Ecco alcune delle principali carenze del sistema produttivo italiano:
Bassa produttività: L'Italia ha una bassa produttività del lavoro rispetto ad altri paesi sviluppati. Questo può essere attribuito a diversi fattori, tra cui la mancanza di investimenti in innovazione e ricerca e sviluppo, la presenza di una struttura produttiva dominata da imprese di piccole e medie dimensioni con limitate risorse finanziarie e la mancanza di una cultura dell'efficienza e dell'innovazione nelle imprese.
Settori tradizionali e mancanza di diversificazione: L'economia italiana è ancora fortemente basata su settori tradizionali come l'industria manifatturiera, il turismo e l'agricoltura. La mancanza di una diversificazione settoriale può rendere l'economia italiana vulnerabile a cambiamenti globali e rallentare l'adozione di tecnologie innovative in settori emergenti.
Problemi strutturali nel mercato del lavoro: Il mercato del lavoro italiano presenta diversi problemi strutturali, tra cui una alta percentuale di lavoro precario, rigidità normative che possono scoraggiare le assunzioni, una mancanza di flessibilità nei contratti di lavoro e una discrepanza tra le competenze richieste dalle imprese e quelle offerte dai lavoratori.
Bassa propensione all'innovazione e alla ricerca e sviluppo: L'Italia investe relativamente poco in ricerca e sviluppo rispetto ad altri paesi sviluppati. La mancanza di investimenti e incentivi adeguati può limitare la capacità delle imprese italiane di innovare e adottare tecnologie avanzate, riducendo così la competitività a livello internazionale.
Infrastrutture inadeguate: Le infrastrutture italiane, come le strade, le ferrovie e i porti, spesso presentano problemi di sottoutilizzo, manutenzione carente e insufficiente connettività tra diverse regioni. Questo può ostacolare il trasporto delle merci, l'accessibilità delle aree rurali e la competitività delle imprese.
Complessità normativa e burocratica: L'Italia è spesso citata per la complessità normativa e burocratica che può ostacolare l'attività imprenditoriale e rallentare i processi decisionali. Questa complessità può comportare costi aggiuntivi per le imprese e limitare la loro capacità di adattarsi rapidamente alle nuove sfide e opportunità.
Accesso al finanziamento: Le imprese italiane, in particolare le piccole e medie imprese, possono incontrare difficoltà nell'ottenere finanziamenti per investimenti e innovazione. Ciò può limitare la loro capacità di crescere, espandersi e competere a livello internazionale.
Mancanza di cultura imprenditoriale: L'Italia può essere caratterizzata da una mancanza di una forte cultura imprenditoriale, con una preferenza per il lavoro dipendente rispetto all'avvio di nuove imprese. Questo può ridurre la capacità di creare nuove imprese innovative e sostenere la crescita economica.
Affrontare queste carenze richiede un impegno a lungo termine da parte del governo, delle imprese e delle istituzioni italiane. Sono necessarie riforme strutturali, investimenti in ricerca e sviluppo, semplificazione normativa, promozione dell'innovazione e dell'imprenditorialità, miglioramento delle infrastrutture e una maggiore collaborazione tra il settore pubblico e privato per stimolare la crescita e la competitività dell'economia italiana.
LA DIFESA DEL MADE IN ITALY
Per preservare il Made in Italy, ci sono diverse misure che possono essere adottate a livello sia governativo che da parte delle imprese e dei consumatori. Ecco alcune possibili strategie:
Protezione legale: Il governo può introdurre normative e leggi per proteggere il Made in Italy da contraffazioni e imitazioni. Queste leggi devono essere rigorosamente applicate e le sanzioni per la contraffazione devono essere efficaci per scoraggiare i falsificatori.
Promozione dell'artigianato: Le autorità possono sostenere e promuovere l'artigianato italiano, offrendo incentivi fiscali, agevolazioni finanziarie e sostegno logistico alle imprese artigiane. Inoltre, possono essere organizzate fiere, mostre e eventi culturali per mettere in mostra l'artigianato italiano.
Investimenti nella formazione: Le scuole e le università possono offrire programmi di formazione specifici per l'artigianato italiano, per garantire che le competenze tradizionali vengano trasmesse alle nuove generazioni. Inoltre, possono essere istituite partnership tra imprese e istituti di formazione per favorire lo scambio di conoscenze e esperienze.
Sostegno alle piccole e medie imprese (PMI): Le PMI rappresentano una parte significativa del settore manifatturiero italiano. Il governo può fornire incentivi fiscali e agevolazioni finanziarie per le PMI, semplificando anche le procedure burocratiche. Inoltre, può promuovere collaborazioni tra PMI e grandi aziende per favorire la diffusione del Made in Italy a livello internazionale.
Etichettatura e certificazione: È importante stabilire un sistema di etichettatura e certificazione riconosciuto a livello internazionale per i prodotti Made in Italy. Questo consentirebbe ai consumatori di identificare facilmente i prodotti autentici e garantirebbe la qualità e l'origine italiana.
