 24 agosto a Tabqa (250 soldati siriani sono stati fucilati dopo la presa della base aerea di Tabqa).
Lo Stato islamico ha operato massacri anche in Siria, dove nelle prime due settimane di agosto ha ucciso oltre 700 membri della tribù sunnita degli Chaitat, che si era ribellata alla sua autorità nell'est del Paese. Il 17 agosto 2014 le forze peshmerga curde annunciano di aver ripreso il controllo della diga di Mosul, un importante sito strategico, con l'aiuto dei bombardamenti aerei americani, e di aver riconquistato le cittadine di Tel Skuf, Ashrafia e Batnaya. La notizia viene smentita dallo Stato Islamico che la rigetta come "mera propaganda di guerra". Anche secondo altre fonti la diga di Mosul sarebbe ancora nelle mani dello Stato Islamico. Il 19 agosto 2014 l'esercito iracheno lancia un'offensiva per riconquistare la città di Tikrit.
Il 16 settembre l'ISIS tenta l'offensiva verso la città curda di Kobanê, sul confine turco. Ne comincerà un assedio di mesi, tra avanzate del califfato e riconquiste da parte delle milizie curde, che provoca migliaia di vittime. Il 26 gennaio 2015 prevale la resistenza dei Curdi, che allontanano dalla città i combattenti dello Stato Islamico, il quale riesce comunque a prendere il controllo di altri centri curdi limitrofi sul confine siriano-turco.
Tra gennaio e febbraio del 2015 l'avanzata del califfato arriva fino in Libia, stato ancora instabile dalla caduta di Mu'ammar Gheddafi, conquistando territorio (infiltrandosi anche nella capitale Tripoli e riuscendo a conquistare parzialmente Sirte e Derna), compiendo attentati e fronteggiando altri gruppi armati già presenti nel paese. Inoltre prende in parte il controllo del traffico dell'immigrazione sul Mediterraneo verso le coste europee, fenomeno che viene ulteriormente alimentato dalla situazione in Siria che porterà centinaia di migliaia di persone a emigrare in Europa attraverso i Balcani o proprio tramite la Libia, assumendo proporzioni senza precedenti.
Contemporaneamente l'ISIS continua ad avanzare e a conquistare terreno in Iraq e Siria distruggendo edifici storici e religiosi, fissando la sua caratteristica bandiera nera, sostituendola anche sopra alcune Chiese cristiane al posto delle croci e facendo video di propaganda in cui i suoi affiliati mostrano tutta la loro furia distruttrice accanendosi su beni culturali dall'immenso valore storico considerati una forma di idolatria. Nella primavera 2015 il califfato arriva nell'antica città siriana di Palmira, dove distrugge diversi antichissimi monumenti, templi e beni storici patrimonio dell'umanità. Nel mese di agosto viene giustiziato l'archeologo siriano Khaled al-Asaad, "colpevole" di aver collaborato all'evacuazione di preziosi reperti di Palmira.
Nel marzo 2015 lo Stato Islamico si allea con Boko Haram, movimento integralista jihadista dalle caratteristiche molto simili a quelle dell'Isis che opera in Nigeria e che è accusato di numerose stragi.
La comunità internazionale intanto ha formato una coalizione a guida americana contro l'avanzata dello Stato Islamico, atta a bombardamenti mirati contro le postazioni jihadiste in Siria e Iraq. Nel novembre 2015 assumono un ruolo da protagonista in Siria la Francia e la Russia, seppur con attriti tra i russi e gli Stati occidentali, soprattutto sulla delicata situazione siriana e sul ruolo del regime di Damasco.
Nello Stato Islamico vi sono decine di migliaia di combattenti, parte di questi arrivati da numerosi Paesi esteri, reclutati dalla propaganda del califfato che fa soprattutto della rete il suo punto forte, facendo sposare le ideologie della "jihad offensiva" a persone che partono per le zone controllate dall'ISIS per addestrarsi e unirsi alla "guerra santa contro gli infedeli" e per compiere poi attentati nei loro Paesi d'origine. Questi combattenti sono detti foreign fighters e il fenomeno è in continua espansione anche nei Paesi europei e negli Stati Uniti, da cui partono in numerosi.
 


perché immunizzare la rivolta jihadisti con indolori spiegazioni socio antropologiche?

