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La sinificazione dell’economia russa (e le sue conseguenze)
La penetrazione della Cina nell’economia russa continua. Nei primi sei mesi di quest’anno l’interscambio commerciale tra Mosca e Pechino è cresciuto del quaranta per cento rispetto all’anno precedente, con un aumento delle esportazioni russe in Cina del diciannove per cento e un aumento delle esportazioni cinesi in Russia del settantotto per cento. Il volume dell’interscambio russo-cinese dei primi sei mesi del 2023 è stato un terzo di quello sino-statunitense, ovvero 114,55 miliardi di dollari rispetto a 327,26 miliardi. La Federazione Russa è ora, per la prima volta, il quinto partner commerciale della Cina dopo l’Australia, la Corea del Sud, il Giappone e gli Stati Uniti. Ora l’economia russa è costretta a guardare a oriente, dove trova partner e controparti che – a parte alcune eccezioni come Iran e Corea del Nord – hanno pieno accesso all’economia globale e ai paesi occidentali. Per la Cina l’economia iper-sanzionata della Russia rappresenta un mercato di centoquarantatré milioni di consumatori dove non incontra praticamente nessuna concorrenza, sia a causa dell’esodo delle aziende occidentali che per le difficoltà delle imprese russe nel sostituire le importazioni con altri fornitori. Alcune multinazionali cinesi con un alto profilo internazionale come Huawei e le società coinvolte nel commercio di componenti dual use (per uso civile o militare) hanno limitato l’esposizione in Russia, e si muovono con cautela per evitare di essere colpite da sanzioni secondarie. Ma la maggior parte delle aziende cinesi che erano già presenti sul mercato russo stanno continuando le loro attività, estendendole. È il caso degli smartphone, dove dominano il settanta per cento del mercato con marchi come Xiaomi, Realme, Tecno; ed è il caso dei frigoriferi, delle lavatrici e degli altri elettrodomestici di largo consumo. Ciò risulta particolarmente evidente nel settore automotive, che abbracciando una filiera con un’economia di scala che va dal veicolo ai pezzi di ricambio ha ramificazioni strutturali. Da gennaio a maggio le aziende cinesi hanno venduto duecentottantasettemila tra auto e veicoli commerciali in Russia, più che in qualsiasi altro paese del mondo. La produzione di auto russe, l’anno scorso è crollata del sessantasette per cento. Mosca offre a Pechino gas naturale, petrolio e altre materie prime, ma i cinesi hanno una politica di diversificazione delle forniture. La Cina importa circa il quarantacinque per cento del gas che consuma, nel 2021 si riforniva da 27 paesi, in prevalenza da Australia, Stati Uniti e Qatar, e la quota di gas russo era solo il dieci per cento del totale importato. Nei prossimi anni Pechino aumenterà le importazioni di gas russo, ma non prima del 2030 quando sarà ultimato l’imponente gasdotto Power of Siberia 2. Allo stesso tempo, la Cina sta firmando contratti a lungo termine per le forniture di gas naturale liquefatto dal Qatar e costruendo una nuova linea del gasdotto che la collega al Turkmenistan, sempre nell’ottica cinese di mantenere una diversificazione equilibrata delle forniture. Va meglio con il petrolio, che a differenza del gas può essere dirottato più rapidamente su altri mercati permettendo a Cina e India di diventare già nel 2022 di gran lunga i maggiori acquirenti del greggio degli Urali, molto appetibile poiché venduto con grossi sconti rispetto al prezzo del Brent (Mare del nord). L’anno scorso il principale fornitore di petrolio della Cina è stata l’Arabia Saudita (17,8 per cento del totale importato), seguita dalla Russia (sedici per cento), dall’Iraq (dieci per cento), dagli Emirati Arabi Uniti (8,8 per cento) e dall’Oman (otto per cento). La sinificazione dell’economia russa è la yuanizzazione del sistema finanziario russo, dal momento che ora il settanta per cento dell’interscambio russo-cinese è regolato in yuan e rubli, non più in euro e dollari. Di conseguenza, la dipendenza della Russia dallo yuan sta crescendo su tutta la linea. Questa rapida yuanizzazione comporta rischi a lungo termine. Questo legame così asimmetrico rende Mosca sempre più dipendente da Pechino. Il governo cinese potrebbe chiedere al Cremlino di condividere tecnologie militari sensibili, accettare la sua presenza navale nell’Artico russo, dare il via libera a installazioni militari cinesi nei paesi dell’Asia centrale. La Russia è sempre più dipendente dalla Cina come unico partner globale in mezzo a un crescente isolamento diplomatico. Una condizione di vassallaggio che con il tempo diventerà talmente strutturale che sarà difficile tornare indietro.
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