Educazione e sensibilizzazione dei consumatori: È fondamentale educare i consumatori sul valore del Made in Italy e sull'importanza di sostenere i prodotti italiani. Campagne di sensibilizzazione possono essere organizzate per promuovere l'acquisto consapevole e responsabile.
Collaborazione tra settori: Le aziende italiane possono collaborare tra loro per migliorare la competitività e l'innovazione nel settore manifatturiero. La cooperazione tra industrie, come la moda, il design, l'automotive e l'arredamento, può portare a sinergie e a una maggiore visibilità a livello internazionale.
Digitalizzazione e innovazione: Le imprese italiane devono abbracciare la digitalizzazione e l'innovazione per rimanere competitive sul mercato globale. L'uso di tecnologie avanzate e la presenza online possono contribuire a promuovere i prodotti italiani e raggiungere un pubblico più ampio.
Queste sono solo alcune delle misure che possono essere adottate per preservare il Made in Italy. È importante una collaborazione tra governo, imprese, istituzioni educative e consumatori per promuovere e proteggere l'eccellenza del Made in Italy.
ALIMENTARE
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https://youtu.be/4Zg-2rMUGsI La Gig Economy è un modello economico basato sul lavoro a chiamata, occasionale e temporaneo. A partire da essa le aziende possono assumere appaltatori indipendenti e freelance in affiancamento ai dipendenti a tempo pieno e indeterminato. La Gig Economy può portare vantaggi alle imprese poiché si tratta di un modello che risponde al mercato lavorativo odierno, sempre più flessibile e digitalizzato.
GIG ECONOMY: SIGNIFICATO E CARATTERISTICHE
Il termine “Gig Economy” nasce dalla fusione di due parole: “Gig” ed “Economy”. Ma se la parola “Economy” (economia) non necessita di spiegazioni, più complesso è il significato del termine “Gig”. Agli inizi del Novecento, i musicisti jazz lo utilizzavano per indicare l’ingaggio di una sera, il “lavoretto”. Era utilizzato come storpiatura di “engagement” e il termine colloquiale è poi divenuto d’uso comune nell’ambiente. Oggi con questa combinazione di parole si indicano le “chiamate” che il lavoratore di volta in volta riceve.
Le aziende possono quindi scegliere di assumere professionisti a chiamata e la Gig Economy è un modello alla base dei cosiddetti servizi di Outsourcing.
La Gig Economy abbraccia diverse tipologie di professioni, con una netta prevalenza di impieghi nel campo del Digital: dal fotografo al copywriter, dal grafico al web master.
I VANTAGGI DELLA GIG ECONOMY PER LE AZIENDE
La Gig Economy comporta diversi vantaggi per i datori di lavoro di un’azienda. Grazie ad essa, le imprese hanno accesso a un'ampia gamma di professionisti a cui affidare progetti specifici e temporanei. L’azienda non deve inoltre sostenere costi di assunzione e non è tenuta a fornire benefit ulteriori al lavoratore il quale avrà invece la possibilità di collaborare in contemporanea con più committenti. La Gig Economy, a fronte di diversi vantaggi, porta con sé anche alcune criticità. Può infatti rappresentare un ostacolo per i lavoratori che mirano ad una carriera con un ruolo da dipendente con contratto a tempo indeterminato in azienda.
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Condizioni attuali
Il 36% dei lavoratori statunitensi si unisce alla gig economy attraverso il lavoro primario o secondario. Il numero di persone che lavorano nelle principali economie è generalmente inferiore al 10% della popolazione economicamente sostenibile, secondo il sondaggio In Europa, il 9,7% degli adulti di 14 paesi dell'UE ha partecipato alla gig economy nel 2017, secondo il sondaggio. Nel frattempo, si stima che la dimensione dei gig worker, che copre i lavoratori indipendenti o non convenzionali, sia dal 20% al 30% della popolazione economicamente attiva negli Stati Uniti e in Europa.
Differenza rispetto ai lavoratori temporanei
Molti fattori entrano in un lavoro desiderabile e i migliori datori di lavoro si concentrano sugli aspetti del lavoro che sono più attraenti per la forza lavoro sempre più competitiva e fluida di oggi. I lavoratori tradizionali hanno un rapporto datore di lavoro-dipendente a lungo termine in cui il lavoratore è pagato a ore o all'anno, guadagnando un salario o stipendio. Al di fuori di tale disposizione, il lavoro tende ad essere temporaneo o vengono assunti lavoratori a progetto per completare un compito particolare o per un certo periodo di tempo. Il coordinamento dei posti di lavoro tramite una società su richiesta riduce i costi di ingresso e di esercizio per i fornitori e consente alla partecipazione dei lavoratori di essere più transitoria nei mercati dei gig (ovvero, hanno una maggiore flessibilità in merito all'orario di lavoro). I freelance vendono le loro abilità per massimizzare la loro libertà, mentre i lavoratori a tempo pieno sfruttano le piattaforme [ chiarimento necessario ] per aumentare di livello le loro abilità.