C’è un disperato bisogno di rinchiudere la rivolta jihadisti francese negli steccati indolori delle spiegazioni socio antropologiche. Lo si fa per non allarmare.
Successe già in Italia quando iniziò la lotta armata degli anni di piombo. Si negò disperatamente che le origini fossero il comunismo, il sindacalismo, l’antifascismo, la lotta di classe, la dittatura del proletariato, il radicalismo cattolico. La si fece passare per una rivolta generazionale e nichilista fatta dai figli di borghesi irretiti dai cattivi maestri della rivolta, che contestavano violentemente i miti ed i valori dei loro padri. Si costruì un mondo parallelo di eversione nera e di servizi deviati. Tanto per celare meglio il succo della faccenda. Si parlò di rivoluzionari della beat generation e di opposti estremismi.
Non è che così le loro pallottole facessero meno male di quelle dei veri rivoluzionari o la loro spietatezza fosse ammorbidita dal sacro furore utopico ed idealista di chi cerca in purezza la società perfetta. Si faceva finta di non capire con chi realmente ce l’avessero.
Risuccede oggi nella Francia in guerra! Sì, in guerra, ma contro chi o cosa? 
Lo Stato islamico non manda in Francia attentatori per convincere il governo di Parigi a interrompere i bombardamenti, gli basta attingere a un grande bacino di giovani francesi radicalizzati, che accettano il nomadismo jihadista e la morte in battaglia, prima che la disillusione non svuoti i loro ranghi, come è accaduto all’estrema sinistra degli anni settanta.
Ma perché è scoppiata la rivolta jihadista?
Oggi due letture dominano la scena.
Ancora una volta si tenta la risposta colpevolizzante. Tutto dipende dalle sofferenze postcoloniali, dall'identificazione dei giovani con la causa palestinese, dalla società francese razzista e islamofoba, per concludere che finché non risolveremo il conflitto israelo-palestinese la rivolta andrà avanti. 
Ma il colonialismo è morto 70 anni fa. 
E le occasioni di pacificazione israelo-palestinese si sono sempre risolte con l’assassinio dei politici che la volevano realmente. 
Ma meno che mai i giovani radicalizzati partono per aiutare i palestinesi contro gli israeliani.
Di diverso spessore, ed assai più convincente, è chi richiama la guerra di civiltà: la rivolta dei ragazzi musulmani dimostra che l’islam non può integrarsi, almeno fino a quando una riforma teologica non cancellerà dal Corano l’invito al jihad.
Cioè mai.
Quindi la chiave della rivolta è la mancata trasmissione di una religione culturalmente integrata. Poiché essa semplicemente non lo è, integrabile.
I terroristi sono quindi l’espressione di una radicalizzazione di una parte della popolazione musulmana, che contesta un’identità che è stata compromessa dai genitori e si convincono di essere loro i veri musulmani e rifiutando ogni compromesso di un islam annacquato perché sia ben accetto agli occidentali così come rimproverano ai loro padri.
Non serve a niente offrirgli un islam moderato (ammesso che esista), perché è precisamente il radicalismo ad attirarli, il salafismo predicato coi soldi dell’Arabia Saudita.
I giovani convertiti, per definizione, aderiscono alla religione “pura”. Il compromesso culturale non gli interessa (a differenza delle vecchie generazioni che si convertivano al sufismo) e si uniscono alla seconda generazione degli immigrati nell'adesione a un “islam di rottura”, una rottura generazionale, culturale e politica.
Così come le Brigate Rosse si definivano i nuovi partigiani, lasciando intendere che i loro padri avevano tradito gli antichi ideali antifascisti, così i convertiti, scelgono l’islam perché sul mercato della rivolta radicale solo esso dà la certezza di poter seminare il terrore.
Si radicalizzano in luoghi simbolici, dal Tabligh (società di predicazione musulmana fondamentalista) dove insegnano i cattivi maestri, alla moschea, dove gli imam sono del tipo fai da te e spesso autoproclamati.
Proprio come una volta succedeva all’Università o nella fabbrica occupata. Dove si giocava a studiare “Il Capitale” al posto di Scienza delle Costruzioni, o a fare i sindacalisti rivoluzionari dell'eskimo, urlando che la lotta di classe non è un bagno di salute ma di sangue.
Per loro non vale più la taqiyya (dissimulazione) dei loro padri perché una volta “rinati” non si nascondono ma esibiscono la loro esaltazione, che deriva dalla volontà di uccidere e dalla fascinazione per la propria morte.
Proprio come successe da noi, dove i vecchi comunisti si fingevano democratici di facciata ed aspettavano la rivoluzione, l’ora X in cui le armi nascoste sarebbero state riconsegnate, per prendere una volta per tutte il potere con la forza, mentre i loro figli cominciarono ad uccidere a viso scoperto perché non ci potesse essere ripensamento alcuno sulle scelte fatte.
C’è solo da chiedersi: questi jihadisti sono veramente così emarginati anche dalle comunità musulmane?
Quanti jihadisti sono stati denunciati dalla comunità musulmana “prima” che facessero attentati?
Sono considerati, musulmani che sbagliano, ma pur sempre fratelli musulmani?
Così come successe da noi un tempo: i vecchi comunisti considerarono a lungo i terroristi compagni che sbagliano, ma pur sempre… compagni. Se li avessero denunciati subito, migliaia di morti si sarebbero evitati.