Vantaggi e svantaggi
I gig worker hanno alti livelli di flessibilità, autonomia, varietà di attività e complessità. Ma anche la gig economy ha sollevato alcune preoccupazioni. Primo, questi lavori generalmente conferiscono pochi benefici forniti dal datore di lavoro e protezioni sul posto di lavoro. In secondo luogo, gli sviluppi tecnologici che si verificano sul posto di lavoro sono arrivati a confondere le definizioni legali dei termini "dipendente" e "datore di lavoro" in modi che erano inimmaginabili quando le normative sul lavoro negli Stati Uniti come il Wagner Act del 1935 e il Fair Labour È stato scritto lo Standards Act del 1938. Questi meccanismi di controllo possono provocare una bassa retribuzione, isolamento sociale, orari di lavoro non sociali e irregolari, superlavoro, privazione del sonno e esaurimento.
Implicazioni fiscali
Per gli appaltatori indipendenti, le imposte sui salari e le ritenute alla fonte non vengono detratte e nessuna delle parti è coperta dalle stesse norme e regolamenti che si applicano ai dipendenti tradizionali. Tuttavia, gli appaltatori indipendenti devono ancora pagare le tasse sul lavoro autonomo e le tasse stimate trimestralmente.
Futuro
Negli ultimi 20 anni il numero di persone che lavorano così è aumentato. I continui progressi nella tecnologia hanno il potenziale per aumentare l'attività lavorativa. La tecnologia online ha consentito nuove forme di lavoro con il potenziale per cambiare ulteriormente la Gig economy. Ancora più importante, l'aspetto del concerto non è una tendenza isolata, ma è correlata a grandi cambiamenti nell'economia. I progressi nella globalizzazione e nella tecnologia hanno spinto le aziende a rispondere rapidamente ai cambiamenti del mercato. Garantire la manodopera attraverso accordi non tradizionali come il gig work consentirà alle aziende di adattare rapidamente le dimensioni della loro forza lavoro. Questo può aiutare le aziende ad aumentare i loro profitti. Da questo punto di vista, il concerto non convenzionale è una componente fondamentale dell'economia odierna, ed è improbabile che scompaia presto. I gig worker possono essere trovati a tutti i livelli di un'organizzazione, inclusi top executive come CEO, CFO, CRO e VP, in genere indicati come dirigenti ad interim o frazionari .
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Il crowdfunding immobiliare è un sistema innovativo volto a finanziare operazioni immobiliari ricorrendo a un’ampia base di finanziatori. Le raccolte fondi avvengono perlopiù sul web, attraverso piattaforme dedicate. Da qui, il termine inglese crowdfunding che, tradotto letteralmente, significa “finanziamento da parte della folla”. Negli ultimi anni, il crowdfunding immobiliare è stato protagonista di una crescita significativa, sia in Italia che nel resto del mondo. Basti pensare che, nel 2019, i fondi investiti in operazioni di crowdfunding immobiliare ammontavano globalmente a quasi 11 miliardi di dollari americani. Guardando invece all’Italia, soltanto nel 2020 sono stati raccolti più di 65 milioni di euro: 42.672 investitori hanno finanziato 182 operazioni immobiliari.
Il crowdfunding immobiliare è un sistema di finanziamento collettivo, in quanto si fonda sulla possibilità di rivolgersi a un gran numero di investitori per raccogliere i fondi necessari a finanziare operazioni immobiliari. Tali operazioni possono essere di vario genere: può trattarsi ad esempio di compravendite, oppure dell’acquisizione di immobili a reddito. È opinione comune considerare il crowdfunding immobiliare come una forma di democratizzazione di un settore che, fino a non molto tempo fa, era accessibile unicamente ai grossi investitori con la possibilità di muovere capitali importanti. Essendo il crowdfunding fondato sul principio di unire le forze di un gran numero di finanziatori, in genere il singolo investitore può partecipare alle raccolte fondi anche con una cifra modesta, che può variare indicativamente tra i 100 e i 1.000 euro. In questo modo, il crowdfunding ha esteso l’accessibilità del settore immobiliare ai piccoli investitori e risparmiatori, che in precedenza ne rimanevano esclusi. Allo stesso tempo, il crowdfunding immobiliare è stato in grado di portare dei benefici considerevoli anche ai promotori di operazioni immobiliari. Il fatto di poter entrare in contatto con una grande comunità di potenziali finanziatori consente infatti di raccogliere grossi capitali in tempi relativamente brevi.
Esistono diverse tipologie di crowdfunding immobiliare e, in ognuna di queste, gli investitori assumono una posizione particolare nei confronti della società proponente. Le due principali sono il lending e l’equity crowdfunding.
Con il lending crowdfunding, i finanziatori contribuiscono a finanziare operazioni immobiliari prestando il loro denaro e ottenendo in cambio un interesse remunerativo.
Con l’equity crowdfunding, invece, gli investitori acquistano delle quote della società proponente, diventandone quindi soci e partecipando di conseguenza agli utili e alle eventuali perdite.
Nel settore immobiliare, finora il lending crowdfunding si è espanso maggiormente rispetto all’equity. Se guardiamo all'Italia, nel 2020 i finanziatori che hanno scelto la tipologia lending sono stati 37.039, contro i 5.633 che si sono invece orientati sull’equity. Questo dato può essere almeno in parte spiegato dalla ragionevole prevedibilità del rendimento delle operazioni immobiliari. Essendo la prospettiva di realizzare rendimenti oltre le aspettative piuttosto remota, i finanziatori preferirebbero optare per una remunerazione fissa che non li esponga alle potenziali perdite.
Il crowdfunding immobiliare ha sperimentato una crescita significativa nel corso degli ultimi anni. A livello globale, le piattaforme dedicate sono aumentate da 8 nel 2012 a 144 nel 2019, 38 delle quali hanno sede nell’Unione Europea. Sempre nell’UE, l’ammontare dei fondi raccolti è passato da poco più di 2 milioni di euro nel 2012 a più di 815 milioni nel 2019.
Guardando all’evoluzione italiana tra il 2017 e il 2020, non si può che evidenziare un incremento considerevole: il numero di progetti è passato da 7 a ben 182, i fondi raccolti da 1,8 a 65,3 milioni e il numero di finanziatori da 2.150 a 42.672.
Se guardiamo all'ammontare di fondi raccolti in Italia nel corso del 2020, le piattaforme di lending crowdfunding immobiliare in cima alla classifica sono:
Rendimento Etico (con 14,5 milioni di euro)
Trusters (con 7,4 milioni)
CrowdEstate (con 5,5 milioni)
Re-Lender (con 3,5 milioni).
Riguardo invece alle piattaforme di equity, ai primi posti troviamo:
Walliance (con 13 milioni)
Concrete Investing (con 12,8 milioni)
Mamacrowd (con 2,7 milioni).
Conosciuto anche con l'acronimo inglese TOL, è la compravendita di strumenti finanziari tramite internet. Esso è nato in Italia solo nel 1999, quando il "Nuovo Regolamento Consob di attuazione del Testo Unico dei mercati finanziari" ne ha regolamentato gli aspetti.
Questo servizio consente appunto l'acquisto e la vendita on-line di strumenti finanziari come azioni, obbligazioni, futures, titoli di stato, ecc. I vantaggi nell'uso di servizi di questo tipo on-line sono i minori costi di commissione richiesti all'investitore e la possibilità di quest'ultimo di potersi informare bene sull'andamento di un particolare titolo o della borsa in generale (la visualizzazione di grafici e informazioni utili sui titoli) per effettuare con maggiori dati le scelte d'investimento. Questo tipo di pratica comprende vari modi di operare da parte degli investitori.
Gli operatori presenti sui mercati finanziari possono essere divisi secondo diversi parametri.
Una prima e generica distinzione può essere effettuata fra i soggetti istituzionali, che solitamente dispongono di ingenti capitali (banche, fondi d'investimento, hedge fund, ecc.) con fondi di solito non propri, ed i soggetti retail, categoria che comprende trader privati che operano con capitali propri (contenuti o relativamente contenuti). Non è comunque possibile individuare una soglia di demarcazione oggettiva fra le due categorie.
A seconda del tipo di operatività si possono individuare:
trader discrezionali, che prendono decisioni operative senza l'ausilio di sistemi automatici, basandosi solamente sulle proprie capacità di analisi;
trader semi-discrezionali (o semi-automatici), che coadiuvano il processo di analisi con elementi automatici (rientra nella categoria Larry Williams);
quant trader (o quantitative trader o trader sistematico o trader automatico), le cui strategie si basano su analisi quantitative derivate da computazioni matematiche,
Una terza classificazione può infine dividere gli speculatori e gli investitori a seconda dell'orizzonte temporale delle proprie operazioni.
Scalper, le cui posizioni solitamente vengono aperte e chiuse in un lasso di tempo che può essere di pochi secondi o minuti;
Day trader, che si differenziano dagli scalper sia per il minor numero di operazioni che per il tempo medio a mercato (per singolo trade) solitamente più ampio;
Multiday trader (o swing trader), con un orizzonte temporale superiore alle 24 ore;
Trader di posizione, le cui strategie contemplano un tempo a mercato per singola operazione tendenzialmente superiore ai 30 giorni.
Trading matematico, metodo che combina sofisticati modelli matematici per l'elaborazione algoritmica a bassa e alta frequenza. In lingua inglese, questi software/simulatori, vengono identificati anche come: CFD Trading Manager e sono l'espressione più avanzata e affidabile nelle previsioni statistiche per la gestione dei piani finanziari destinati al trading.
Da evidenziare l'esistenza della negoziazione ad alta frequenza, che tramite l'impiego di algoritmi consente di immettere e modificare gli ordini a velocità elevatissima. Tale fenomeno è oggetto di esame da parte delle competenti autorità di controllo per i possibili effetti distorsivi nello svolgimento delle negoziazioni. Alla negoziazione ad alta frequenza si associano i cosiddetti flash orders, sistemi in grado di battere sistematicamente sul tempo gli operatori tradizionali nonché altre strategie, tra cui quelle denominate Pinging/Smoking/Layering/Spoofing, che simulano situazioni di mercato al solo scopo di indurre gli operatori tradizionali ad effettuare operazioni sbagliate come reazione a stimoli non reali.