Euroislam è un neologismo che indica l’emergenza di un Islam in Europa, in relazione con i fenomeni migratori e coll'adozione delle nuove generazioni di musulmani nati in Europa. Non si tratta dell'islam “liberale” espresso da figure di spicco. Movimenti islamisti o fondamentalisti sono attualmente presenti in Europa (a seconda dei casi da circa venti anni) anche se una loro significativa visibilità è piuttosto recente in concomitanza di una crescente fase espansiva di reislamizzazione e di neoislamizzazione.
Due visioni diverse che emanano da pensatori musulmani europei dominano il dibattito attorno al termine "Islam europeo". Esso è stato introdotto nel 1992 dal politologo tedesco di origine siriana Bassam Tibi e successivamente adottato dallo scrittore Tariq Ramadan nel 1999. Mentre Tibi sostiene la tesi dell'europeizzazione dell'islam Ramadan propone una nuova controcultura musulmana in Europa.
Negli ultimi anni, la ricerca sulle comunità musulmane in Europa si è spostato dallo studio delle questioni di lavoro e di politiche sociali alle questioni di 'religione', 'identità' e 'cultura'. In particolare, si è registrato un crescente interesse per la possibile nascita di uno specifico 'Islam europeo'. Euroislam riflette un concetto relativo all'integrazione dei musulmani in quanto cittadini europei, assumendo spesso      un'interpretazione liberale e progressista basata sull'idea di europeizzazione dell'Islam.
Lo stesso Bassam Tibi si dissocia dagli islamisti (sostenitori dell'islam politico), che rifiutano questa sua visione e parla della necessità di musulmani a diventare "cittadini europei di cuore". Tibi sostiene che l'islam europeo significa l'accettazione della Separazione tra Stato e Chiesa, nonché una piena adozione dei valori europei. Solo così si ha una via di uscita dell'etnicizzazione della questione delle migrazioni musulmane in Europa e un'alternativa democratica alla cosiddetta "etnicità della paura".
Tariq Ramadan nel suo libro "Essere un musulmano europeo" (1999) chiama alla creazione di una nuova identità europeo – islamica, in conformazione sia con la cultura europea sia con l'etica musulmana e afferma che i musulmani dovrebbero dissociarsi dall'Arabia Saudita e dal terrorismo. Pensa inoltre che i musulmani europei "devono separare i principi islamici dalle loro culture d'origine e ancorarle nella realtà culturale dell'Europa occidentale". Inoltre, Ramadan dice che "gli europei devono anche cominciare a considerare l'Islam come una religione europea."
La sociologa Maria Luisa Maniscalco nel suo libro "Islam Europeo. Sociologia di un incontro" considera che in un processo di “europeizzazione” dei musulmani e di “islamizzazione” dell'Europa le direzioni del cambiamento sono diversificate. Mentre diritto di famiglia, condizione della donna, libertà religiosa, giustizia sociale e norme penali rappresentano ancora zone di alta controversia all'interno dell'islam, in Europa e altrove, come nel confronto con le società europee, tentativi di islamizzare la modernità compiuti sul territorio europeo e in dialogo con l'Europa esprimono creatività e capacità di innovazione. Secondo Maniscalco quando diversi segmenti del mondo musulmano europeo si proporranno e agiranno come “minoranze attive”, in grado cioè di assumere la leadership e imprimere un nuovo slancio in direzione di un incontro dinamico e positivo non sarà di poco conto per il futuro dell'Europa.
Xavier Bougarel, ricercatore presso il CNRS nell'ambito degli Studi turchi, ottomani, balcanici e centroasiatici, ritiene che i musulmani balcanici potranno giocare un ruolo importante nell'evoluzione dell'Islam in Europa e verso lo sviluppo di un Islam europeo. In modo particolare con il possibile allargamento dell'Unione europea verso i Balcani, circa trentotto milioni di musulmani potrebbero diventare cittadini dell'Unione europea, quadruplicando il numero di musulmani dell'attuale blocco dei 27. Bougarel esplora l'islam balcanico che è spesso denominato “islam europeo” perché portato da popolazioni autoctone e largamente secolarizzate in opposizione con “un islam non europeo” che incarnerebbero non solo i paesi a maggioranza musulmana ma anche le popolazioni musulmane di recente presenza nell'Europa occidentale.