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‘L’unica cosa che non torna indietro, è il tempo’.
Anche alla luce di questa diffusa considerazione, per il futuro è prevista la creazione di un vero e proprio mercato del tempo, con tanto di relativi operatori.
Se si pensa alle esperienze delle banche del tempo, infatti, si può affermare che già oggi il tempo a disposizione delle persone è utilizzato in alcuni casi come sistema alternativo di pagamento. Questa “moneta alternativa” potrà dar luogo a un vero e proprio mercato “finanziario” del tempo, nel quale potranno agire broker e agenti di cambio specializzati.
Serviranno, infatti, mediatori e banche che consentiranno agli interessati di guadagnare dei ‘crediti-tempo’ per le attività svolte per la comunità. I crediti potranno essere utilizzati per comprare servizi da altri membri.
Questa nuova figura professionale dovrebbe imporsi entro il 2030.
Scuola per broker delle banche del tempo
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Se si pensa alle esperienze delle banche del tempo, si può affermare che già oggi il tempo a disposizione delle persone è utilizzato in alcuni casi come sistema alternativo di pagamento. Questa “moneta alternativa” potrà dare luogo a un vero e proprio mercato “finanziario” del tempo, in cui agiranno broker e agenti di cambio specializzati.
ARTIGIANATO ONLINE
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![ragazzi scherzano su una panchina](https://forbes.it/wp-content/uploads/2018/12/GettyImages-862201618.jpg)
Il narrowcasting, letteralmente “trasmissione ristretta”, è il modello di comunicazione di internet, basato su un meccanismo di divulgazione e fruizione "frammentata" dei contenuti. A differenza del più antico e conosciuto broadcasting, in cui le notizie vengono divulgate senza alcuna differenziazione in base alla tipologia di utenti alla quale si rivolgono, il narrowcasting è dunque una diffusione mirata di informazioni e contenuti, trasmessa ad un pubblico interessato ed interagente. L'utente accede alle informazione sul web, partecipa per sottoscrizione alle mailing list, sceglie e riceve trasmissioni audio e video anche attraverso aggregatori di media (podcasting). Il narrowcasting permette dunque a chi utilizzi la rete di ottenere notizie e contenuti sia audio che video, in tempo reale da tutto il mondo su qualsiasi tema usando gli strumenti che internet mette a disposizione.
Questi strumenti sono: forum, blog, mailing list, newsletter, wiki, space, user generated content.
Grazie al narrowcasting tutti questi strumenti possono fornire la possibilità di scegliere autonomamente su cosa ricevere informazioni; se ad esempio a una persona interessa la lirica e lo spettacolo potrà tranquillamente escludere tutto il resto e ricevere solo le informazioni che desidera.
Questa possibilità di scelta porta dei cambiamenti inevitabili.
Il numero di persone che segue un determinato argomento sarà più limitato rispetto ad un argomento generalista (vedi audience).
Il traffico generato dai contenuti di nicchia sarà uguale o maggiore rispetto al traffico generato dai contenuti "di massa" (vedi la teoria della "long tail".
Tutte le persone che applicano questo metodo ad un determinato argomento sono molto più stimolate e preparate rispetto ad un pubblico eterogeneo, quindi producono (anche per chi non se ne intende) discussioni e documentazione molto più affidabile rispetto ad un broadcasting.
Oggi lo scopo non è più la quantità, ma la qualità dell'audience raggiunta e i nuovi media sottintendono ad una filosofia di comunicazione tutta nuova, incompatibile con le modalità di diffusione dei media tradizionali. Per ottenere una comunicazione efficace è dunque necessario connettersi ed interagire con l'utente finale e questo è indiscutibilmente ottenibile solo attraverso i nuovi mezzi messi a disposizione dalla Rete.
Scuola per narrowcaster
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TERZO SETTORE
https://youtu.be/JKH3p3mCUdo
In “Contro il non profit”, il sociologo politico Giovanni Moro, figlio di Aldo sequestrato ed ucciso dalle BR nel 1978, spiega ed analizza in maniera puntuale questo ‘magma’ caotico di norme e definizioni opache caratterizzato solamente per esclusione (“non” profit). E’ infatti la stessa origine del fenomeno, secondo l’autore, a determinarne la natura confusa.
Il titolo polemico potrebbe essere fuorviante perché lo studioso non critica tout court il «terzo settore» ma ne descrive difetti e pregi. «Non potrei proprio essere contro questo tipo di non profit perché in un modo o nell’altro tutta la mia vita a questo è stata dedicata». Moro oltre a occuparsi della materia come studioso ha guidato, tra il 1989 e il 2002, il movimento Cittadinanzattiva e ora presiede Fondaca, un think tank neanche a dirlo non profit.