Il jihadista della porta accanto
Dopo Trebes in Francia, gli arresti di Foggia, Torino e Latina, lo smantellamento della rete di Anis Amri, dopo il crollo dello Stato Islamico in Siria e in Iraq, l’ideologia del Califfato rimane viva nei suoi seguaci, specie in quelli presenti in Europa.
L’Isis oggi opera nel Sinai e in Egitto, contro l’esercito del generale Al Sisi e gli israeliani che affiancano le forze del Cairo; combatte in Libia, costringendo l’aviazione americana ad intervenire contro le loro basi. Opera in Nigeria con i Boko Haram, in Somalia e Kenya. In Afganistan è in aperta concorrenza con i talebani, presente nella guerra tra India e Pakistan, nel Caucaso e in Asia centrale, nelle provincie meridionali della Thailandia e nel Sud filippino, nell’arcipelago indonesiano, la realtà musulmana più popolosa del pianeta, nel dramma dei Rohingya, cacciati dal Myanmar in Bangladesh.
Cosa potrà restare del messaggio di Al Baghdadi, anche dopo la caduta di Raqqa?
E che dire dell’offensiva di Erdogan nel Kurdistan siriano realizzata utilizzando, sotto il marchio di comodo del Syrian Free Army, milizie filo-turche che annoverano anche i jihadisti riciclati da Ankara in funzione anti-curda?
E da noi?
Il monitoraggio della moschea Al Dawa, luogo di culto nei pressi della stazione che la Digos di Bari aveva iniziato a tenere sotto controllo, ha messo in luce che due importanti jihadisti ne erano assidui frequentatori. Qui l’egiziano Abdel Rahman Mohy teneva regolarmente “lezioni” per piccoli gruppi di bambini: sessioni di indottrinamento per odiare gli infedeli, lodare il martirio ed far fare il giuramento di fedeltà al Califfo a bambini di quattro anni. Quante Al Dawa, quante madrasse abusive ci sono in Italia e in Europa?
Le nuove generazioni sono l’obiettivo della propaganda jihadista. I “cuccioli del Califfato” sono indottrinati, addestrati, schierati nei ranghi armati, portano a termine operazioni suicide, partecipano a esecuzioni capitali. Alcuni video arabo “Mio padre mi ha raccontato”, della divisione mediatica della Wilaya di Raqqah si mostra un nucleo che si esercita con armi da fuoco e giustizia i nemici curdi. Questo video era il materiale didattico dell’imam di Foggia.
Il jihadista della porta accanto non è un lupo solitario, ma cammina con le nuove generazioni... di disperati.
Eppure non si attuano le necessarie azioni nei confronti degli estremisti, quali:
1.     Chiusura delle moschee dove si predica l’odio con espulsione degli Imam, dove questi siano stranieri, o loro interdizione se francesi;
2.     Interdizione di propaganda alle organizzazioni che predicano contro i diritti costituzionali, soprattutto quelli riguardanti l’uguaglianza fra uomo e donna;
3.     Interdizione della propaganda delle organizzazioni che predicano contro i diritti costituzionali, sia che avvenga per video, scritto o per segni espliciti.