Il volume, invece, mette all’indice quel non profit che dietro questa parola nasconde uno spazio «in cui un po’ tutto è possibile, dai ristoranti alle palestre, dalle cliniche alle polisportive con tutto ciò che ne consegue in termini di dubbia utilità sociale, possibili arricchimenti personali, conflitti di interesse, elusione fiscale, rapporti di lavoro insani, concorrenza sleale con le imprese private, ricchi che diventano più ricchi e poveri più poveri, “buoni” che legittimano vantaggi per i “cattivi”».
Scrive l’autore: “Mentre le rappresentazioni correnti attribuiscono comportamenti auto-interessati o di pura convenienza a cadute o deviazioni di carattere morale, la mia convinzione è che questi comportamenti, stridenti con un senso comune che attribuisce al «terzo settore» virtù intrinseche, siano invece impliciti nella stessa concettualizzazione del non profit, oppure ne siano una conseguenza logica e materiale”.
Com’è possibile che entità di fatto simili ad imprese private ma rese più competitive grazie alla falsa caratterizzazione convivano con le organizzazioni che si occupano della parte più debole della società? A questo proposito Moro cita dati disponibili a tutti, ma spesso ignorati, con l’intento di individuare gli attributi e restituire i privilegi del terzo settore a chi davvero ne segue i principi e di mettere in luce la mercatizzazione delle imprese cosiddette ‘sociali’.
Non è una questione secondaria: solo nell'ultimo triennio ne sono state smascherate più di 3.200 (3 al giorno).
Le prime finte Onlus sono nate assieme alle vere, dieci anni fa, sfruttando l'ignoranza delle norme e l'impreparazione dei controllori. Nel '97, infatti, l'Agenzia delle entrate ancora non aveva gli strumenti per tenere d'occhio soggetti nuovi dal punto di vista giuridico. Il giro di vite sulle finte Onlus comincia nel 2003, a sei anni dalla loro nascita, quando un decreto ministeriale fornisce al Fisco le armi di cui aveva bisogno, a partire dalla possibilità di cancellare le organizzazioni fraudolente. I risultati non tardano ad arrivare: (1.434 nel 2005 e 1.151 nel 2006). Secondo i dati dell'Agenzia delle entrate, i soggetti iscritti all'anagrafe delle Onlus, dopo il boom iniziale del '97, sono andati regolarmente scemando negli ultimi anni: dagli oltre 18 mila del 2004, ai 17.387 del 2005, ai 16.459 del 2006. Dal 2003 il Fisco i controlli li fa prima dell'iscrizione, e sono molto rigidi, visto che più della metà delle richieste viene respinta: l'anno scorso su 3.843 domande ne sono state rigettate ben 2.063.
Negli ultimi tempi, l'aria è nuovamente cambiata.
Diamo qualche esempio per le diverse tipologie di truffe smascherate.
Lo Spazio del Tempo, ufficialmente dedita all'assistenza socio-sanitaria, si è rivelata la facciata di un bed & breakfast, senza nessun libro contabile, che andava comprando inserzioni pubblicitarie su riviste di settore col suo alias turistico: Villa del Sole.
La Federazione Mondiale Tutela dei Diritti e delle Libertà con sede legale a Torino, era un'associazione che dietro alle mentite spoglie di ente assistenziale, giocando col concetto di 'persona svantaggiata', aveva come scopo effettivo il supporto e la consulenza per la gestione di club privé, ed era punto di riferimento per locali erotici.
L'Associazione Salvadanai di San Remo sfruttava dei disabili per rastrellare 'fondi a scopo di beneficenza' con i salvadanai piazzati nei negozi. E poi lasciava gli spiccioli ai soggetti veramente bisognosi, pro forma, mentre i soci 'reinvestivano' il grosso dei proventi nell'acquisto di auto e beni di lusso.
Il Centro Cooperazione Sviluppo Genovese prometteva di "cambiare la vita di milioni di bambini" in Mozambico attraverso il sostegno a distanza, e invece intascava migliaia di euro e li spendeva in Mercedes e appartamenti.
L’Amore del bambino, a Milano raccoglieva denaro per far operare all'estero i bambini affetti da gravi patologie, e coi soliti salvadanai aveva fagocitato 450 mila euro.
La Croce Verde Brixia, ha truffato gli ospedali di Bergamo, Mantova e Cremona per un milione e mezzo di euro gestendo postazioni del 118 e occupandosi dei servizi di assistenza e trasporto malati.
Un'intera galassia di sigle (dieci in tutto, da Co.Mo.Va. a Euroinvalidi) in Toscana ha truffato 800 mila euro con la raccolta di abiti usati per profitto, chiedendo contributi porta a porta, presso supermercati, negozi e abitazioni di privati.
La grandezza non vuol dire sicurezza. Poche settimane fa i carabinieri hanno scovato un’organizzazione che operava stabilmente in 35 province e 93 Comuni. Imbroglioni del porta a porta con tanto di “tariffario”, per aiutare bambini malati oncologici, millantavano di collaborare con l’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù, di cui utilizzavano abusivamente il logo.
I carabinieri di Villa Castelli, in provincia di Brindisi, hanno denunciato 5 persone, tra cui una minorenne, che chiedevano un contributo economico per una tredicenne affetta da una grave patologia alla spina dorsale. La storia purtroppo era vera, ma i soldi, anziché andare alla famiglia della ragazza, finivano nelle tasche dei sedicenti volontari. Al momento dell’arresto, solo il bottino dell’ultima giornata di “lavoro” era di 800 €.
Infine a chi non è capitato di trovare banchetti per le comunità di recupero dove sedicenti volontari chiedono firme e contributi “contro la droga”? Fate loro una semplice domanda per scoprire la truffa: “Che tipo di centro è? Residenziale? Semiresidenziale? Vale a dire un centro “solo diurno”. Raro trovare qualcuno che sappia rispondere.
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Nel 2010, incrociando i dati nella neonata anagrafe del Terzo settore con le migliaia di controlli effettuati dal Fisco, sono emersi proventi non dichiarati per oltre 230 milioni di euro. Nel 2012, ultimo dato disponibile, le imposte recuperate hanno superato i 350 milioni, e sicuramente il dato sarà in ascesa.
Le truffe si sono consumate con fantasia tutta italiana.
Cominciamo con brindisi e mangiate. «La crescita culturale e civile dei propri soci» va annaffiata colla birra. 80mila birre ogni anno, con ricarichi del 400 %. ha registrato incredula la Finanza nel circolino emiliano che ufficialmente promuoveva dibattiti sull’umanesimo per i suoi 2.500 tesserati. Una media di 800 consumazioni a serata e un giro d'affari plurimilionario.
Ci sono circoli esclusivi piemontesi per il golf che sono no-profit. Nel Salernitano un ristorante con servizio di attracco e rimessaggio barche ha nascosto al Fisco ricavi per 800mila euro. Nelle Marche, un'associazione per promuovere «lo sviluppo e la conoscenza della scienza optometrica» era di fatto un laboratorio oculistico che vendeva prodotti. A Torino, un bel gruppetto di bocciofile promuovevano sul web serate mangerecce, mettendo online menu e coupon per cenare a prezzi scontati. In Lombardia una ventina di maneggi - pardon , associazioni sportive dilettantistiche operanti nel settore dell'equitazione -, nascondevano una vera e propria attività commerciale. L'Iva evasa? Quasi un milione di euro.
Ma è nel 5 per mille che si scoprono le contraddizioni più forti. Le onlus che hanno avuto accesso all'ultimo 5 per mille sono state circa 35.000 (solo 3.000 quelle escluse). Come dire che in ogni provincia d’Italia ci solo 350 associazioni meritevoli di sostegno pubblico.
55 milioni di € vanno all'Associazione italiana per la ricerca sul cancro; 10,3 milioni di € ad Emergency; 8 milioni di € a Medici senza frontiere. E fin qui siamo nel logico.
Ma poi si scopre che i destini dei terremotati Abruzzesi e quelli dei felini randagi («Mondo gatto») muovono a medesima solidarietà i contribuenti, che per i primi hanno destinato 54mila€ e per i secondi 52mila€. Che l'Accademia della Crusca (42mila €) prende meno di un terzo di «Save the dogs and other animals», onlus animalista che porta a casa 135mila€. La Fondazione italiana del notariato riceve la bellezza di 343mila€. La Fondazione Rinnovamento dello Spirito Santo che «persegue in particolare lo scopo di sensibilizzare, orientare e far comprendere l'azione e le finalità dello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita» ha ricevuto dallo Stato 164mila€, un poco di più dei 134mila€ versati all'Unione degli atei e degli agnostici razionalisti che «porta avanti iniziative a tutto campo in difesa dei diritti civili degli atei e degli agnostici». L'Admo - l'Associazione donatori midollo osseo, una cosetta con cui si cura la leucemia - si è dovuta accontentare di 73mila€, come l'«Asilo del cane» di Palazzolo Milanese, quartiere del piccolo Comune di Paderno Dugnano, che ne ha avuti 70mila€. Poco più della Fondazione Slow Food per la biodiversità 67mila €. 37mila€ sono andati alla Federazione italiana amici della bicicletta e 36mila € al Naga, l'associazione di assistenza sanitaria e per i diritti dei cittadini stranieri, rom e sinti. Forse qualcosa va ripensato.
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Secondo il rapporto delle Nazioni Unite, sul pianeta sono operative circa 50mila organizzazioni non governative (ong), con 140 milioni di volontari, più del doppio della popolazione italiana.
Le più ricche? Save the Children, World Vision e Feed the Children (circa 1,2 miliardi di dollari di bilancio ciascuna).
Da dove arrivano i soldi? I finanziamenti possono provenire da enti pubblici o da privati, cioè dalle nostre donazioni. In Italia, il Terzo Settore è lievitato. Oggi quelle riconosciute ufficialmente sono 248, si interessano di 3.000 progetti in 84 Paesi del mondo, occupano 5.500 persone e gestiscono 350 milioni di euro l'anno.