 Perchè?


1 LA SCUOLA INUTILE


In queste 130 pagine sono raccolti e sistematizzati circa 80 post pubblicati sul blog LA VERITÀ PER FAVORE
(https://civicnessitalia.blogspot.com/)
sui temi della disoccupazione, della GIG Economy e della scuola. Oggi la disoccupazione giovanile è un tema cruciale della società e dell'economia. Fa da contraltare a ciò una nuova economia dei "lavoretti" provvisori a cui i giovani sono costretti e la cui dimensione, in continua crescita, ha finito per creare una sorta di economia parallela, legata in particolare al web, la cosiddetta GIG Economy. Ma quali sono le cause di tutto ciò? Una in particolare viene esaminata più a fondo: la crescente inadeguatezza del sistema formativo. Un mondo a sé stante, elefantiaco ed autoreferenziale, costosissimo e dannoso, praticamente irriformabile, che continua ad insegnare saperi obsoleti secondo una logica prenovecentesca che non permette la comprensione della realtà che ci circonda e che non fornisce conoscenze ed abilità utili per essere inseriti nel mondo del lavoro. Questa è la scuola inutile. Come può cambiare? Viene presentata la traccia di un radicale riforma, contenutistica e metodologica, in cui imparare e lavorare non sono più visti come termini in contrasto ed in successione, ma come due facce contemporanee della stessa medaglia.

2 NUOVI MODELLI DI SCUOLA

 
Nuovi modelli di scuola prosegue idealmente il discorso iniziato con La scuola inutile. Come allora si tratta della raccolta sistematizzata dei contenuti pubblicati in una serie di post sul blog LA VERITÀ PER FAVORE
(https://civicnessitalia.blogspot.com/). Il metodo, già sperimentato con successo, è quello di invertire i criteri di progettazione delle nuove didattiche. Oggi ogni riforma della scuola, parte dalla rielaborazione, con qualche aggiustamento più o meno consistente, dell'impianto formativo esistente.Viceversa, considerando questo sistema irriformabile, la partenza avviene dall'analisi della realtà extracolastica (il futuro è adesso) e degli enormi progressi dell'informatica e della robotica (amico robot). Su ciò vanno calibrate le nuove esigenze formative, le metodologie didattiche, i contenuti, le abilità, il reclutamento dei docenti, un continuo scambio tra scuola e lavoro. Quella a cui assistiamo è una nuova offerta formativa, temporalmente circoscritta e flessibile, modellata a fine percorso sulle opportunità occupazionali immediate dei soggetti.

3 I LIMITI DEL GLOBALE

 

I limiti del globale affronta le problematiche sorte a causa della globalizzazione, fenomeno di lungo corso, ma che negli ultimi 20 anni ha avuto un’accelerazione assai significativa, generando a cascata fenomeni socio-economici difficilmente controllabili. Raccoglie in maniera  sistematica i post pubblicati sul blog  LA VERITÀ PER FAVORE (https://civicnessitalia.blogspot.com/). Partendo dai diversi ambiti in cui essa si articola (la globalizzazione) esso ripercorre i vani sforzi degli organismi internazionali per porre rimedio alle disfunzioni più gravi (l’impotenza dell’ONU) fino all'ingovernabilità della situazione europea attuale (la crisi europea dei migranti) ed alle contraddizioni comunitarie (uscire dall'UE).

4 IL SISTEMA ITALIA

  

Il sistema Italia affronta le problematiche italiane degli ultimi 20 anni e la difficoltà delle soluzioni. Raccoglie in maniera sistematica i post pubblicati sul blog  LA VERITÀ PER FAVORE 
(https://civicnessitalia.blogspot.com/).
Partendo dai diversi ambiti sociali delle aree geografiche che compongono la nostra penisola (il sistema Italia), esso si addentra nell'analisi del poco soddisfacente status economico (un’economia drogata), tocca l’inadeguatezza della nostra classe dirigente a risolvere i problemi (una classe poco dirigente) e la forza di interdizione verso ogni semplificazione di gestione operata dai funzionari dell’Amministrazione Pubblica (burodittatura). Individua infine la strada di una possibile soluzione nello sforzo di ammodernamento digitale che è in atto (agenda digitale).