A leggere i bilanci, le prime dieci ong italiane sono Medici senza frontiere (50 milioni di euro); ActionAid (48 milioni); Save the Children (45 milioni); Coopi (Cooperazione internazionale, 35 milioni); Cesvi (Cooperazione e sviluppo, 33 milioni); Emergency (30 milioni); Avsi (Associazione volontari per il servizio internazionale, 28 milioni); Intersos (18 milioni); Cisp (Comitato internazionale per lo sviluppo dei popoli, 16 milioni); Vis (Volontariato internazionale per lo sviluppo, 16 milioni).
La domanda più importante è: dove finiscono i soldi dei donatori? Molto se ne va per le spese di mantenimento e promozione delle organizzazioni. Qualche esempio: su un totale di circa 7 milioni di euro, la sezione italiana di Amnesty International ne spende circa un terzo per promuovere l'associazione e mantenerla in vita.
Per salvaguardare oceani, balene e foreste, nel 2011 Greenpeace Italia ha utilizzato 2 milioni 349.000 euro, meno di quanto spenda per pubblicizzarsi e cercare nuovi iscritti (cosa del resto essenziale a ogni organizzazione): 2 milioni 482.000 euro.
Nel luglio 2012 la Corte dei Conti, che ha monitorato 84 progetti in 23 Paesi, trovando di tutto: soldi mai arrivati, progetti fermi o in ritardo da anni, rendiconti spariti. Non mancano esempi virtuosi. Tra questi, Cesvi che nel 2011 ha speso oltre 25 milioni di euro per finanziare i suoi progetti, 1 milione 300mila per la raccolta fondi, 750mila euro per il personale. Chiaro, semplice e tutto on-line.
Ci sono poi gli scandali internazionali: «Il 66 % di tutte le donazioni che sono state fatte nel mondo - denuncia Evel Fanfan, presidente di Aumohd, organizzazione di avvocati che dal 2002 si occupa dei diritti umani della popolazione di Haiti – non sono state investite per la gente di Haiti, ma per il funzionamento delle ong. Alcune hanno comprato fuoristrada da 40-50.000 dollari e il 20 % delle donazioni è andato in stipendi del personale delle organizzazioni».
C'è poi l'ossimoro dell'emergenza perenne: nella regione del Sahel (Sahara) dal 1973 a oggi sono stati investiti in aiuti diretti e indiretti oltre 300 miliardi di dollari, eppure nel 2012 c'erano ancora 18 milioni di persone bisognose di aiuto.
Il problema? Esiste una sproporzione tra fondi dedicati all'emergenza rispetto a quelli destinati allo sviluppo, il che spinge alcune associazioni ad abbandonare quest'ultimo per l'emergenza, che "rende" molto di più. La cooperazione è nata per generare sviluppo, ma da quando sono stati chiusi i rubinetti per i progetti tantissime ong si sono buttate sull'emergenza, alcune addirittura sono nate ex novo per questo. L'emergenza frutta maggiormente e ha tempi di approvazione più rapidi. Passa pochissimo da quando si presenta un progetto a quando si riceve la risposta, perché se c'è un'urgenza la risposta non può arrivare dopo un anno. Invece da quando un progetto di cooperazione viene presentato a quando è approvato trascorre un lungo periodo.
Le ong sono in competizione tra loro: per sopravvivere nel mondo della solidarietà devono fare a gara per le sovvenzioni. Parlano lo stesso linguaggio delle aziende, usano le medesime strategie. E spesso pagano gli stessi stipendi: la buonuscita di 500mila sterline versata a Irene Khan, ex segretario generale di Amnesty International, è solo la punta dell'iceberg.
«Anche stamattina il giardiniere ha raccolto fiori freschi che ha lasciato in un vaso sul tavolo, abbiamo un cuoco che cucina per noi e guardie per proteggerci, autisti che ci portano ovunque e qualcuno che lava e stira al nostro posto. Non mi sembra vero di essere trattata come una principessa». Viviana non è la ricca manager di una multinazionale, è un'operatrice umanitaria di Goma, in Congo. Nelle sue parole, il volto nascosto della beneficenza.
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Terzo settore con l'obbligo Iva
Non ho una grande fiducia nell'utilità del terzo settore e ne ho ancora meno sulla sua onestà. Al più si tratta di una forma di economia drogata. Quindi il nuovo l'obbligo di partita IVA mi sembra una misura giusta e sacrosanta. Come per ogni settore protetto spesso dietro la facciata etica si nascondono cose non sempre limpidissime. Credo che il terzo settore viva più di ideologia che di economia, e che sia un grande serbatoio elettorale. Spesso in lui trovano "lavoro" personaggi del sottobosco politico che operano per ottenere commesse pubbliche in cambio di voti, una marea di soldi pubblici in cambio di una marea di voti. Forse è meglio che sia il mercato a livellare l'ideologia modellandola sulle leggi imprescindibili dell'economia, lasciando immutata la mission di servire la società. Non di etica, ma di veri servizi a costi competitivi, di questo l' Italia ha bisogno, un' Italia che troppo a lungo é stata colonizzata dalle barbarie di certi appetiti insaziabili.
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