 5 CARO MARIO TI SCRIVO

  

Caro Mario ti scrivo affronta le criticità italiane più recenti indicando tracce di soluzioni. Raccoglie in maniera sistematica i post pubblicati sul blog  LA VERITÀ PER FAVORE
(https://civicnessitalia.blogspot.com/).
Immagina di inviare una serie di lettere a chi ha responsabilità di governo cercando di dare una lettura non banale della realtà italiana (criticità), proponendo soluzioni precise ed articolate (proposte) e mettendole in relazione con le riforme messe in cantiere ma non ancora completate (promesse).
 
6 SOSTIENE NAT RUSSO

 

Sostiene Natrusso affronta sotto forma di metafora il luogocomunismo imperante spacciato sotto la categoria etica del politicamente corretto. Raccoglie in maniera sistematica i post pubblicati sul blog  LA VERITÀ PER FAVORE
(https://civicnessitalia.blogspot.com/).
Sono toccati temi sociali (vi parlo di politica), ecologici (bufala verde non avrai il mio scalpo), transfrontalieri (import export) ed economici (pochi maledetti e subito). Ne esce uno spaccato anticonformista, vivace ed immediato della vis polemica che l’autore quotidianamente riversa nei suoi seguitissimi social.

7 NON MI ROMPERE I TABÙ

  

Non mi rompere i tabù raccoglie in maniera sistematica i post grafici pubblicati sul blog LA VERITÀ PER FAVORE
(https://civicnessitalia.blogspot.com/).
Attraverso l’uso di più tipi di grafica umoristica e paradossale (fumetto, solarizzazione, riproduzione caricaturale, ecc.) sono toccati temi artistici (aste televisive), sociali (dandy & milf), politici (non prendeteci per il Colao), giochi linguistici e nonsense (paradoxa). Ne esce uno spaccato anticonformista, vivace ed immediato della vis polemica che l’autore quotidianamente riversa nei suoi seguitissimi social.

8 CIVICNESS ITALIA

Il seguente volume raccoglie in maniera sistematica post apparsi su blog, interventi in conferenze pubbliche, seminari di studio, repliche ad articoli pubblicati su quotidiani, settimanali, mensili, ecc. In ognuno di essi si può notare come, ad ogni spunto polemico, segua sempre una pars construens in cui si illustra una proposta di riforma o almeno una traccia di soluzione di un problema. A differenza di quanto avvenuto in passato, in cui venivano sviluppate tematiche autoconcluse (La scuola inutile, Nuovi modelli di scuola, I limiti del globale, Il sistema Italia, Caro Mario ti scrivo, Sostiene Nat Russo, Non mi rompere i tabù) in questo caso tutti i differenti elementi convergono verso un unico target dinamico: la creazione di un soggetto politico plurale portatore di una volontà di cambiamento forte basata sulla CivicnessLa Civicness, ossia il senso civico, pare essere la materia più rara (ma più necessaria) oggi in Italia. Prevale un diffuso senso di disimpegno, di menefreghismo, di “basto a me stesso”, di “se posso arraffo”, di “alla faccia degli altri”, di “io sono più furbo e ti frego”, di “dacci dentro con l’assalto alla diligenza”, di “ogni lasciata è persa”, di “ma che il fesso sono solo io?”. L’algoritmo sociale proposto per CIVICNESS va certamente limato ed approfondito, ma allo stato attuale, come ogni progetto open source che si rispetti, esso viene dato in affido alla comunità scientifica perché lo faccia proprio, lo implementi, lo migliori, ne verifichi i punti deboli e le carenze, ne segnali le sempre possibili contraddizioni. Si tratta comunque di un atto fondativo. Civicness Italia nasce oggi. Nat Russo Italia, Liguria, Savona, 1 Gennaio 2022

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